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Hamas

Perché sono pro Israele (e pro Stato palestinese) e contro Hamas

Quando Hamas avrà cessato di esistere, e il popolo palestinese si sarà liberamente dato una nuova dirigenza in grado di impegnarsi alla pace perpetua con Israele, non ci saranno più scuse per rimandare la nascita dello stato palestinese. La lettera di Marco Orioles.

Caro direttore,

condivido con te alcuni pensieri personali che ovviamente non hanno potuto trovare spazio nelle mie cronache sull’ultima guerra tra Israele e Hamas a causa del vincolo deontologico che impone a ogni giornalista di tacitare le proprie convinzioni.

Ma di fronte alla gravità di quanto accaduto lo scorso 7 ottobre e nelle settimane successive in quella che chiamiamo Terra Santa, e soprattutto di fronte a un dibattito divenuto presto ostaggio della propaganda, avverto il dovere di venire allo scoperto formulando il mio punto di vista e mettendo a nudo i valori che orientano la mia azione di cittadino europeo.

E lo faccio anzitutto manifestando il mio sconcerto per come i drammatici fatti del 7 ottobre non siano stati adeguatamente compresi nella loro natura indicibile e siano stati letteralmente rimossi dinanzi al clamore delle deprecabili morti dei civili di Gaza. Il tutto mentre, con puntuale tempismo, l’antisemitismo si riaffacciava prepotente attribuendo addirittura al Paese da poco bersaglio di un nefando pogrom lo zelo del carnefice nazista. Non era più possibile dunque restare in disparte, anche per respingere l’accusa di indolenza o indifferenza che tanti amici e compagni di battaglie mi avrebbero potuto rivolgere mentre, là fuori, il mondo brucia.

Comincio con l’evidenziare un dato: in quel sabato nero, io ho visto tutto, con i miei occhi. Tutto. Sin dai primi attimi in cui si è dispiegato il piano macabro di Hamas e la morte si è abbattuta sui kibbutz del sud di Israele, a partire dalle 6 del mattino del 7 ottobre, la mia timeline di X – il social media cui sono perennemente incollato per il mio lavoro – è stata invasa dai filmati girati dagli stessi terroristi mentre erano in azione in ossequio al loro cupo disegno di documentare, rendendovi partecipe il mondo, i minimi dettagli di quelle spietate esecuzioni ai danni di 1200 tra civili e militari non solo di Israele ma di mezzo mondo.

Decine e decine di video che hanno immortalato l’orrore portato in Israele da duemila uomini armati e determinati a colpire ogni cosa si muovesse. Un crudo spettacolo che mi ha lasciato in preda alla paura e all’angoscia in quella giornata che non pareva mai avere fine. Non entro nei dettagli, ma tra tutte le scene cruente che ho visto ve ne sono due che non potrò mai dimenticare. Quella di una ragazza che singhiozzava dalla paura mentre era rintanata sotto ad un mobile a pochi passi dai terroristi che erano penetrati nella sua casa e che, dopo averla udita, hanno sparato a quella sagoma mimetizzata interrompendone i gemiti. E poi quella di un cagnolino cui uno di quegli assassini ha mirato al petto colpendolo più volte.

Civili e innocenti, membri di comunità di confine che più di altre in Israele credevano nella pace praticandola concretamente attraverso un’attiva solidarietà nei confronti dei palestinesi di Gaza. E 360 ragazzi e ragazze che si erano dati raduno per un ballo scatenato e verso i quali non si è avuta nessuna pietà.

Nessuno in questo mondo dovrebbe nutrire la più minima incertezza nel condannare un’azione criminale e i suoi feroci esecutori resisi responsabili della più grave strage di ebrei dopo la Shoah. Un atto nichilista e feroce motivato da niente altro se non dal radicato antisemitismo vivo in chi, in Medio Oriente ma non solo, mai ha digerito la presenza ebraica in Terra Santa e a dire il vero nemmeno in quei paesi arabi da cui gli ebrei sono infatti stati espulsi in massa dopo il 1948.

Eppure, nei giorni successivi all’attacco di Hamas e ancor più dopo l’avvio della necessaria reazione militare di Tel Aviv a Gaza, alcune persone in Occidente hanno avuto il pessimo gusto di inneggiare a quel brutale movimento di fanatici celebrando quello che hanno addirittura definito un eroico atto di resistenza. Negano, questi signori, di essere antisemiti, ma strappano i manifesti degli ostaggi e gridano “Palestina libera dal fiume al mare” come se ciò non fosse una esortazione a cancellare lo stato degli ebrei fondato nel 1948 dopo un voto delle Nazioni Unite.

