Dopo la notte di bombardamenti e di estrema tensione di sabato 13 aprile, l’Occidente ha compreso che il regime teocratico iraniano non è un pericolo soltanto per il suo popolo, che opprime con violenza, e per il Medio Oriente ma per il mondo intero.
I falchi del regime dell’Āyatollāh Seyyed ʿAlī Ḥoseynī Khāmeneī, guida suprema dell’Iran nonché massimo esponente nazionale del clero sciita, dopo l’uccisione di due alti ufficiali del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC) in un attacco israeliano a una struttura diplomatica a Damasco, sono diventati sempre più aggressivi man mano che il regime vacilla.
L’attacco iraniano a Israele, effettuato con circa 185 droni, 36 missili da crociera e 110 missili balistici (oltre ad un 20% che non ha raggiunto gli obiettivi per malfunzionamenti vari), ha rappresentato una svolta ed una completa deviazione dalla propria recente dottrina militare, incentrata sull’evitare il conflitto diretto con l’avversario ed utilizzare milizie per procura per fare il lavoro sporco per conto di Teheran.
L’Iran, nonostante le mire imperialiste e di dominio regionale, non può permettersi un conflitto diretto con nessuno dei suoi vicini, con i quali ha una lunga storia di sconfitte. L’ultima volta che ci ha provato è stata la guerra Iran-Iraq dal 1980 al 1988, il cui unico esito fu la morte di migliaia di giovani soldati iraniani. Tuttavia, il regime teocratico iraniano vuole distruggere e cancellare dalle carte geografiche lo Stato di Israele. A tale scopo utilizza i proventi delle sue esportazioni di idrocarburi per finanziare organizzazioni terroriste che impiega come proxy, per produrre missili, armi e droni con i quali rifornisce anche gli arsenali della Russia, mentre minaccia con forza altri Paesi, soprattutto gli Stati Uniti e la Gran Bretagna che non hanno alcun interesse a danneggiarlo. Anzi, molti ci continuano a fare affari, come dimostrano le enormi esportazioni di petrolio ed i recenti, inspiegabili e contestatissimi finanziamenti concessi al regime iraniano dall’Amministrazione Biden, nonostante la pericolosità del suo programma nucleare, che inquieta il mondo sin dal 2002.
Come abbiamo potuto seguire in diretta, l’operazione di attacco iraniana “True Promise” lanciata sabato scorso contro Israele, scatenata con oltre 300 missili balistici, cruise e droni lanciati da basi militari situate in Iran, Iraq, Yemen e Libano, è stata in gran parte respinta.
Quella potente azione di guerra, lanciata come rappresaglia per l’attacco israeliano al consolato iraniano a Damasco, è stata solo una risposta per salvare la faccia al regime, dopo l’ennesimo smacco dell’uccisione del generale Qassam Soleimani? Oppure rappresenta il primo colpo di una drammatica escalation che possa trasformare il conflitto di Israele contro Hamas in una più ampia guerra regionale?
Probabilmente vi è dietro una strategia derivante da un calcolo (razionale?) della nuova leadership militare iraniana, volta a garantire la sopravvivenza del regime e rafforzarlo, sia internamente che a livello regionale, nel tentativo di riacquistare quel ruolo egemonico minacciato dagli Accordi di Abramo. Sicuramente siamo di fronte ad un evento senza precedenti, perché è la prima volta che l’Iran attacca direttamente Israele. Ma anche per le caratteristiche dell’assalto, che per obiettivi da colpire, per numero di missili e droni lanciati contro le città, ricalca le modalità utilizzate dalla Russia nei suoi bombardamenti contro i civili ucraini.
La rappresaglia del regime iraniano, pubblicizzata per diversi giorni, ha innanzi tutto dimostrato ciò che avrebbe dovuto essere chiaro a tutto l’Occidente fin dal 7 ottobre:
- Israele non sta combattendo solo una guerra contro Hamas. I suoi numerosi nemici lo stanno attaccando militarmente e politicamente, con il coordinamento ed il finanziamento del regime iraniano;
- l’errore strategico di quei governi che hanno deciso la sospensione della fornitura di armi e di altri equipaggiamenti militari a Israele, che rappresenta la frontiera orientale di difesa delle democrazie occidentali e sta affrontando minacce multiple sostenute e coordinate dal regime iraniano e da quegli Stati ed organizzazioni che finanziano il jihadismo globale.
