Su quella faccia un po’ dimessa e rassegnata del premier israeliano mentre si accomiata – credo – dal presidente americano Joe Biden o lo ascolta nel briefing davanti alle telecamere nella sua breve e dimezzata missione in Medio Oriente si legge con chiarezza tutto il dramma ebraico anche di questo secolo. Non è bastato evidentemente quello del secolo scorso, cioè l’Olocausto compiuto da Hitler. Che tutti, inorriditi, a guerra mondiale finita promisero che non avrebbero mai più permesso.
IL RUOLO DI BIDEN NELLA CRISI ISRAELE-GAZA
Diciamo le cose come stanno realmente, senza infingimenti. Joe Biden ha trattenuto Israele sulla strada della reazione, pur giustificata in partenza e in qualche modo protetta da due portaerei degli Usa mandate in prossimità del teatro di guerra scatenata il 7 ottobre dal proditorio attacco dei terroristi palestinesi di Hamas.
Eppure il presidente americano non è riuscito a spegnere il fuoco nelle cosiddette piazze arabe, che non gli hanno creduto. Esse, da Beirut al Marocco, come ha titolato il Corriere della Sera, sono insorte contro lo sgradito ospite del Medio Oriente, incoraggiate sostanzialmente dal presidente egiziano, dal re di Giordania e dal presidente della cosiddetta Autorità Palestinese sottrattisi ad un incontro con Biden cui inizialmente si erano mostrati disponibili. E lo hanno fatto col pretesto di una strage – quella nell’ospedale di Gaza – intervenuta con sospetto tempismo e dall’assai controversa paternità. Hamas e Israele si palleggiano o rinfacciano le colpe: la prima creduta dalle piazze, appunto, e la seconda creduta da Biden anche per quel che risultava e risulta al Pentagono.
LA RABBIA ARABA ATTECCHISCE IN ITALIA
In Italia “la rabbia araba”, come l’ha chiamata Il Messaggero, ha subito attecchito purtroppo, e al solito, a sinistra. Dove, pur giuntovi da altri lidi, avendo a suo tempo sostenuto la fine delle ideologie e dei vecchi schemi politici e messosi a contemplare ammirato, le cinque stelle del movimento grillino, peraltro fondato da un comico abituato a frequentare nei suoi soggiorni romani l’ambasciata della Cina comunista; in Italia, dicevo, la “rabbia araba” ha trovato la sua eco nel titolo dell’ormai sinistro – politicamente – Fatto Quotidiano. Che ha accusato Biden di “doppio gioco”.
Quello degli altri invece, da Al Sisi ad Abu Mazen, sarebbe un gioco unico, lineare, tutto a favore della pace nel tormentatissimo Medio Oriente. Dove i palestinesi, e non solo gli israeliani, sono le vittime di campagne d’odio senza fine. D’odio – aggiungo – e anche di interessi ai quali non sono estranei né la Russia né la Cina, i cui capi non a caso hanno trovato proprio in questi giorni l’occasione di un incontro diretto e amplificato mediaticamente.
Poveri israeliani e poveri arabi, poveri ebrei e poveri palestinesi. E povera Europa, sempre ai margini con i suoi confini, di terra e di acqua, violati di giorno e di notte da disperati in fuga infiltrati da terroristi di esportazione, o formazione, come quel tale sbarcato a Lampedusa e finito stragista a Bruxelles.