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Keynes

Keynes e il circolo di Bloomsbury

Il Bloc Notes di Michele Magno

Dicembre 1902, King’s College di Cambridge: la matricola John Maynard Keynes riceve la visita di due giovani alti, magri e dalla faccia triste. Erano Giles Litton Strachey, futuro autore di “Eminent Victorians”, e Leonard Woolf, futuro marito di Virginia Stephen. Volevano capire se fosse degno di appartenere al gruppo più esclusivo di tutta l’università: la Società della Conversazione, detta anche Società degli Apostoli. Come annota Robert Skidelsky nella sua biografia (Penguin, 2013), Keynes era stato adocchiato per l’eccellente reputazione di cui godeva a Eton e come figlio di Neville, docente di logica. Dopo la visita, viene osservato per qualche settimana e, infine, giudicato idoneo. Nel febbraio 1903, dopo il giuramento di rito, diventa l’apostolo n.243 della Società segreta fondata nel 1820 da George Tomlinson.

Inizia così la sua partecipazione alle riunioni che si svolgevano ogni sabato sera nella stanza di Strachey, che fungeva da segretario. Un moderatore leggeva un breve appunto su un argomento concordato. Accovacciati davanti al caminetto, apostoli e “angeli” (membri non più attivi della confraternita) lo discutevano secondo un ordine estratto a sorte, ed eventuali punti controversi venivano posti ai voti. Una consuetudine accompagnata dal consumo abbondante di tartine di acciughe, tè e caffè. Secondo Henri Sidgwick, eminente figura di “pio agnostico” del tardo periodo vittoriano, l’atmosfera di questi incontri era segnata dalla “ricerca della verità, condotta con assoluta devozione e senza riserve da parte di un gruppo di intimi amici”.

Gli apostoli più attivi erano allora tre studenti del Trinity College, Saxon Sidney-Turner oltre ai citati Strachey e Woolf, e due del King’s, Jack Shepard e Leonard Grenwood. Spesso si univano a loro Edward Morgan Foster e Hugh Owen Meredith. Gli atti della Società venivano custoditi in un baule di cedro (“l’arca”) donato da Oscar Browning, il personaggio più in vista di Cambridge. Browning era un educatore eccentrico e snob, che non nascondeva la sua omosessualità. Nominato tutor di storia nel 1880, era famoso per assopirsi durante le lezioni e adorava insegnare musica ai suoi domestici proletari. Ma era anche un beniamino degli studenti, per il suo anticonformismo e per le memorabili feste che organizzava a casa sua.

Le stravaganze di Browning affascinano Keynes, che improvvisamente si trova scaraventato in una realtà brulicante di associazioni e dibattiti di ogni tipo. Appena arrivato al King’s scrive ai genitori che non intende limitarsi allo studio della matematica e dell’economia. Segue quindi le lezioni di George Edward Moore sull’etica e quelle di John Ellis McTaggart sulla metafica. Stende un trattatello sul teologo Pietro Abelardo e uno su “Tempo e cambiamento” che illustrerà ai Parresiasti, uno degli innumerevoli circoli del King’s. Comincia a collezionare libri, pratica il canottaggio, gioca a bridge.

“È troppo”, commenta sconsolato suo padre. Non era invece troppo per l’insaziabile curiosità intellettuale del ventenne Keynes. Dal 1903 al 1909 illustra agli apostoli una dozzina di lavori, in cui precisa la sue posizioni etiche e getta le basi della sua teoria della probabilità. Ben presto si afferma come una delle menti più brillanti della Società. Un cenacolo di ingegni straordinari, cementato da un iperbolico senso di superiorità ben riassunto dal motto burlesco, di ascendenza kantiana, secondo cui gli apostoli erano “individui reali”, i non apostoli “individui fenomenici”. Tanto che, subito dopo essersi sposato in età avanzata, McTaggart si preoccupò di rassicurare scherzosamente i confratelli che si era limitato a impalmare una “moglie fenomenica”.

“Debbo all’esistenza della Società se sin da principio sono entrato in contatto con le persone che più valeva la pena di conoscere”, ha scritto Bertrand Russell nelle sue memorie. Eppure grandi scienziati come Charles Darwin e l’eugenista Karl Pearson, o grandi economisti come Arthur Cecil Pigou e Alfred Marshall, fiori all’occhiello della Cambridge dell’epoca, non ne avevano fatto parte. Forse perché la Società appariva come una chiusa conventicola di austeri filosofi, il cui indiscusso nume tutelare era Moore. I suoi “Principia ethica”, ricorda Keynes in “My Early Beliefs” (“Il mio credo giovanile”), un saggio letto nel 1938 al Bloomsbury’s Memoir Club, esercitò sugli apostoli un potere liberatorio: “Vivevamo in tutto e per tutto nell’esperienza immediata, poiché l’azione sociale come fine in sé, e non soltanto come lugubre dovere, era scomparsa dal regno del nostro ideale; e un simile destino toccò non solo l’azione sociale, ma la vita attiva in genere, la politica, il successo, la ricchezza, l’ambizione, mentre il movente e il criterio economici erano in una posizione meno centrale nella nostra filosofia che in quella di san Francesco d’Assisi, che almeno faceva collette per gli uccelli”.