Questo è il clima avvelenato di un dibattito in cui fino ad ora mi sono rifiutato di intervenire anche con un banale post su Facebook nella convinzione che in mezzo a tanta confusione e ambiguità le mie parole sarebbero inesorabilmente cadute nel vuoto. La decisione del mio Comune a Udine di non esporre la bandiera di Israele dal palazzo del municipio anche dopo il più grave attentato terroristico subito da quel paese amico mi ha fatto sentire ancor più solo e nella mia stessa città.

Ma niente mi ha sconcertato quanto la concittadina che mi ha esplicitato i suoi dubbi sulla natura e l’entità dei crimini effettivamente commessi da Hamas come i famosi bambini decapitati che non ci sarebbero mai stati. Quando le ho spiegato che in un istante avrei potuto aprire Telegram per mostrarle i terribili video e le foto scattati dai soccorritori sopraggiunti sui luoghi dell’eccidio, questa persona ha scrollato le spalle disinteressata solo perché la fonte di quei materiali era israeliana.

Ecco la solitudine, spiegata bene, del popolo ebraico.

A questo punto, mi si chiederà: e i diritti violati dei palestinesi? E gli abitanti di Gaza ora sotto le bombe? Per quelli non hai parole? Sbagliato. Questa tragica guerra dal bilancio gravissimo è interamente da imputare ad Hamas: la legittima – e ripeto legittima – reazione di Tel Aviv rientrava nei piani dei terroristi, che sono quelli di obbligare Israele – nel tentativo di delegittimarla e isolarla – a causare tante vittime palestinesi mentre il suo esercito si adopera per stanare capi e combattenti che vilmente si nascondono e si fanno scudo dei civili lasciandoli sotto le bombe anziché arrendersi liberando fino all’ultimo ostaggio.

19 mila vittime – inclusi ovviamente i combattenti, che sono almeno un terzo – non mi lasciano indifferenti, certo che no. Ma a parte che le morti potrebbero cessare istantaneamente se Hamas accerchiata dichiarasse la resa o consegnasse Sinwar e Deif, gli architetti del 7 ottobre: spero ora che ai bombardamenti massicci possa sostituirsi un’azione più mirata con ampio ricorso alle truppe di terra che faranno ovviamente più fatica a stanare ed eliminare i terroristi. Mi consola leggere che è proprio questa la convinzione di Washington, secondo cui a breve potrebbe scattare una nuova fase di guerra a più bassa intensità.

Quando di Hamas si parlerà al passato, tra qualche mese, si dovrà passare alla politica. E qui il percorso appare chiaro. Appartengo ad una generazione che ha esultato alla sigla degli accordi di Oslo nel 1993: nella mia camera da letto di matricola universitaria c’era la foto della storica stretta di mano tra Rabin e Arafat con Clinton sullo sfondo scattata sul prato delle rose alla Casa Bianca in una cerimonia che fu trasmessa in diretta e a cui assistemmo persuasi di essere testimoni di un grande momento storico.

Per noi non c’è mai stata alternativa al problema annoso del condominio ebraico e alla soluzione dei due stati con Gerusalemme condivisa. Un obiettivo su cui Israele si impegnò solennemente prima che ciò divenisse impraticabile a causa della vittoria elettorale di Hamas del 2006 e del successivo divorzio con l’Autorità Nazionale Palestinese di Abu Mazen in un trauma che sancì la nascita, al confine sud di Israele, di Hamastan.

Quando Hamas avrà cessato di esistere, e il popolo palestinese si sarà liberamente dato una nuova dirigenza in grado di impegnarsi alla pace perpetua con Israele, non ci saranno più scuse per rimandare la nascita dello stato palestinese. E quel giorno io sarò il primo a festeggiare.

A chi ritiene che la mancata esistenza di uno stato palestinese sia da attribuire alla volontà di Israele, ricordo solo che nei giorni in cui Hamas ha ucciso 1200 ebrei era attesa la storica firma di un accordo tra Israele ed Arabia Saudita, che avrebbe consentito di normalizzare le loro relazioni nel quadro di un’intesa complessiva in cui rientrava anche la questione palestinese. Ma Hamas, che non vuole la pace e pretende tutta la terra per sé, ha pensato bene di boicottare i piani, assecondando con ciò il volere di un grande nemico degli ebrei come il regime teocratico iraniano, che dal 1979 promette di cancellare Israele dalla carta geografica.

È senz’altro giunto dunque il tempo di accogliere la Palestina nella comunità delle nazioni, ma anche di sradicare per sempre l’antisemitismo dalle nostre coscienze. Il popolo ebraico occupa un posto centrale nella nostra storia, una storia purtroppo macchiata da odio, crimini e persecuzioni e culminata con la tragedia dell’Olocausto. Israele è il solo rifugio sicuro degli ebrei ed è nata anche per questo. Abbiamo l’obbligo di proteggerla quando la sua esistenza e la vita degli ebrei sono in pericolo.

Questo è quello che ho visto e ciò in cui credo.

Un caro saluto e un augurio di buon lavoro.

Marco Orioles

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