Riprendiamo la proposta che avevamo lanciato a Giorgia Meloni perché assuma come simbolo Iliass Aouani, perché nel frattempo sono intervenute due novità importanti: la premier ha rivolto le sue congratulazioni pubbliche a Mattia Furlani, che a Tokyo ha vinto l’oro nel salto in lungo affermandosi come il più giovane di sempre a ottenerlo, e Sergio Mattarella ha indicato Willy Monteiro come “italiano esemplare”, andandolo a ricordare a Colleferro dove il ragazzo è stato ucciso.
Qual è la breve e semplice lezione che possiamo trarre da queste tre storie di italiani dalla pelle più scura e dalle origini straniere? La prima e la seconda si inseriscono nel filone sportivo, dove da sempre registriamo le performance degli atleti di colore, che hanno contribuito per tanti anni ai record e alle medaglie statunitensi e poi all’affermazione nelle graduatorie olimpiche di paesi soprattutto africani. Con estremi indicativi come quello di nazionali, la francese per esempio, dove i calciatori scuri erano in netta maggioranza.
Già questo è un punto di partenza indicativo. Quest’anno nel campionato di serie A abbiamo raggiunto il massimo numero di giocatori stranieri, la qualità media dei calciatori autoctoni e italiani “al 100%”, cioè retrocedendo nelle generazioni, è tanto scarsa che anche il passaggio di coaching della squadra azzurra da Spalletti a Gattuso si teme non produca risultati miracolosi. Solo riuscire a partecipare ai mondiali e agli europei, per quella che un tempo fu la nazionale più forte del mondo, appare un miraggio. E serpeggia il malumore per le naturalizzazioni frettolose per arruolare con passaporto italiano sportivi provenienti, per esempio, dal Sudamerica.
Qui entrano in gioco cambiamenti sociali e differenze fisiologiche. In alcune discipline, certe aree del pianeta producono sportivi di qualità mediamente migliore; e poi, soprattutto, c’è la progressiva disaffezione verso il calcio dei giovani italiani, peraltro compensata dalla passione in altri sport nei quali stiamo ottenendo risultati importanti. Ma forse, ed è dove vogliamo arrivare, c’è anche il maggior investimento entusiastico e volontaristico dei giovanissimi che arrivano da fuori Italia nel tentativo di diventare dei campioni. Forse, i nostri bambini con radici all’estero hanno più voglia di “fare i calciatori” da grandi, o di fare una qualunque cosa che dia soddisfazione e gloria. A loro e ai loro genitori. Non a caso Aouani ha tanto ringraziato i propri e la mamma-atleta senegalese di Furlani ha tenuto a chiarire che il figlio ha vinto perché le ha “ubbidito”.
Così arriviamo, senza assolutizzare il valore statistico di queste considerazioni, alla terza e tristissima storia del povero Willy, massacrato a Colleferro da due italianissimi e bianchissimi coatti, giustamente condannati a pene molto pesanti. Da un lato il ragazzino intervenuto per difendere l’amico in difficoltà, dall’altra i due infami picchiatori. Conta il colore della pelle dei protagonisti? Ovviamente no; o magari sì, ma pochissimo. Nel senso che il caso esemplare di Willy conferma l’impressione che i nostri connazionali dalla pelle scura, gli stranieri che ambiscono a diventarlo, che giungono da noi o espatriano in cerca di fortuna abbiano un quid, un pizzico in più di decisione, di determinazione.
L’impressione – ripetiamo, non suffragata scientificamente – è che chi si porta dietro le tracce della fame, chi le rinviene ancora nella generazione precedente alla propria, affronti la vita con una spinta in più rispetto a chi nasce pasciuto e cresce viziato. Che l’italico e occidentale gelo demografico sia sintomo non di semplice egoismo ma, forse è peggio, di soddisfazione, di mancanza di desideri reali e profondi, tanto che il marketing ne deve inventare di sempre nuovi per sostenere consumi, sprechi e Pil. In questo senso, si spiegano ancor meglio la perifericità europea nello scenario internazionale e il contraddittorio sforzo di Donald Trump per ripristinare la “grandezza” americana. In questo senso ha perfettamente ragione il generale Vannacci, a dire che gli italiani dalla pelle scura non ci rappresentano perfettamente.