Italia paese a sovranità limitata?
L’avremo sentito ripetere chissà quante volte l’assioma secondo cui Roma sarebbe suddita dell’impero americano. Ma è la prima volta che qualcuno ci definisce supini non agli yankee ma agli islamici sciiti libanesi noti al mondo col nome di Hezbollah.
La provocatoria tesi ha attirato la nostra attenzione soprattutto perché non proviene da un propagandista pescato a strascico sui social o da qualche intellettuale eterodosso in cerca di visibilità. No, quel tweet molto scomodo ha origine dal rarissimo sfogo di un illustre esperto di strategia e geopolitica come Germano Dottori.
Mi assumo un rischio, ma qualcuno dovrà pur dire certe cose. L'Italia ha rinunciato alla sua libertà di esprimersi sull'Iran nel momento stesso in cui, nel 2006, ha schierato nella tana dell'Hezbollah mille soldati – ormai 1200 – per giunta dotati esclusivamente di armi leggere
— Germano Dottori (@GermanoDottori) April 16, 2024
Saremmo succubi della milizia radicale armata creata quarant’anni fa dall’Iran per controllare il Libano, dice in sostanza Dottori, perché dal 2006 schieriamo in quel paese oltre mille soldati entro il dispositivo chiamato Unifil, ossia la missione Onu istituita quell’anno col duplice compito di fare da cuscinetto tra due belligeranti come Hezbollah e Israele allora appena usciti da una guerra devastante durata due mesi e mezzo, e di presiedere al disarmo dello stesso Hezbollah.
Ma, e qui sta il problema che legittimamente pone il professor Dottori, in 18 anni Unifil ha sì svolto egregiamente il primo compito (senza impedire però periodici bombardamenti reciproci infiammatisi non a caso dopo il 7 ottobre); ma quanto al secondo obiettivo – il disarmo dei militanti -, il bilancio è un disastro.
Hezbollah oggi è molto più armato e pericoloso di allora, e continua a agire per conto di Teheran come fattore di caos e destabilizzazione. Il tutto sotto lo sguardo impotente di centinaia di militari di vari paesi con le mostrine del Palazzo di Vetro.
E il risultato di questa ennesima debacle ONU in salsa italica è che ora quegli uomini sono una spina nel fianco della politica estera di un governo, quello guidato da Giorgia Meloni, che in quel quadrante vorrebbe giocare con mani libere, difendendo apertamente Israele senza il timore di una vile ritorsione sui nostri caschi blu che i militanti sciiti non esiterebbero a scagliare se, putacaso, Antonio Tajani rilasciasse una dichiarazione di troppo.
Magari non ne abbiamo la capacità, deve aver pensato Meloni sabato notte mentre su Israele piovevano i missili di Teheran, ma dovremmo esserci anche noi italiani laggiù a difendere Israele e gli ebrei dal piombo e dall’esplosivo degli ayatollah e dei loro alleati libanesi. E anche se non volessimo esporci fino a quel punto, quanta rabbia nel non poter alzare davvero la voce contro uno stato canaglia e i suoi impresentabili alleati nella certezza che il prezzo da pagare sarebbe altissimo.
Ma il vero tema sollevato da Dottori è un altro ed è spinosissimo: qual è oggi il senso di una missione militare costosissima quanto inefficace nel perseguire uno dei suoi obiettivi chiave, ovvero impedire a un gruppo armato di ricattare e nuocere ai suoi avversari interni ed esterni e persino a paesi amici e generosi come il nostro?
Forse Dottori ha sbagliato a non taggare il ministro Crosetto. E già che c’era, anche quel Massimo D’Alema che nel 2006, da nostro ministro degli Esteri, fu regista del varo di quella missione benedetta da una memorabile passeggiata a Beirut a braccetto col collega libanese e un esponente Hezbollah di troppo.