In questo atteggiamento distaccato si rispecchiava una reazione tipica dei rampolli della upper class inglese di fronte all’industrialismo degli albori del Novecento. Una reazione fondata sul rifiuto dei tabù vittoriani e sul disprezzo degli affari, a cui veniva contrapposto il culto delle lingue morte, degli ideali cavallereschi, delle utopie sulla “giusta condotta”. In tale reazione, inoltre, si rifletteva l’immagine che la comunità universitaria cantabrigese aveva di sé stessa: un’isola di sapere e di civiltà circondata da orde di barbari e filistei. Solo nel 1903, quando Joseph Chamberlain lancia un appello in favore del protezionismo, Keynes si schiera apertamente a sostegno del libero scambio. Aderisce al manifesto di Marshall, pubblicato sul “Times” il 15 agosto, in cui si confutava l’equazione tra aumento delle importazioni e aumento della disoccupazione. Pochi mesi dopo scrive a Bernard Swithinbank, allievo con lui a Eton: “Signore, odio tutti i preti e i protezionisti (…) Libero scambio e libero pensiero! Abbasso i pontefici e le tariffe. Abbasso quelli che dichiarano che siamo dannati e rovinati da importazioni a basso costo”.

La personalità poliedrica di Keynes colpisce fortemente Pigou, il quale nel giugno 1904 ne traccia sul periodico universitario “Granta” un ritratto ammirato: “Le pareti della sua stanza tradiscono un vasto numero di interessi: centinaia di libri antichi e curiosi; l’immagine di Ibsen come segno di amore per il teatro; di Erasmo per il protestantesimo; la tessera del Liberal Club per la politica; il menù della cena per la gastronomia; volumi leggibili di filosofia e illeggibili di matematica (…) E non è tutto. Riesce a essere un intelletto chiaro senza farsi odiare dalle menti confuse. Si tratta di una virtù notevole, che dimostra come egli, oltre all’insignificante dote dell’intelligenza, affianchi quella superiore della simpatia”.

Sono le doti che consentono a Keynes di mietere amicizie e successi in ogni campo. L’unico apostolo a tenergli testa è Strachey. Un “bizzarro gentleman, dai disastrosi denti da cavallo” -come lo descrive il suo biografo Michael Holroyd- che proveniva da una famiglia con antiche radici nell’amministrazione imperiale britannica. La sua ironia corrosiva, il suo originalissimo eloquio, il suo piglio un po’ ieratico, suscitano in Keynes sentimenti di stima e di rispetto. Il legame che li unisce diventa subito affettuoso, ma rischia di spezzarsi quando entra in scena Arthur Lee Hobhouse, uno studente del Trinity “oppidan”,ossia di estrazione aristocratica. Lytton lo presenta a Maynard il 30 novembre 1904 come un “embrione”, cioè un potenziale apostolo.

Qualche giorno dopo scrive a Leonard Woolf: “Hobhouse è biondo, ha capelli ricci, carnagione delicata, naso arcuato, viso delizioso e un’aria incantevole(…) Sono innamorato e Keynes, che ha pranzato insieme a lui, oggi(…) è convinto sia la persona giusta. È terribile e affascinante come deve essere un embrione”. Grazie ai suoi due autorevolissimi sponsor, Hobhouse viene eletto apostolo. Ma quando rivolge le sue attenzioni a Maynard, Lytton ne rimane sconvolto. Nella sua autobiografia, Russell confessa: “Dopo una lunga e estenuante battaglia fra George Trevelyan e Lytton Strachey (…) i rapporti omosessuali tra gli apostoli per un certo tempo divennero frequenti, ma alla mia epoca erano ignoti”.

Nei diciassette anni successivi a quella con Hobhouse, Keynes ebbe diverse relazioni omosessuali, di cui una -con il pittore Duncan Grant- molto importante. Anch’essa motivo di un’altra crisi rovinosa dei suoi rapporti con Strachey. La tesi di Skidelsky è che ambedue, fin dall’adolescenza, erano cresciuti con l’opinione “aristotelica” che le donne fossero creature inferiori o imperfette. Quindi ritenevano che l’amore per i giovani uomini fosse spiritualmente più elevato, tanto da elaborare una dottrina etica della “Suprema Sodomia”. Beninteso, Keynes era pienamente consapevole di camminare sul filo del rasoio. Le disavventure e la condanna di Oscar Wilde bruciavano ancora. “Sino a quando non si ha a che fare con le classi inferiori o la gente di strada -scrive a Strachey nel 1906- e si è discreti nelle lettere a terzi, non si corre nessun pericolo, o quasi”. Maynard e Litton erano convinti che le future generazioni li avrebbero considerati come dei pionieri, non come dei criminali. Conservarono dunque con cura la loro corrispondenza epistolare, certi che un giorno sarebbe stata resa di pubblico dominio.

