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Iran

Le proteste in Iran daranno inizio alla controrivoluzione?

Le proteste in Iran si stanno trasformando in un movimento finalizzato all'abbattimento del regime islamico degli ayatollah. I fatti e i commenti degli analisti

 

Le proteste in Iran non si placano, anzi si stanno progressivamente trasformando in una controrivoluzione, che mira ad abbattere il regime degli ayatollah che, nel frattempo, si difende con i consueti metodi brutali seminando la morte tra i manifestanti.

Il tragico bilancio delle manifestazioni

 È difficile orientarsi tra le cifre di questa rivolta i cui effetti vengono censurati dal regime o raccontati da tutta una serie di fonti non ufficiali che offrono dati discordanti.

Le stime di Human Right Activists in Iran, che vengono prese per buone anche dalla BBC, ci consentono comunque di ricavare un quadro attendibile della situazione.

 

Come si può evincere dal tweet pubblicato dalla Ong, a oltre due mesi di distanza dalla prima scintilla scattata ai funerali di Mahsa Amini, la ventiduenne di origine curda assassinata dalla cosiddetta polizia della moralità per aver violato il dress code islamico, il bilancio è impressionante.

Al 18 novembre erano 402 i manifestanti uccisi dalle forze di sicurezza, di cui 58 erano minori; sono 54 invece gli esponenti dei corpi paramilitari impegnati nella repressione morti durante le 1.008 proteste andate in scena in 150 città dal 16 settembre a oggi.  Tocca quota 16.813 invece il numero delle persone arrestate di cui 524 sono studenti. 104 infine sono le università coinvolte nei disordini.

Come sottolinea l’Associated Press, l’elevato numero di vittime si deve al pugno duro adottato dal regime: le associazioni per i diritti umani accusano le forze di sicurezza di sparare con armi da fuoco ad altezza d’uomo e di manganellare i manifestanti alla testa con grossi bastoni.

Le proteste a Izeh

Le ultime proteste si sono registrate ai funerali di Kian Pirfalak, un bambino di appena nove anni che secondo la madre sarebbe stato freddato dai Basij durante la manifestazione del giorno precedente nella città di Izeh. Ai funerali erano presenti centinaia di persone che hanno urlato slogan antiregime e gridato “morte a Khamenei”.

Secondo il Center for Human Rights in Iran (CHRI) citato dalla Cbs, Pirfalak non è stato l‘unico minore a perdere la vita in quella città. Al suo nome si aggiungerebbe quello del quattordicenne Sepehr Maghsoudi. Ci sarebbe inoltre, a detta di un gruppo di opposizione, un secondo quattordicenne morto, Artin Rahmani. Il bilancio totale delle vittime delle proteste a Izeh è di sette morti e di numerosi feriti, ma secondo un’altra Ong, Iran Human Rights, le vittime sarebbero state tredici.

A Izeh erano state centinaia le persone scese in strada a protestare cantando slogan antigovernativi e lanciando pietre verso la polizia che, secondo quanto riferito dai media di stato, avrebbero usato gas lacrimogeno per disperdere la folla.

La propaganda del regime come sempre si è messa in moto accusando “terroristi a bordo di due motociclette” di aver ucciso sette persone in un centro commerciale di Izeh. In realtà, come riporta l’Ispi, i manifestanti hanno raccontato che sono state le milizie Basij ad aprire il fuoco nel centro commerciale.

A fuoco la casa museo di Khomeini

In un altro sviluppo eclatante riferito da Reuters, dei manifestanti avrebbero dato fuoco alla casa museo dell’imam Khomeini, il fondatore della Repubblica islamica, in un episodio che è stato seccamente smentito dall’agenzia di stampa Tasmin.

Ma sui social media sono apparse puntuali le immagini del rogo così come della città natale di Khomeini, presa d’assedio dai manifestanti.