Togliere l’embargo sulle armi a Israele
Non sostenere il proprio alleato, in inferiorità numerica, in un momento in cui viene brutalmente attaccato rappresenta una grave sottovalutazione della seria minaccia che l’Iran rappresenta per gli interessi strategici dell’Europa.
La dimostrazione di questi errori di valutazione strategica è data dal fatto che nel momento in cui sopra le città israeliane arrivava una pioggia di missili e droni lanciati dall’Iran – oltre ad essere protetto dal proprio formidabile sistema di difesa Iron Dome – Israele è stato difeso anche dalle Forze armate statunitensi, inglesi, francesi, giordane e di altri Stati arabi, che hanno contribuito a neutralizzare la miriade di micidiali ordigni lanciati dalle Guardie della Rivoluzione Islamica.
Quanti ritengono che quel bombardamento iraniano sia stato fatto a scopo dimostrativo, o addirittura scenografico, per non provocare danni reali, non ha idea delle potenzialità distruttive di quell’attacco. L’unico effetto scenografico è stato quello causato dall’Iron Dome quando entra in funzione per abbattere i missili sopra le città e solo l’assistenza tempestiva di Stati Uniti e Regno Unito e la cooperazione (inaspettata per molti) di Giordania e Arabia Saudita hanno evitato un’altra strage di civili, ebrei.
Sminuire la pericolosità dell’ennesimo attacco missilistico contro popolazioni civili e sostenere la tesi che inquadra la guerra jihadista contro l’enclave minoritaria israeliana in Medio Oriente in una storia di oppressione ebraica e persino di “genocidio” dei palestinesi, fa parte della strategia di infowarfare e della narrativa che è diventata il fulcro del filone politico sempre più squilibrato dell’Occidente liberale. L’ennesima campagna di disinformazione, cruciale per i nemici di Israele quanto la guerra cinetica portata avanti dai terroristi di Hamas, intesa ad alimentare l’antisemitismo ed erodere il sostegno occidentale di cui Israele ha bisogno per vincere e sopravvivere.
La teoria che sostiene la tesi della mera dimostrazione di forza dell’attacco iraniano, perché annunciata per giorni e scatenata con droni e i missili a lunga gittata, in volo ore prima di colpire i loro obiettivi (cioè, l’opposto del brutale attacco a sorpresa di Hamas del 7 ottobre), fosse soltanto una moderata risposta per vendicare l’uccisione da parte di Israele di alti funzionari dell’IRGC a Damasco, non sembra coerente con la strategia per cui l’Iran ha sempre colpito indirettamente Israele attraverso uno dei suoi proxy.
Piuttosto, si può ritenere che l’attacco avesse anche il fine di testare le capacità di Iron Dome per pianificare futuri assalti missilistici, da lanciare direttamente e contemporaneamente a Hezbollah, Houthi, Hamas ed altre milizie irachene e siriane per sopraffare i sistemi di difesa aerea di Israele. Il sistema integrato di difesa aerea di Israele, il più avanzato al mondo, supportato da moderni caccia e navi da guerra con il supporto aereo avanzato degli alleati di Israele, ha neutralizzato quasi tutti i missili iraniani ed il più numeroso sciame di droni kamikaze della storia.
La difesa aerea israeliana è molto efficace ed orientata ad abbattere prioritariamente i missili che sono diretti verso centri abitati. Ciononostante, alcuni missili balistici a medio raggio (MRBM), fondamentali per qualsiasi futuro attacco nucleare iraniano, sono riusciti a colpire la base aerea israeliana di Nevatim nella parte meridionale del Paese. Diverse fonti di intelligence confermano che all’Iran manca poco tempo per essere in grado di produrre ordigni nucleari, e basta guardare la portata dei missili utilizzati sabato 13 aprile per comprendere che qualsiasi attacco nucleare iraniano sarebbe distruttivo, non solo per Israele, ma per tutti quei paesi inclusi in quel raggio d’azione degli MRBM. L’incubo di un Iran dotato di arsenale atomico dovrebbe rappresentare un dossier di politica di sicurezza globale al pari di quello russo, non solo per le sue ambizioni egemoniche in Medio Oriente ma anche per quanti in Europa continuano a ritenerlo un partner commerciale e politico affidabile.
