È una Israele nel caos quella che descrive Giulio Meotti. In questa intervista a Start Magazine, il giornalista del Foglio e saggista, esperto di Israele e Medio Oriente, curatore di una seguita newsletter, racconta di un Paese che ancora non sa spiegarsi cosa e perché sia successo lo scorso 7 ottobre e che ora è alle prese con l’indicibile, cioè con una guerra dai contorni e dagli obiettivi indefiniti come mai Gerusalemme ha conosciuto nel corso della sua travagliata storia.
Cosa scrive la stampa israeliana a proposito del clamoroso fallimento dell’intelligence?
Niente, la verità è che nessuno sa nulla di nulla. Una cosa del genere infatti non era mai successa. Nessuno sa come sia stato possibile, ma soprattutto nessuno parla, e nessuno sa cosa succederà dopo.
Che cosa dice il governo israeliano ai cittadini? Come li rassicura?
Il governo ha appena esortato i cittadini a fare scorte alimentari per almeno 72 ore, e i supermercati cominciano già ad essere vuoti. La popolazione è stata avvertita di rimanere nei bunker, anche se questa per gli israeliani è una routine. Il Paese è nel panico.
Non c’è nulla nella storia di Israele che richiami in mente quanto sta succedendo?
L’unico paragone che mi viene in mente è quello della guerra dello Yom Kippur del 1973, che colse Israele di sorpresa. Il Paese ha conosciuto stragi e prese di ostaggi, basta ricordare gli atleti delle Olimpiadi di Monaco del 1972. Tuttavia l’entità di quello che è successo il 7 ottobre è incommensurabile. Ma c’è una cosa ancora più grave.
Cioè?
La deterrenza di Israele è ormai collassata. Una organizzazione terroristica è riuscita per la prima volta nella storia a mettere in ginocchio Israele.
E adesso Israele cosa fa? Come cerca di uscire dall’angolo?
Israele sta ora facendo quello che ha fatto ripetutamente in passato, ossia bombardare obiettivi di Hamas a Gaza, e, proprio come già avvenuto altre volte, sta compiendo incursioni in quel territorio. Adesso però Israele potrebbe fare quello che non ha mai fatto.
Ossia?
Entrare a Gaza per restarci. Ricordiamo quanto sia stato doloroso per il governo di Ariel Sharon evacuare quell’enclave con la promessa implicita di lasciarla ai palestinesi e di non tornare più.
Quale obiettivi allora si prefigge questa controffensiva?
Il vero obiettivo è distruggere Hamas. Qualsiasi traguardo che non preveda la definitiva eliminazione del gruppo equivarrebbe a una sconfitta per Israele. Hamas non può restare al potere a Gaza. Le conseguenze sarebbero devastanti.
È proprio quello che lasciato intuire Netanyahu quando ha dichiarato che il Medio Oriente ora subirà una drastica trasformazione.
Le parole pronunciate ieri da Netanyahu lasciano capire che ormai Israele è disposta a tutto. A questo punto una domanda è lecita: ne sarà all’altezza? Sarà in grado per esempio di gestire un secondo fronte, quello che si potrebbe aprire in qualunque momento in quel Nord dove incombe la minaccia di Hezbollah?
Cosa succederebbe appunto se Hezbollah attaccasse?
Israele è sicuramente un grande Paese, il più forte del Medio Oriente, ma sinceramente non so se sarebbe in grado di gestire due fronti simultanei. Hezbollah infatti è molto più armato di Hamas, è un vero esercito, molto più preparato dell’esercito del Libano che per il resto è uno Stato fallito. E non è finita, perché Israele potrebbe essere tentata dal compiere un azzardo.
Quale?
Potrebbe attaccare l’Iran, che è il vero mandante dell’operazione Alluvione al-Aqsa. È la Repubblica islamica che ha fornito ad Hamas i soldi, le armi e il know how. Quando Netanyahu promette di rivoltare come un calzino il Medio Oriente intende probabilmente proprio quello. Ma queste al momento sono speculazioni. L’unica cosa che abbiamo visto in queste 72 ore sono gli strike e l’assedio a Gaza.
Assedio che ha già attirato su Israele le critiche di molti.
Come già avvenuto in passato, adesso Israele deve fare anche i conti con la delegittimazione internazionale, ossia con le serrate critiche a una reazione che viene considerata sproporzionata e indiscriminata. Tutto già visto.
Eppure le dichiarazioni dei governi occidentali convergono nel sostenere la legittima difesa di Israele.
Non è proprio così. L’America sostiene Israele. Forse anche la Gran Bretagna di Sunak. Ben diversa è la posizione di Francia, Germania, Belgio, Olanda, Austria e altri. Sono tutti Paesi che non stanno dalla parte di Israele, o almeno lo sono solo a parole e solo per il momento. Dubito che questo sostegno continuerà all’aumentare dei morti palestinesi. Basta vedere cosa è successo con i fondi dell’Ue ai palestinesi, prima cancellati e poi ripristinati.
Parliamo dell’Italia: in quanti secondo lei la pensano come Patrick Zaki, che ha attaccato pesantemente Netanyahu?
Secondo me l’opinione pubblica italiana è articolata in questo modo: un buon 50% su Hamas la pensa come Zaki, un 30% circa sta dalla parte di Israele e agli altri non interesse nulla.