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Ipotesi sul mondo dopo la guerra in Ucraina

Dopo la fine della guerra in Ucraina sarà difficile tornare al punto di prima, per questo sarebbe opportuno individuare le direttrici di riposizionamento delle società occidentali, a partire dai paesi dell’Ue. Il commento di Walter Galbusera

 

Sarà difficile e ci vorrà tempo per uscire dalla situazione “asimmetrica” in cui ci troviamo. Alcuni paesi dell’Ue, tra cui l’Italia in primo luogo, dovranno pagare prezzi economici e sociali molto alti, del tutto imprevisti per una popolazione abituata in non piccola parte alla “società signorile di massa” e più ancora fare i conti con le conseguenze politiche che ne deriveranno.

Se si deve attribuire un significato alle posizioni assunte dalle grandi potenze, la guerra prima o poi finirà e si inizieranno lunghe trattative, ma ci verrà consegnato un mondo profondamente cambiato. Quale sarà il destino della Russia non è dato oggi sapere, ma Putin non è eterno e il tempo potrebbe riservare qualche sorpresa, come è stata la resistenza eroica del popolo ucraino all’invasione.

Nel medio periodo la crescita rallenterà e bisognerà far fronte non solo al pagamento dei debiti passati ma anche di quelli che serviranno per ricostruire un nuovo ordine mondiale, allo stato parecchio incerto. C’è un esempio matematico assai calzante, quello di un sistema non risolvibile perché le equazioni che lo compongono sono inferiori al numero delle incognite. Solo se e quando arriveranno al sistema altre “informazioni” le cose saranno più chiare.

In altri termini la tendenza dei nuovi equilibri geopolitici, sarà determinata dalla intensità e dalla natura dei rapporti strategici tra Cina, Russia e altri paesi di primo piano come Arabia e (forse) l’India che potrebbero utilizzare lo Yuan o un’altra moneta convenzionale come valuta di riserva mondiale mettendo in pericolo la supremazia del dollaro. D’altra parte il Partito Comunista Cinese e il suo leader Xi, dopo avere divorato la piccola ma radicata comunità democratica di Hong Kong (altro che “un paese e due sistemi” del rimpianto Deng Xiao Ping!) non fanno alcun mistero di considerare l’annessione di Taiwan solo una questione di tempo.

In questo contesto nascerebbero due “ordini mondiali” prevalenti tra i quali potrebbe calare una nuova “Cortina di ferro” evocata nel celebre discorso di Winston Churchill tenuto nel Missouri il 5 marzo 1946. Di tutto ciò la prima vittima sarebbe la globalizzazione dell’economia che, condotta in misura esasperata prendendo alla lettera le teorie di David Ricardo che agli inizi del XIX secolo aveva vaticinato una divisione internazionale del lavoro fondata sui costi comparati, ha provocato non solo processi di delocalizzazione disordinati e fenomeni di concorrenza fondati sullo sfruttamento intensivo della forza lavoro ma è riuscita nell’opera diabolica di rendere subalterna l’economia occidentale per la disponibilità di alcuni prodotti intermedi strategici. La sottovalutazione dei fattori politici nel commercio internazionale non consentirà facilmente all’Occidente di riavvolgere il nastro e ritornare a un grado sufficiente di maggiore autonomia produttive in tempi brevi.

Un altro esempio di integrazione economica sovranazionale (non dissimile dalle delocalizzazioni) che ha sbagliato grossolanamente i conti è quella energetica che mette nei guai soprattutto Germania e Italia, quest’ultima attraversata da accanite campagne ideologiche antinucleari che hanno eliminato un potenziale di ricerca scientifica di altissimo livello e da efficaci iniziative “green” all’insegna del Not In My Back Yard e contro l’estrazione di idrocarburi dai nostri giacimenti.

Nel frattempo l’Eni diveniva oggetto di pluriennali indagini giudiziarie a loro volta anch’esse finite sotto l’interesse della stessa magistratura. Insomma una sorta di “cancel culture” applicata all’economia. La stessa “transizione energetica“ della Ue sembra essersi data tempi non più compatibili con l’attuale situazione.

Poiché dopo la fine degli scontri armati in Ucraina sarà ben difficile tornare al punto di prima, più che far previsioni sugli eventi specifici futuri sarebbe opportuno individuare le direttrici di riposizionamento delle società occidentali, a partire dai paesi dell’Unione Europea che sono chiamati ad avviare un processo di riadattamento delle proprie economie e che dovranno riavviare la ripresa partendo da condizioni più deboli facendo i conti con i rischi sia dell’inflazione che della stagnazione.

La stessa Ue non può eludere l’obiettivo della sua trasformazione in Stato sovrano perché quanto è avvenuto è anche responsabilità della mancanza di una efficace politica comune dell’Unione che ha finito per mantenere l’Europa in un più tranquillo ruolo subalterno agli Stati Uniti, peraltro non indenni da profonde contraddizioni interne e da macroscopici errori sul piano internazionale. Se ciò era inevitabile nel secondo dopoguerra è divenuto un elemento di fragilità dopo il crollo dell’Urss.

Il nuovo equilibrio di quello che ricominceremo a chiamare “il mondo libero”, sarà tanto solido quanto più l’alleanza tra Usa e Ue sarà paritaria sotto ogni punto di vista. Gli Stati Uniti, tanto più la Gran Bretagna, non avrebbero alternative credibili, mentre bisogna riconoscere che un punto debole di questo progetto è la insufficienza di leader politici assimilabili a quelli che costruirono le condizioni per la rinascita del Vecchio continente e posero le premesse per realizzare gli Stati Uniti d’Europa.

L’immagine della stessa Merkel, la cui uscita dalla politica è apparsa una perdita irreparabile, alla luce degli eventi ne esce ammaccata. Ancora più grave la situazione italiana in cui la distruzione sistematica dei partiti tradizionali, canali di raccordo tra i cittadini e le istituzioni, ha prodotto danni gravissimi e ha generato una nuova classe politica in gran parte prigioniera del corporativismo diffuso che rischia di ingessare il nostro paese.

Il presente ci mette di fronte a una realtà in rapido cambiamento. Se molte cose non saranno più come prima dovrà essere diverso l’approccio ai problemi e la ricerca delle soluzioni programmatiche e istituzionali e prima ancora di affrontare i singoli problemi occorrerà stabilire le priorità strategiche e agire di conseguenza.

È facile prevedere la reazione degli interessi che si sentiranno, a torto o a ragione colpiti e si ribelleranno a quella che considereranno una politica iniqua, ma la lotte delle numerose e agguerrite corporazioni non ci porterà da nessuna parte. Al di là dei programmi che dovranno essere oggetto di un confronto tra il Governo e le forze politiche e sociali conterà la consapevolezza di tutti, ivi comprese le opposizioni, di essere di fronte a scelte per costruire il futuro.

Il nostro paese ha già vissuto momenti di grave difficoltà dopo la fine della Seconda guerra mondiale e ha saputo uscirne con scelte coraggiose. Il pericolo maggiore oggi sarebbe di correre il rischio, sempre presente in queste circostanze, di accentuare le differenze esistenti senza offrire alle nuove generazioni strumenti efficaci di istruzione e di mobilità sociale che da troppo tempo sembrano funzionare poco e male. Molto dipenderà da come si affronteranno le nuove sfide, se nei gruppi dirigenti a ogni livello prevarrà lo spirito costruttivo della rinascita, del “miracolo economico” e della lotta al terrorismo o si guarderà di più a interessi corporativi o elettorali.

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