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Khashoggi, il Senato Usa sull’Arabia Saudita dichiara guerra all’amministrazione Trump

Il Punto di Marco Orioles su caso Khashoggi

Il Senato americano, sull’Arabia Saudita, dichiara guerra all’amministrazione Trump. E si predispone a votare in modo bipartisan tre risoluzioni che denunciano la complicità di Mohammed bin Salman (MbS) nell’omicidio di Jamal Khashoggi, ritirano l’appoggio Usa alla guerra in Yemen e sospendono le forniture di armi all’Arabia Saudita.

Per capire il voltafaccia del Senato al presidente Trump e ai suoi ministri, che continuano a ritenere MbS innocente, dobbiamo fare un passo indietro di due settimane, quando fu resa pubblica la valutazione della CIA che indicava, con ragionevole certezza, la responsabilità di Mbs nel brutale assassinio del columnist del Washington Post. Una valutazione che entrava in conflitto con le parole di The Donald, del suo ministro della Difesa James Mattis e del Segretario di Stato Mike Pompeo, che oltre a scagionare il principe hanno sottolineato la necessità, per gli Stati Uniti, di non farsi condizionare da questo incidente e di mantenere la barra dritta nella relazione con l’Arabia Saudita, che l’amministrazione ritiene fondamentale in chiave strategica.

Geloso delle sue prerogative, e non convinto dei ragionamenti del governo, il Congresso ha chiesto un’audizione del capo della CIA, Gina Haspel, per conoscere direttamente l’intelligence disponibile alle spie Usa. Ma su pressione di Trump, la Haspel non si è presentata a Capitol Hill, dove si sono recati invece Mattis e Pompeo per difendere l’alleanza coi sauditi. Provocando così la ribellione dei parlamentari che hanno preteso, di nuovo, di ascoltare la Haspel.

Trump, alla fine, ha ceduto, autorizzando l’audizione della Haspel, riservandola però ad un gruppo ristretto di senatori. I quali, dopo aver sentito la testimonianza del numero uno della Cia, sono usciti più che mai convinti della colpevolezza di Mbs. “Non c’è una pistola fumante, c’è una sega fumante”, ha dichiarato un senatore facendo riferimento all’attrezzo usato dal commando saudita che, lo scorso 2 ottobre al consolato di Istanbul, avrebbe smembrato il corpo di Khashoggi prima di scioglierlo nell’acido, come proverebbe la registrazione audio in possesso del governo turco.

In un impeto di rabbia bipartisan verso l’atteggiamento dell’amministrazione Trump, un gruppo di senatori repubblicani e democratici ha unito le forze e preparato tre risoluzioni che prendono di mira l’Arabia Saudita. La prima, che è già stata discussa e votata in via preliminare la settimana scorsa, imporrebbe al governo Usa di ritirare il suo appoggio alla coalizione a guida saudita che, dal marzo 2015, ha preso a bombardare i ribelli Houthi in Yemen. La seconda risoluzione punta a bloccare gli affari sauditi in America nel campo degli armamenti. La terza, infine, condanna Mbs per il suo ruolo nell’omicidio Khashoggi. Se approvati, i tre provvedimenti metterebbero la parola fine ad una storica alleanza degli Stati Uniti oltre che alla strategia messa a punto dal governo per rivoluzionare il Medio Oriente.

Non è detto tuttavia che le risoluzioni riescano a superare la prova del voto, se non altro per una questione di tempistica: il Natale è vicino e il Senato bloccherà i suoi lavori. A gennaio, inoltre, ambedue le camere saranno rinnovate sulla base dell’esito delle elezioni di metà mandato. Ci sarebbe ancora tempo, in teoria, per portare a compimento le operazioni di voto sul provvedimento che pone fine alla collaborazione degli Usa con la coalizione saudita in Yemen, che i proponenti vorrebbero votare già la prossima settimana. Ma anche nel caso di una sua approvazione, è praticamente certo il veto di Trump, che riporterebbe la risoluzione in aula sottoponendola alla più stringente soglia di voto di almeno due terzi dell’assemblea.

Difficile, insomma, che la minaccia del Senato diventi effettiva. La fronda repubblicana si è sì saldata con l’opposizione democratica, ma non sembra in grado di produrre una clamorosa rottura. Sono d’altra parte ancora forti i dubbi di chi, come il numero 2 dei repubblicani al Senato John Cornyn, ritiene che sarebbe “un errore rompere la relazione con i sauditi. Che non è basata sull’amicizia quanto su interessi comuni, combattere l’estremismo in Medio Oriente e contrastare la minaccia iraniana”.

D’altro canto, appare molto forte la tentazione di quella parte del Senato che si riconosce nelle parole del democratico Chris Murphy, uno degli sponsor della risoluzione che approderà in aula la settimana prossima, per il quale un voto favorevole rappresenterebbe “un messaggio forte all’Arabia Saudita che la relazione sta cambiando. E la si può interpretare come un messaggio sulla guerra in Yemen, ma puoi anche interpretarla come un messaggio su Khashoggi”.

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