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Governo Libico

Tutte le prossime sfide dell’Italia in Libia

L’Italia deve evitare di trovarsi assieme a Francia ed Emirati Arabi Uniti tra gli sconfitti del conflitto in Libia. L'analisi di Paolo Quercia tratta da Affari Internazionali

Le ultime settimane ci hanno riservato una serie di cambiamenti importanti nel conflitto libico che aprono una nuova fase, la quinta e forse l’ultima del conflitto. I cambiamenti sul terreno erano attesi da tempo dopo il ritiro del supporto russo alle posizioni più avanzate delle forze del generale Haftar, ormai impantanate in un non più sostenibile assedio nei sobborghi di Tripoli.

Negli scorsi mesi, mentre l’Europa era chiusa nel suo bunker anti-Covid in attesa della fine del mondo, la Turchia ha gettato ulteriori assetti militari sul terreno (non troppi e non solo militari, a conferma che all’interno di un conflitto non c’è separazione tra livello militare e livello politico). Più che i miliziani siriani – affluiti su entrambi i fronti ma quantitativamente e qualitativamente irrilevanti per cambiare gli esiti del conflitto – sono stati determinanti gli assetti di guerra aerea di Ankara, con cui il Gna ha acquisito la supremazia sulle forze di Haftar; e la parallela azione diplomatica turca che, agendo tra Washington, Mosca e Tel Aviv, ha creato lo spazio politico per la riscossa del Gna.

LA QUINTA FASE DEL CONFLITTO

Sarebbe tuttavia sbagliato pensare che il conflitto libico sia finito, perché le sue caratteristiche non sono quelle possono portare facilmente verso una soluzione politica e una stabilizzazione del territorio. La guerra civile libica appare destinata  piuttosto a transitare tra varie fasi, che si differenziano per maggiore o minore intensità dei combattimenti e soprattutto per la prevalenza di uno o dell’altro degli attori esterni.

La quinta fase, quella della controffensiva del Gna verso la Cirenaica, è la fase della prevalenza strategica turca che ha ora la possibilità di pilotare la guerra civile verso un frozen conflict che rafforzi i suoi interessi e le sue posizioni.

Tutto ciò in un gioco delle parti con Mosca che per il momento ancora regge e crediamo sopravvivrà anche ad una eventuale caduta di Haftar. Turchia e Russia hanno difatti costruito un’ampia cornice geopolitica di collaborazione che dai Balcani, all’Ucraina, al Caucaso, alla Siria, alla Libia vede la strana coppia sempre coinvolta come attori esterni da parti opposte di numerosi conflitti; e con un patto implicito di non spingere il conflitto oltre certi limiti e di supportare i belligeranti locali all’interno di alcune linee rosse. Ciò consente a Mosca e ad Ankara tanto di aumentare la sempre maggiore dipendenza degli attori locali, quanto di distanziare altri attori esterni che non possono muoversi nella stessa cornice di competizione controllata.

IL NODO DI SIRTE E DI AL JUFRA

Una volta sciolto il nodo di Sirte – il principale terminal petrolifero libico – il conflitto dovrebbe proseguire a bassa intensità, una volta che verrà a delinearsi un nuovo confine militare e saranno stabilizzate le aree di influenza. Non ci sembra realistico che la Turchia sostenga le forze del Gna in un improbabile tentativo di riconquista della Cirenaica, anche se la volontà di portare ad un’estromissione di Haftar potrebbe indurre il Gna ad andare oltre.

Più complesso resta il nodo di al Jufra, la città a sud di Sirte dove sono stati concentrati i rinforzi aerei del Lna provenienti dalla Siria e che i russi vorrebbero mantenere. L’Egitto e la Russia sembrano disposti a mollare Haftar pur di vedere confermata una loro influenza su parti di una Cirenaica de facto autonoma. Le prossime settimane saranno cruciali per trovare i confini di queste sfere mobili di influenza, visto che i territori ancora sotto controllo del Lna vanno ben oltre la Cirenaica storica.

ABBANDONARE IL TAOISMO ALL’ITALIANA NELLA NOSTRA POLITICA LIBICA

Di fronte a questi cambiamenti e a una prossima ridefinizione dei fronti del conflitto l’Italia deve rafforzare la sua presenza e segnare con chiarezza le sue posizioni, altrimenti rischia di trovarsi assieme a Francia ed Emirati Arabi Uniti tra gli sconfitti del conflitto, non per essere stata dalla parte perdente ma per non aver giocato con chiarezza ed efficacia il suo ruolo.

(estratto di un articolo pubblicato su Affari Internazionali; qui la versione integrale)

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