Cosa succede tra Iran e Israele? Quali sono gli scenari?
Tra qualche giorno sarà ormai trascorso un anno dal 7 ottobre 2023, giorno in cui un commando di Hamas ha sferrato un attacco contro Israele uccidendo 1200 persone (tra civili e militari) e rapendone altre 250. Il primo atto della recrudescenza di un conflitto che non riesce a trovare una soluzione.
La sera del 1° ottobre l’Iran ha scritto un nuovo capitolo di quella guerra lanciando circa 200 missili contro Israele. Si apre così un nuovo fronte, dopo quello con il Libano, che contribuisce e a dare forma a un conflitto regionale su vasta scala.
Nonostante il tentativo di affermare la propria influenza attraverso un’azione militare diretta contro Israele, Teheran è, in realtà, un attore indebolito, la cui strategia rischia di scontrarsi con i propri limiti economici e materiali.
Ecco perché secondo Tiziano Marino, analista Asia e Pacifico del Cesi (Centro studi Internazionali) presieduto da Andrea Margelletti.
I FATTORI DELLA DEBOLEZZA DELL’IRAN
“L’Iran si trova in una posizione di estrema debolezza per due ordini di ragioni. Prima di tutto, la sua strategia regionale, basata sulla presenza di proxy locali in Libano, Siria, Yemen e Iraq, aveva l’obiettivo di scoraggiare Israele e aumentare l’influenza iraniana nella regione. Oggi, però, questo “asse della resistenza” è fortemente indebolito sia dal punto di vista politico che da quello militare. In secondo luogo, l’Iran cerca di evitare uno scontro diretto con Israele, sapendo che una guerra prolungata, che coinvolgerebbe anche gli Stati Uniti, avrebbe conseguenze devastanti per il fronte interno iraniano – dice Tiziano Marino, analista Asia e Pacifico del Cesi (Centro studi Internazionali) -. Inoltre, sarebbe molto difficile, se non impossibile, per l’Iran raggiungere obiettivi concreti, sia militari che politici, in un conflitto di lunga durata. Di fronte alla forte pressione israeliana, l’Iran si è trovato a dover scegliere tra due opzioni: non rispondere, perdendo credibilità sia a livello internazionale che nei confronti dei suoi alleati regionali, oppure reagire, rischiando di avvicinarsi a quel conflitto diretto che stava cercando di evitare. Attualmente, l’equilibrio delle forze è tutto a favore di Israele, mentre l’Iran appare indebolito, isolato e distante dal raggiungere i suoi obiettivi”.
L’ESCALATION FRA ISRAELE E IRAN
Finora il conflitto ha avuto una dimensione regionale. Tuttavia, quando a confrontarsi sono due potenze atomiche (Iran e Israele), il timore è che l’escalation diventi incontrollabile. “Siamo già in una escalation. L’Iran ha fatto un calcolo strategico, giusto o sbagliato che sia, che lo ha portato a rispondere con il lancio di missili per cercare di recuperare un po’ di credibilità. Ora aspettiamo la reazione israeliana, che ci sarà e probabilmente sarà un attacco diretto sul territorio iraniano. A quel punto siamo in prossimità di una spirale senza fine – continua Marino -. Perché dopo l’attacco israeliano l’Iran cosa farà? Sarà costretto a rispondere di nuovo. Siamo vicini a un conflitto più ampio, con il Libano coinvolto, e Israele non sembra avere intenzione di fermarsi. Attacchi ripetuti si stanno già verificando sui proxy iraniani, in Yemen, Siria e Iraq. È già una guerra regionale ampia, diciamoci la verità”.
LA SCELTA AZZARDATA DELL’IRAN E L’ISOLAMENTO DELLA REPUBBLICA ISLAMICA
La scelta dell’Iran di attaccare Israele potrebbe sembrare azzardata. Il paese sciita ha una forza economica e militare inferiore a quella di Israele, è sotto sanzioni da anni ed è isolato dal punto di vista diplomatico. “L’Iran è un paese sotto sanzioni da decenni, con un inasprimento dal 2018 – aggiunge l’analista del CeSI -. Quindi la situazione economica è difficile, aggravata da problemi politici interni. Nell’ultimo anno, l’Iran ha cercato di rafforzare la propria posizione diplomatica creando un asse a sostegno dei palestinesi, ma con scarsi risultati: molti paesi arabi non l’hanno seguito, se non a livello retorico. Al momento, l’Iran è piuttosto isolato. L’unico alleato di un certo peso è la Russia, che però è fortemente impegnata nel conflitto in Ucraina, un fronte complicatissimo. Basti pensare che è l’Iran a fornire armi ai russi”.
LA GUERRA “INUTILE” DELL’IRAN
L’attacco dell’Iran è stato sostanzialmente “inutile”, anzi ha dato a Israele la giustificazione per intensificare le azioni militari dirette contro il paese degli ayatollah. “Nonostante si sia detto che Netanyahu si trovi in una posizione difficile, attualmente è in una posizione di forza – prosegue l’analista del Cesi -. Non si preoccupa più della comunicazione o della narrazione pubblica, ma si concentra nel perseguire i suoi obiettivi e quello di Israele, con il pieno sostegno degli Stati Uniti e un supporto più o meno velato dal blocco euro-atlantico. Poi, certo, le dinamiche interne in Israele sono complesse, ci sono tensioni ma nel breve termine Netanyahu appare un leader forte capace di prendere decisioni nette. Tanto che può permettersi di dichiarare alle Nazioni Unite che Israele farà ciò che ritiene opportuno”.
OBIETTIVO DI ISRAELE: INDEBOLIRE LE STRUTTURE NUCLEARI DELL’IRAN
Ora l’obiettivo di Israele potrebbe essere quello di indebolire la capacità di risposta iraniana, a partire dai siti nucleari. “Cosa che può fare tranquillamente con attacchi aerei mirati alle postazioni missilistiche e ai centri di sviluppo del programma nucleare iraniano. Israele potrebbe anche condurre operazioni di ‘target killing’, l’eliminazione mirata contro i vertici politici e militari iraniani, grazie alla sua ampia penetrazione all’interno del territorio iraniano – spiega l’analista -. Non c’è bisogno di pensare a un’invasione terrestre da parte di Israele o degli Stati Uniti, e lo stesso Israele non dispone delle forze necessarie per un’operazione di questo tipo. Inoltre, è improbabile che gli Stati Uniti vogliano impegnarsi in un nuovo conflitto di lunga durata nella regione. Anche perché gli Usa vorrebbero disimpegnarsi dalla zona. Tuttavia, stiamo vedendo di tutto, quindi io manterrei un certo grado di cautela”.
(estratto da Policymaker)