Il nuovo anno ebraico è alle porte. Dalla casa del vicino sento che qualcuno si sta esercitando con lo shofar. (Lo shofar è un piccolo corno di montone utilizzato come strumento musicale, durante alcune funzioni religiose ebraiche, in particolar modo durante Rosh Hashana, il capodanno ebraico, e Yom Kippur, il giorno del digiuno dell’espiazione e del pentimento).
Siamo a un anno dalla strage e dalla tragedia.
Ogni anno durante Yom Kippur, che sarà tra pochi giorni, le ore si sgranano lente, e nelle strade, diventate improvvisamente vuote, non si sente che il soffio del vento e il battere dei passi di chi si affretta, vestito di bianco (il colore del lutto), alla sinagoga.
L’officiante, avvolto nello scialle rituale, ricorda ogni anno che se a capodanno era stato deciso il nostro destino, a Kippur verrà posta la firma decisiva sulla sorte per noi scelta da Colui che stai cieli. Non c’è anno che non mi sorprenda lo straordinario miracolo che cade sul Paese il giorno di Kippur, non c’è anno che non mi stupisca la straordinaria interruzione di vita e l’assoluto silenzio di una nazione, per un giorno senza radio, senza televisione, senza treni, autobus, aerei e navi e, malgrado non esista alcuna legge che proibisca l’uso delle automobili, anche senza automobili: dal crepuscolo al crepuscolo del giorno dopo è solo uno scorrazzare di bambini con biciclette, biciclettine, pattini e tricicli nelle strade vuote.
Ma quest’anno sarà diverso. Come diverse mi suonano le parole di unetaney tokef, il canto liturgico che si recita in questi giorni di riflessione che cataloga tutti i modi in cui si vivrà o morirà nel prossimo anno” chi vivrà e chi morirà, chi morirà secondo il suo destino e chi prima, chi per spada e chi per fiera, chi per fame e chi per sete…”.
Se avessimo saputo l’anno scorso l’orrore che ci si sarebbe svelato pochi giorni dopo, forse politici, esercito, Shin bet e Mossad si sarebbero preparati un po’ meglio alla possibilità di un attacco da parte di Hamas che, ormai si sa, organizzavano quello spaventoso attacco da anni. Le giovani soldatesse al confine “le osservatrici” lo avevano capito ma nessuno allora gli aveva dato retta. Alcune di loro sono state uccise, altre rapite, poche si sono salvate.
Il massacro ci ha colpito in modi che è quasi impossibile quantificare. Siamo diversi. Siamo stati feriti da un odio che non sapevamo neppure immaginare. Sono stati usati modi terribili per farci sparire dalla faccia della terra, come individui e come popolo e come Stato.
Poi Hezbollah si è unito a Hamas. E la guerra è iniziata anche col nord. Non ha sorpreso nessuno che proprio i gruppi della protesta e della dimostrazione contro la riforma giudiziaria, ormai organizzati ed efficienti, si siano ripresi per primi dallo shock e siano stati i primi a muoversi per organizzare gli aiuti agli abitanti dei kibbuz e Moshav della zona di Otef Gaza (cioè intorno a Gaza). Hanno raccolto per gli evacuati cibo, materassi, vestiti, sacchi a pelo, giocattoli. Mio marito che è troppo anziano per tornare a servire nell’esercito, ha imparato a piegare camicie e jeans. Mentre i generali in pensione della protesta (di cui Bibi diceva che si trattava di anarchici) erano già in divisa, malgrado i capelli bianchi.
I salvati da allora sono tuttora ospiti in vari alberghi. Tanto di turisti non c’è neanche l’ombra. Le loro case non esistono praticamente più. Il nord è in fiamme, 101 ostaggi sono ancora nelle mani di Hamas, 60000 ancora sfollati al nord.
Sono stata via dal paese giusto per pochi giorni e al mio ritorno, la notte stessa, un missile terra terra è stato intercettato. Proveniva da 2200 km di distanza, dallo Yemen. Sono scesa al rifugio in pigiama e a piedi nudi. Non finirà mai?
Siamo a un anno di guerra, e a due anni di protesta contro un governo e un primo ministro incapaci e intenzionati solo a rimanere al potere, sia quel che sia, interessati solo ai propri interessi politici. E dall’altra parte ci stringono Iran e i suoi proxy, da Gaza al Libano, dalla Siria allo Yemen all’Iraq.
E i nostri figli continuano a combattere.
Come ha detto il capo dell’opposizione Yair Lapid: siamo il paese migliore del mondo con il governo peggiore del mondo.
Sotto a casa mia, con il mitra in spalla, i nostri ragazzi, i nostri soldati di leva 18enni e i nostri riservisti quarantenni riempiono ugualmente i bar a colpi di birra e di spritz aperol.
Quanto ai più giovani, sono certa che anche quest’anno a kippur i bambini non rinunceranno alla bicicletta. Basta che siano in vicinanza di un rifugio, diranno i genitori, ormai rassegnati.
Stavo scrivendo queste righe quando è successo qualcosa di inaspettato, di incredibile.
In un blitz ben programmato sono stati uccisi dal nostro esercito la gran parte dei leader di Hezbollah compreso Nasrallah che incontrerà nell’aldilà i vari terroristi della sua organizzazione che erano sono stati uccisi con i cercapersone e i walkie talkie la settimana precedente.
Molti hanno festeggiato. Di certo il sorriso è tornato sulle labbra di Netanyahu. Ma tutti sappiamo che non siamo ancora al sicuro e non lo saremo di certo finché gli ostaggi non saranno liberati e non si raggiungerà una tregua al sud come al nord. Solo allora potremo tornare a sorridere. A riprendere le nostre vite, le nostre case, a credere nel nostro futuro. A vivere. A respirare.
(Testo pubblicato dalla newsletter di Sinistra per Israele)