Il 1906 è però anche l’anno in cui le donne e la politica fanno il loro ingresso a Cambridge. Complici il successo elettorale del partito laburista e l’avanzata del movimento delle suffragette, viene riattivata da Been Keeling la Fabian Society, primo club universitario a cui erano ammessi entrambi i sessi. Il radicalismo cantabrigese si tingeva di colori socialisti e femministi. Tra gli studenti emerge la personalità prorompente di Rupert Brooke, per niente esteta e per niente omosessuale. Comincia a far sentire la propria voce un manipolo di donne colte, attraenti e ribelli. Gli incontri di lettura per soli maschi nelle locande vengono soppiantati dai campeggi, dalle escursioni e da quei bagni promiscui che metteranno a disagio la pudica Beatrice Webb.

Maynard non è indifferente al vento del cambiamento. Alcune donne, in particolare Ka Cox, Daphne e Brynhild Olivier, entrano nella cerchia delle sue amicizie più strette. Annuncia al padre esterrefatto di “essere a favore della confisca della ricchezza”. Più in generale, le sue scelte politiche di allora rispondevano all’idea che le imposte progressive fossero la principale alternativa al protezionismo. Quando la Camera dei Lord boccia il budget proposto dal Cancelliere dello Scacchiere Lloyd George, portando il paese alle urne, nel dicembre 1909 scrive un articolo per il “Cambridge Daily News” in cui invitava a votare liberale, persuaso che una vittoria dei conservatori avrebbe spinto l’Inghilterra nel caos economico e istituzionale.

Nonostante il suo impegno nella campagna elettorale, Keynes non guarda a Westminster o alla City, ma al quartiere Bloomsbury di Londra. Affitta una camera da letto a Fitzroy Square, nello stesso edificio in cui alloggiava Duncan Grant. Il “gruppo di Bloomsbury” si era già formato. Nasce nel marzo 1905, quando i giovani Stephen -Vanessa, Virginia, Thoby e Adrian- danno inizio ai loro giovedì sera “At Homes” al 46 di Gordon Square. Si aggiungono subito dopo gli amici cantabrigesi di Thoby: Saxon Sidney-Turner, Clive Bell, Litton Strachey e Desmond MacCarthy.

Ma è solamente nel novembre 1910 che gli inglesi scoprono l’esistenza del Bloomsbury. Roger Fry, un vecchio apostolo che aveva lavorato al Metropolitan Museum di New York, organizza una mostra presso le Grafton Galleries dedicata a Manet e ai post impressionisti. Vengono esposte decine di opere di Cézanne, Gauguin e Van Gogh. Pubblico e critici gridano allo scandalo. I dipinti francesi vengono bollati come fantasie di pazzoidi. I “bloomsburiani”, al contrario, li difendono con entusiasmo. Meno dirompente, ma più spettacolare per le ripercussioni sulla vita artistica londinese, fu la stagione dei balletti russi nel giugno 1911. Leonard Woolf racconta così l’eccitazione del gruppo in quella “meravigliosa estate assolata”: “(…)Sera dopo sera affollavamo il Covent Garden, estasiati da una nuova arte, una rivelazione per noi ottusi britannici, il balletto russo di Djagilev e Nizinskij” (una sua ballerina, Lydia Lopokova, sposerà Keynes nel 1925).

Inoltre, sembrava che “il militarismo, l’imperialismo e l’antisemitismo fossero in ritirata” (“Beginning Again”,1965). Era come se il gruppo di Bloomsbury non avvertisse alcun segno premonitore della tragedia che stava per abbattersi sull’Europa: soltanto un gioioso senso di risveglio dopo la lunga notte vittoriana. Le serate “At Homes” e quelle al Covent Garden – dirà Virginia Woolf nel 1922- “furono, per quanto mi riguarda, il seme da cui nacque tutto quello che è stato poi chiamato Bloomsbury”. Un seme cresciuto in un ambiente intriso di cruda sincerità nei rapporti personali, di passione per la letteratura e le arti figurative, di ripudio delle convenzioni sessuali borghesi, di ostilità nei confronti delle fedi religiose.

Per il gruppo non esisteva credenza, come aveva insegnato Moore, che potesse esimersi dal consenso della ragione. Lo stesso valeva per il marxismo. Del resto, i “bloomsburiani” concepivano la cultura come una leva non per modificare i rapporti sociali, ma per orientare l’élite del paese contro l’ipocrisia dei costumi correnti. In fondo, il loro messaggio era diretto esclusivamente alla classe media con alto grado di istruzione. Nel corso degli anni, il gruppo riuscirà a trovare sbocchi e tribune per il proprio lavoro in prestigiose riviste e gallerie d’arte, e a diventare così un’influente forza intellettuale. Un ruolo conquistato grazie anche all’acume finanziario di Keynes e alla sua generosità personale. Condannato o prescelto, per capacità e inclinazione, ad agire più nel mondo dei mezzi che non nel mondo dei fini, questo era il suo modo di promuovere e di rendere omaggio a quella concezione della “vita buona” che condivideva con gli amici.

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