Dopo aver trasformato il popolo palestinese nel sacrificabile scudo del diabolico piano di Hamas per attaccare Israele, una volta considerato indebolito e isolato dai suoi alleati occidentali il premier Netanyahu ed il suo governo contestato all’interno ed all’estero, l’Iran ci ha provato davvero, altro che sceneggiata! Ma ha fallito, grazie alla tecnologia israeliana, al sostegno arabo/americano e sicuramente alla debolezza del dispositivo militare iraniano.
L’occasione di Israele per ricucire con l’Occidente e rilanciare gli Accordi di Abramo
Il modo in cui Israele risponderà all’Iran a questo punto è forse la più importante decisione di questa guerra – e l’evento che più influenzerà gli assetti geostrategici nella regione da decenni a questa parte.
Ora tutti si appellano alla moderazione di Israele, invece è molto probabile una sua reazione.
Ma non c’è alcun dubbio che un attacco diretto all’Iran sia già nei programmi dell’IDF, perché nessun governo potrebbe permettersi di non reagire di fronte ad un micidiale bombardamento missilistico come quello scatenato contro il popolo israeliano, che avrebbe raso al suolo qualsiasi altro Paese non dotato del sistema Iron Dome.
Tuttavia, il governo di guerra israeliano dovrebbe approfittare del repentino cambiamento dell’ambiente strategico mediorientale, rappresentato dalla novità emersa nella notte di bombardamenti iraniani con l’aperto sostegno a Israele da parte di Giordania e Arabia Saudita. Anche se la loro motivazione ufficiale è “il nemico del mio nemico è mio amico”, il sostegno attivo nella difesa dei cieli israeliani ottenuto sabato 13 aprile, svela amicizie più concrete e rassicuranti di quelle che Israele ha ricevuto da molti suoi presunti alleati europei dopo l’attacco di Hamas. Israele può ancora essere circondato su tre lati da proxy iraniani, ma anche l’Iran sta realizzando che la feroce repressione contro la propria popolazione e la politica di aggressione contro Israele preoccupano profondamente gli altri Stati vicini che stanno creando un nuovo sistema di alleanze che vede Arabia Saudita, Giordania, Turchia, Egitto e gli alleati americani nel Golfo creare un fronte comune, che rendono anche l’Iran parzialmente circondato da avversari.
Un contesto strategico mediorientale che sta mutando, nonostante le forti contestazioni e contraddizioni emerse in Occidente, proprio a causa della guerra a Gaza e per le tensioni che l’assertività iraniana sta creando in tutta la regione. Infatti Israele non è l’unico ad aver subito la violenza ed attacchi dal regime iraniano. Alcune settimane fa l’Iran ha attaccato il territorio pakistano con missili balistici. Il Pakistan è uno Stato dotato di armi nucleari e questo dimostra un netto e preoccupante cambiamento nella dottrina militare iraniana, o comunque degli stravolgimenti nel suo processo decisionale.
Le probabilità che a breve, un MRBM iraniano in grado di colpire il territorio israeliano o quello di un altro Paese nel suo raggio d’azione possa essere armato di testata nucleare, trasforma i siti dove si arricchisce l’uranio in uno degli obiettivi che Israele potrebbe colpire, anche con attacchi cyber, nella sua risposta all’aggressione di sabato scorso. Un altro possibile obiettivo sono sicuramente le fabbriche di produzione dei droni shahed e dei missili balistici. Colpire questi possibili obiettivi rappresenterebbe “un favore” all’Ucraina, ed un chiaro messaggio alla Russia che li utilizza ed è schierata con l’Iran, oltre ad impedire a Ue ed Usa di affermare che la risposta sia un’azione avventata.
Questi scenari dovrebbero indurre l’Occidente e soprattutto una Ue offuscata a riprendere le pressioni per il controllo del programma nucleare iraniano e riattivare forti misure restrittive e sanzioni contro i settori strategici dell’economia degli Āyatollāh, che oltre ad essere i maggiori finanziatori del terrorismo di matrice jihadista, continuano a rifornire di armi e droni la Russia per la sua guerra contro l’Ucraina.