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Javier Milei è il Beppe Grillo del liberismo?

L'intervento del presidente argentino Milei a Davos analizzato da Claudio Negro

Il clamore destato dall’intervento del Presidente argentino Milei al forum di Davos non può essere stato determinato da altro che dalla sorpresa causata in un consesso un po’ paludato ma comunque di alto livello dall’irruzione di un intervento che, per spessore e intransigenza, richiama le assemblee del Movimento Studentesco.

Intendiamoci, a differenza del Movimento Studentesco qui siamo di fronte ad un soggetto che dispone di potere reale, e le cui affermazioni quindi non possono essere considerate puramente declaratorie, ma potranno essere verificate in concreto. E probabilmente il concreto sarà abbastanza differente dal declamato, e su questo Milei andrà giudicato.

Tuttavia ho l’impressione che il discorso abbia colpito e aperto interrogativi per i suoi contenuti in se stessi, piuttosto che per come potranno essere.

COSA HA DETTO MILEI A DAVOS

E allora credo valga la pena di valutarli nel merito declinati (i periodi virgolettati sono citazioni testuali dal discorso di Davos). Innanzitutto l’intero intervento si riconduce al dualismo capitalismo-collettivismo: categorie totalizzanti che non ammettono mediazioni o approssimazioni. Il capitalismo è “di libera impresa” e si identifica con la libertà totale dell’individuo nel libero mercato. Ciò stabilito possiamo affermare che il capitalismo è stato il motore del più grande sviluppo economico mai visto, che ha ridotto la percentuale della popolazione mondiale in miseria dall’80% al 5%. Purtroppo buona parte di coloro che sono usciti dalla povertà lo hanno fatto in contesti né di libero mercato né di libertà dell’individuo dentro o fuori dal mercato.

L’INTERVENTO STATALE È DAVVERO DANNOSO?

Tuttavia Milei insiste nell’affermazione che il collettivismo è stato un fallimento storico, anche nella sua più moderata declinazione dell’intervento statale. “…l’intervento statale è dannoso, e l’evidenza empirica dimostra che è un fallimento”: un falso storico! Il maggiore incremento di ricchezza si è determinato nel periodo nel quale sono prevalse le teorie economiche “neoclassiche” (che Milei bolla con intolleranza dottrinaria) e lo Stato ha assunto un ruolo decisivo nella redistribuzione della ricchezza e nella regolazione del mercato: le socialdemocrazie nordiche, il capitalismo renano, le società del welfare, hanno garantito crescita economica per tutti e libertà sia economiche che individuali.

Ma Milei contesta anche questa funzione dello Stato, affermando che “con strumenti come l’emissione monetaria, l’indebitamento, i sussidi, il controllo del tasso di interesse, il controllo dei prezzi si possono controllare i destini di milioni di esseri umani”. Nessun chiarimento circa il modo in cui dovrebbe funzionare e quale ruolo dovrebbe avere la moneta, una volta liberata da quegli odiosi strumenti.

Milei però è coerente, e arriva all’unica conclusione possibile di questo percorso: “lo stato si finanzia attraverso le tasse e le tasse vengono riscosse in modo coercitivo. Oppure qualcuno di noi può dire che paghiamo le tasse volontariamente?” Dunque lo Stato comprime le libertà ed è antitetico alla libertà dell’individuo nel libero mercato. E’ il Male contro il Bene: infatti “è impossibile che esista qualcosa come un fallimento di mercato” e “se le transazioni sono volontarie, l’unico contesto in cui può verificarsi un fallimento di mercato è se vi è coercizione, e l’unico con capacità di coercizione in modo generalizzato è lo stato che ha il monopolio della violenza”.

LA FEDE DI MILEI NEL LIBERO MERCATO

La Fede (non semplicemente fiducia) che Milei ha nel mercato è di carattere ideologico, non differente, se non per segno, a quella che gli ideologi staliniani riponevano nello Stato. È una ideologia rudimentale, che ignora il dibattito plurisecolare sul Contratto Sociale e la natura dello Stato, e pare quasi evocare il mito del Buon Selvaggio come abitante ideale del Libero Mercato. Ed è sbattuta in faccia all’establishment dell’Economia in modo provocatorio e perfino simpatico, come se il nostro amico si rendesse conto di aver bisogno di un’esagerazione, una boutade clamorosa per giustificare e avere consenso su tutta una serie di interventi che intende fare in Argentina, e che ovviamente saranno clamorosi e contestati, ma avranno una portata ben minore di quella palingenetica lasciata intendere dal discorso di Davos. Io almeno la vedo, e la spero, così; anche se le ultime parti del discorso, sulla parità uomo donna e sulle politiche ambientali rimandano ad un approccio da Bar Sport che non si capisce se sia per depistare o genuino (?!).

Credo che sia opportuno riportare tutto alla sua origine, cioè quella di un lancio pubblicitario per giustificare poi operazioni molto più concrete e magari anche condivisibili, piuttosto che instaurare un dibattito sulle sciocchezze declamate da Milei, magari col secondo fine di fare un po’ di confusione in casa nostra…

E, al proposito, è opportuno ricordare che il Nostro si qualifica anche per alcune particolarità discutibili: è sfegatato sostenitore di Donald Trump e di tutte le sue teorie della cospirazione (compresa l’eversiva negazione dell’esito elettorale del 2020, base dell’assalto al parlamento del 2021), ed è stato consigliere del generale Antonio Bussi (al tempo della breve carriera parlamentare del gentiluomo, successivamente condannato per i reati di tortura, rapimento e genocidio durante la dittatura militare).

Sarebbe opportuno che politici, commentatori e giornalisti non prendessero troppo sul serio il personaggio e in particolare le sue teorizzazioni che non hanno più dignità di quelle di Beppe Grillo; c’è soltanto da augurarsi che, al termine della pubblicità, agisca con pragmatismo: l’Argentina ha senz’altro bisogno di un bagno di realismo e forti dosi di libero mercato.

Se poi vogliamo fare un po’ di liberismo pure noi, potremmo cominciare dai tassisti, dai balneari, dalle municipalizzate…

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