La Libia in questo momento non va di moda. Da venerdì sono scoppiate le proteste in varie parti del Paese, con manifestazioni anche violente a causa dello stallo politico, il mancato voto di dicembre, le condizioni di impoverimento della popolazione, la mancanza di elettricità. Le proteste hanno interessato varie città, da Sirte a Tobruk, Sebha e Misurata e i alcuni cittadini sono scesi per le strade con indosso i gilet gialli.
Ma in Italia e in Europa fanno orecchie da mercante nonostante il ruolo strategico del Paese a livello energetico (petrolio e gas) e per il flusso dei migranti. Tutti d’accordo che il Paese è una polveriera e che stabilizzare la Libia è fondamentale. Ma al momento il tema non sembra entrare nelle agende delle cancellerie europee.
Mario Draghi appare disinteressato alla questione e il ministro degli Esteri tra guerra in Ucraina, passerelle Nato e scissioni del M5S, ha altro a cui pensare. Eppure sul dossier Libia pare che Luigi Di Maio abbia chiesto l’esclusiva. E Draghi l’avrebbe concessa, forse fidandosi troppo. E così, l’Italia ha nominato un inviato speciale in Libia, Nicola Orlando. Persona capace e preparata ma “non lo lasciano fare”, raccontano fonti locali. Il responsabile della Farnesina, inoltre, avrebbe anche ignorato la nostra presenza militare in Libia: “Nessuna visita o sostegno”, lamentano da quelle parti. E pure se il ministro della Difesa ha sovente espresso il desiderio di occuparsene, Di Maio avrebbe fatto valere la sua esclusiva sul dossier impedendogli di agire. Come sempre, quindi, da Roma manca l’input politico agli uomini sul campo affinché possano adoperarsi per costruire un ruolo del nostro Paese in Libia.
Anche nei tavoli delle trattative in Egitto e Marocco, sempre sulla questione libica, abbiamo fatto tappezzeria. Continuiamo a subire le decisioni degli altri, in particolare di Russia e Turchia che, nonostante l’impegno in Ucraina, non mollano il Paese nordafricano. E la politica italiana non sarebbe preoccupata neanche per l’accordo tra Russia e Algeria che hanno deciso di appoggiare la candidatura di Saif Gheddafi nel sud del Paese. Il progetto sarebbe quello di dividere la Libia in 3 aree, alla vecchia maniera: Tripolitania, Cirenaica e Fezzan.
Nel frattempo, entità locali libiche e extraterritoriali provano a cavalcare le proteste. Secondo Libya Observer, 31 partiti politici hanno rivolto un appello al Consiglio di Stato di Tripoli e alla Camera dei rappresentanti di Tobruk, affinché si definisca al più preso una data per il voto. Il premier “scaduto” Abdel Hamid Dbeibah, messo lì dall’Onu, non molla la poltrona nonostante il suo mandato si sia concluso a dicembre quando si sarebbe dovuto votare. Ma poi la tornata elettorale è saltata e la situazione si è fatta incandescente, più del solito. Fathi Bashagha, ex ministro dell’Interno di Sarraj, è stato nominato premier dal Parlamento di Tobruk e a maggio ha tentato di entrare a Tripoli, ma le cose sono andate male sfociando nello scontro armato tra le fazioni a supporto di Dbeibah e Bashagha.
Oggi ad Ankara, Mario Draghi parteciperà al summit intergovernativo italo-turco insieme a 5 Ministri, tra cui quello della Difesa e degli Esteri. L’obiettivo è il rilancio della cooperazione tra i due Paesi. E quindi saranno firmati accordi commerciali accompagnati da grandi sorrisi e strette di mano per le foto opportunity. Poi si parlerà di Ucraina e crisi alimentare. E in un angoletto dell’agenda pare ci sia anche la Libia. Chissà se avranno tempo per parlarne…Erdogan e Draghi si incontreranno, anche se la diplomazia ha fatto fatica a ricucire dopo la frase del Premier pronunciata in conferenza stampa a pochi giorni dal suo insediamento a Palazzo Chigi: “Con questi dittatori – disse parlando proprio del Sultano turco – chiamiamoli per quello che sono, di cui però si ha bisogno, uno deve essere franco nell’esprimere la propria diversità di vedute e di visioni della società; e deve essere anche pronto a cooperare per assicurare gli interessi del proprio Paese. Bisogna trovare il giusto equilibrio”.