Con il bombardamento del sito nucleare di Isfahan, in Iran, a opera dell’aeronautica americana, è stato colpito anche un pezzo di storia dell’imprenditoria italiana.
Il 26 aprile 1980 Graziella De Palo scriveva su Paese Sera un articolo dal titolo “Pagheremo cara l’imposizione dell’embargo contro l’Iran. Cosa rischia l’Italia. Solo i due grandi contratti di Isfahan (Italimpianti) e Bandar Abbas (Condotte) impegnano migliaia di miliardi e garantiscono il lavoro a 10mila operai”, in riferimento a quanto stava accadendo in Iran a seguito della rivoluzione islamica, culminata con la partenza dal Paese, il 16 gennaio 1979, dello Scià Reza Pahlavi.
La stessa giornalista che solo pochi mesi dopo, in settembre, venne rapita a Beirut, facendo perdere le proprie notizie e di cui ancora oggi non si conosce la verità sulla sua morte.
In particolare sull’impresa Italimpianti di Genova, incaricata di costruire un centro siderurgico a Isfahan, pesava il pericolo di non poter continuare il suo lavoro, in caso di decisione degli Stati europei di tagliare i rapporti politico-commerciali con l’Iran. L’impresa appartenente al gruppo IRI, aveva ottenuto l’appalto per la progettazione e la direzione dei lavori, lasciando la produzione effettiva dell’impianto ad altre imprese, quali l’Innocenti S. Eustachio (INNE) di Milano e Brescia, l’Ansaldo, il CMI (costruzioni meccaniche), ecc.
Che cosa ne sarebbe stato di tutti questi soggetti industriali, se la capo commessa Italimpianti avesse dovuto rinunciare? Salvo nuove commesse i lavoratori si sarebbero trovati presto in cassa integrazione.
I lavori iniziati sotto lo Scià, prevedevano inizialmente la costruzione dell’acciaieria accanto al porto di Bandar Abbas, anch’esso appaltato all’impresa italiana Condotte, come parte di un disegno più ampio atto ad aumentare le esportazioni all’estero. Lo spostamento dell’acciaieria all’interno del Paese, fu il segnale anche di uno spostamento dell’interesse economico, non più proteso verso lo scambio con l’esterno.
In tale contesto, difficile fu la scelta politica italiana, costretta tra le richieste degli Stati Uniti in seguito alle sanzioni imposte all’Iran e l’aprirsi di una crisi industriale dai difficili risvolti.
Lo studio dei documenti dell’Ufficio del consigliere diplomatico della Presidenza del Consiglio dei Ministri, custoditi presso l’Archivio Centrale dello Stato permettono di arricchire la questione esposta.
Intanto emerge la presenza di ulteriori contratti italiani presenti in quagli anni in Iran.
Per quanto riguarda le imprese elettriche si ritrovano in nomi di SAE, GIE, Sadelmi Cogepi e CMF-Marinelli, tutte imprese che vantavano notevoli crediti in milioni di dollari. Per l’Italimpianti la costruzione dell’acciaieria doveva avvenire vicino al nuovo porto, ma il contratto fu rinegoziato nel novembre 1979 con lo spostamento a Isfahan e con l’assegnazione a imprese iraniane di tutte le opere civili previste. Per Condotte il progetto venne ridotto di circa il 20% e anche il pagamento di quanto dovuto. Impregilo, allora impegnata nella costruzione della diga del Lar, si trovò ad affrontare non pochi problemi.
Discorso ancora più difficoltoso riguardò le forniture speciali, per le quali non vennero più date le autorizzazioni per l’esportazione. Materiale già acquistato e pagato, che l’Italia si trovò a non poter più consegnare. In particolare si trattava di 57 missili mare-mare e di 5 elicotteri con i pezzi di ricambio. A completamento delle richieste americane venne previsto, inoltre, l’impossibilità di concedere nuovo credito, di aprire in Italia conti di deposito a favore dell’Iran.
Tra tutti gli Stati coinvolti nella questione delle sanzioni, l’Italia fu tra quelli più esposti e con maggior difficoltà.
Eppure in un documento dell’8 novembre 1979, dopo la proibizione da parte di Khomeini di negoziare con i rappresentanti americani, ai quali era stato impedito l’ingresso nel Paese si pensò che la soluzione per la crisi innescata sarebbe potuta “venire solo sulla base di mediazioni gradite quale potrebbe essere quella dell’O.L.P.”.
E chi meglio dell’Italia avrebbe potuto fare da sponda, soprattutto alla luce del noto lodo Moro?