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Italia Libia

Cosa deve fare l’Italia in Libia

L'intervento di Marco Mayer su Libia e non solo

Perché – dopo un ritardo secolare – la questione meridionale possa essere affrontata con successo dai 200 miliardi europei del Recovery Fund c’è una condizione imperativa di cui nessuno parla: la politica estera italiana deve tornare ad essere lungimirante e ambiziosa!

Il futuro del sud è, infatti, indissolubilmente legato alla sua capacità di diventare un’area nevralgica di scambi economici, di cooperazione ambientale, sanitaria e digitale e di relazioni scientifiche e universitarie con i paesi del Mediterraneo allargato e dell’Africa.

Perché ciò si concretizzi non ci si può limitare alla dimensione europea che appare spesso impotente in materia di politica estera. Di fronte alle recenti “conquiste ” turche a Misurata, al grande attivismo russo nell’area, non è proprio il caso di aspettare; del resto è l’iniziativa di uno o più Stati membri a spingere la Ue ad agire in una cornice comune.

Per questo occorre un immediato salto di qualità delle relazioni bilaterali con numerosi paesi a partire dalla Libia. L’impressione è che in queste settimane le missioni della Farnesina sulla sponda sud siano di corto respiro; quasi esclusivamente rivolte ad ottenere un titolo di giornale sui rimpatri.

La dimensione è ben altra e in questa prospettiva si potrebbe immaginare – solo per fare un esempio – un grande programma straordinario di cooperazione interuniversitaria tra gli atenei italiani e quelli del Maghreb nel campo della medicina e della sicurezza.

Ma la Libia e Tripoli in particolare dovrebbe essere oggetto di un impegno davvero speciale della Farnesina in stretto contatto con i Ministeri di spesa interessati.

Con i libici (non è facile per le tante divisioni interne e interferenze esterne) l’Italia dovrebbe concordare interventi consistenti e immediati per la città di Tripoli; per il porto e la sua gestione, per l’aeroporto con un potenziamento dei suoi collegamenti interni e con i paesi confinanti, per i presidi sanitari e ospedalieri, per i collegamenti anche ferroviari con la cruciale area del Fezzan dove gruppi terroristici hanno purtroppo trovato supporti logistici e operativi locali.

Gli spazi di azione per un ruolo centrale e propulsivo dell’Italia in Libia ci sono tutti anche in vista di future cooperazioni sul campo. Numerosi nostri alleati europei non vedono, infatti, con favore né la crescita esponenziale e repentina dell’asse Tripoli/Istanbul/Ankara/Doha per quanto attiene il fronte occidentale né il patto tra Bengasi, Abu Dhabi e Mosca su quello orientale.

Nella lista del Recovery Fund i Ministri Gualtieri, Amendola e Provenzano dovrebbero inserire subito progetti e iniziative basate a Sud, ma con le caratteristiche di Hub rivolti all’esterno: alla Libia e a tutta la area mediterranea. In questa cornice il Mezzogiorno d’Italia potrebbe diventare una grande piattaforma euro-mediterranea in termini di diplomazia, asset militari, cooperazione tecnologica e marina, investimenti economici, sociali e sanitari. Il contrario di Gioia Tauro e dunque non un terminale di operazioni opache, ma un centro propulsivo di progetti positivi e di crescita.

Le premesse ci sono, c’è il caposaldo di ENI, c’è una presenza militare italiana di eccellenza (come in tutti i teatri stranieri dove operiamo), c’è un’ottima tradizione di cooperazione sanitaria e di scambi culturali e archeologici. Anche sul piano umanitario e dei diritti umani un intervento italiano a 360 gradi toglierebbe ogni alibi.

In accordo con le Nazioni Unite si tratta di negoziare come condizione “sine qua non” di tutti i programmi operativi la più dura repressione dei trafficanti e la demolizione dei centri di detenzione.

Il problema in tutto questo scenario è che la grande assente – come spesso accade in Italia – è la politica. C’è una tendenza endemica ad essere subalterni: nello scorso decennio alla Francia sulla Libia e alla Russia sull’energia, oggi alla Cina sul 5G e sulle telecomunicazioni. Non c’è bisogno di scomodare il controspionaggio e tantomeno le procure. Oggi tante entità nostrane (imprese, studi professionali, import/export, ecc.) lavorano in piena legalità (più o consapevolmente) contro i nostri interessi nazionali ed anche per contrastare la coesione europea. Liberissimi di farlo se non incorrono in reati.

L’interrogativo è un altro: è o non è l’ora di ridare alla politica ciò che è proprio della politica: Servire il Paese. Non so cosa Luigi Di Maio voglia fare da grande. Ma immagino che tenga alla sua reputazione e voglia lasciare un buon ricordo alla Farnesina. Cosa aspetta? I litigiosi leader libici, le diplomazie turche e russe, i paesi arabi non stanno con le mani in mano. È solo prendendo in mano con grinta e perseveranza il dossier Libia che il Ministro degli Esteri può ricreare fiducia verso l’Italia nel Mediterraneo e in Europa.

Solo riprendere con vigore un ruolo di primo piano in Libia può aprire la strada ad una politica mediterranea e di cooperazione con il continente africano che è la condizione essenziale per la rinascita del Mezzogiorno e di conseguenza dell’Italia intera. Altrimenti con le navi militari russe a Sirte e con quelle turche a Misurata non solo il Mezzogiorno resterà ai margini del futuro del Mediterraneo, ma il declino del nord e dell’Italia intera diventerà irreversibile.

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