Le proteste entrano in una nuova fase

Come scrive l’Ispi in undossierdedicato agli eventi in Iran e intitolato significativamente “Iran, a protesta a controrivoluzione”, il regime si trova ora in difficoltà; “mai prima d’ora le ondate di proteste a carattere ciclico contro il sistema si erano prolungate per tanto tempo, acquistando forza col passare dei giorni anziché perderla”.

“Dalle piazze e dalle strade”, prosegue l’Ispi, ”le proteste si sono progressivamente infiltrate nelle università, nei licei e nelle fabbriche, teatro di diversi scioperi nelle ultime settimane”.

“A oltre nove settimane dalla prima scintilla”, è la conclusione dell’Istituto, “il movimento è entrato in una nuova fase, trasformandosi nella principale sfida alla teocrazia che guida il paese da 44 anni”.

Il commento del sociologo

Come scrive Farhad Khosrokhavar, sociologo esperto di Islam e Medio Oriente e autore di saggi come I nuovi martiri di Allah, la rivolta “si è trasformata in un’insubordinazione totale e costante, a giorno e notte, contro il dominio teocratico. Questa mutazione, inizialmente timida, è ormai un fatto incontrovertibile”.

Secondo Khosrokhavar, ormai è chiaro che gli iraniani non vogliono più saperne della Repubblica Islamica. “Questo sistema”, commenta il sociologo, “ha fallito ovunque: nell’ecologia, in termini di sviluppo del paese, nel suo rifiuto della dignità femminile e maschile, nell’incapacità di stabilire un rapporto pacifico con il resto del mondo, e in termini di giustizia sociale (perché i ricchi del regime hanno monopolizzato i beni sociali). È diventato lo stato della repressione generalizzata, che non esita ad uccidere i suoi cittadini”.

L’incalzante repressione

Conscio di stare combattendo per la propria stessa sopravvivenza, il regime intensifica la repressione.

Come rileva la Cnbc, citando un rapporto di Amnesty International, la scorsa settimana sono stati attribuiti 1.024 capi di imputazione ai manifestanti catturati dalle forze di sicurezza.  Sempre secondo Amnesty ventuno detenuti sono stati accusati di crimini che implicano la pena di morte.

La scorsa settimana infatti il capo della magistratura Gholamhossein Mohseni Ejei ha fatto sapere che ai “rivoltosi” saranno imputati crimini come “moharebeh” (inimicizia contro Dio), “efsad fil-arz” (spargere corruzione sulla terra) e “baghy” (ribellione armata), tutte accuse punibili con la pena capitale.

Come fa sapere la Bbc, è stata emessa già la prima sentenza di morte contro un manifestante accusato di “inimicizia contro Dio”. Ma secondo la Cnbc, che cita il sito della magistratura Mizan Online, le sentenze di morte sarebbero già quattro.

Le decisioni dei giudici arrivano dopo che, all’inizio di novembre, il Parlamento ha votato con 227 voti favorevoli su 290 la proposta di punire con le pene più severe chi agli occhi del regime si sta macchiando di gravi crimini contro lo Stato.

La foto del bacio

Nonostante la cappa di piombo, i manifestanti continuano a invadere le strade delle città iraniane protestando per lo più pacificamente e con gesti simbolici.

È diventata presto virale sui social media la foto di una giovane coppia che si bacia nel bel mezzo di una strada trafficata con lei senza velo, in jeans e maglietta.

Come ha spiegato a Fox News l’esperta di Medio Oriente Lisa Daftari, c’è un motivo per cui quell’istantanea ha fatto il giro del mondo: la foto “simbolizza molti aspetti dell’attuale rivoluzione in Iran. Ci sono una donna che sta arditamente sfidando le leggi sul velo, una coppia che viola la legge islamica che proibisce di baciarsi in pubblico specialmente se non si è sposati, e che stanno coraggiosamente in piedi in mezzo al traffico per far sì che il loro messaggio raggiunga il mondo intero”. 

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