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Vi spiego il “metodo Dalla Chiesa” contro la mafia. Parla il generale Mori

A trent'anni di distanza dall’arresto di Totò Riina pubblichiamo un'intervista del professor Marco Mayer, docente al Master in Cybersecurity della Luiss, al generale e prefetto Mario Mori.

 

Generale Mario Mori, esattamente a 31 anni di distanza dall’arresto di Totò Riina, le chiedo di spiegare ai profani in cosa consiste il metodo “Dalla Chiesa” che il Ros ha applicato anche in questo caso.

Il metodo Dalla Chiesa, in estrema sintesi, prevedeva che, una volta individuato un elemento dell’organizzazione criminale investigata, questi fosse oggetto di una serie di prolungate attività investigative, mirate allo scopo di risalire agli altri elementi dell’organizzazione criminale. Il metodo, con una serie di predisposizioni tecniche innovative, presupponeva, come essenziale, la collaborazione con la magistratura requirente.

Quali sono le principali differenze che ha riscontrato tra combattere le Brigate Rosse e contrastare Cosa Nostra?

Premessa una precisa conoscenza delle diverse metodologie operative delle controparti, la fase del contrasto sul terreno delle due strutture era praticamente identica, configurandosi entrambe come organizzazioni di criminalità organizzata.

Come ricorda i suoi rapporti con la Procura di Milano?

I miei rapporti con i magistrati di quella Procura sono stati sempre eccellenti, in particolare ricordo Ilda Boccassini e Armando Spataro. Le attività dei reparti da me diretti con la magistratura di Milano, sono stati prolungati e fruttuosi sia nel contrasto al terrorismo che alla criminalità mafiosa.

Nelle indagini Mafia Appalti è emerso il possibile coinvolgimento di grandi imprese nazionali (quali ad esempio la Ferruzzi) e una loro contiguità con i palazzi romani?

Un colosso come il Gruppo Ferruzzi non poteva non avere rapporti con il mondo della politica. Per quanto riguarda l’attività investigativa condotta, posso confermare i legami tra il Gruppo rappresentato Raul Gardini e Lorenzo Panzavolta con gli ambienti mafiosi rifacentisi a Salvatore Riina.

La dottoressa Liliana Ferraro (magistrato non noto al grande pubblico per la sua proverbiale riservatezza) ha avuto un ruolo importante prima e dopo la morte di Falcone. A quasi due anni dalla sua scomparsa può raccontare il suo contributo al contrasto al fenomeno mafioso?

Liliana Ferraro, con la sua intelligenza determinata, è stata una dei primi magistrati “non siciliani” a comprendere il fenomeno mafioso e a mettersi a disposizione degli inquirenti che operavano sul campo. In particolare, nel suo rapporto professionale con Giovanni Falcone, ha rappresentato l’elemento indispensabile, dal punto di vista del supporto tecnico-amministrativo, che ha consentito al collega e amico di sovrintendere alla parte più squisitamente operativa del suo disegno di politica giudiziaria.

Lei ha subìto per più di vent’anni tre processi conclusisi con la sua piena assoluzione. La riforma del Codice di Procedura Penale è uno dei fattori che hanno contribuito a produrre la grande lentezza della macchina giudiziaria e i casi di malagiustizia? E in caso affermativo cosa cambierebbe?

La riforma del codice di rito evidenzia le sue lacune in quelle parti che risentono ancora della vecchia impostazione inquisitoria, retaggio del vecchio sistema, che ne fanno una realizzazione incompiuta e quindi sicuramente migliorabile. Nel mio caso, non penso che gli si possa attribuire “responsabilità” circa le vicende giudiziarie che mi hanno riguardato, piuttosto ritengo che una certa impostazione “storiografica” e non giuridica, assunta da qualche magistrato, sia requirente che giudicante, abbia causato le mie vicende processuali.

Un’ultima domanda in materia di intelligence. Lei che ha diretto il Sisde come inquadrerebbe la falsa telefonata al Presidente del Consiglio Meloni e la fuga di Artem Uss? Nei due casi sembrano sommarsi due fattori di debolezza, uno tecnologico ed uno umano: a) la mancanza di strumenti tecnologici adeguati per il riconoscimento vocale e una gestione non efficiente del braccialetto elettronico; b) rete di supporto della Federazione Russa. Pensa che l’Italia sia adeguatamente attrezzata per rispondere alle iniziative che provengono da Mosca e Pechino?

I fatti da lei citati evidenziano un problema di fondo della nostra società in cui la tecnologia – oggi c’è anche l’intelligenza artificiale – condiziona e può creare situazioni non solo imbarazzanti, ma anche gravemente pericolose. L’Italia opera nel contesto del mondo occidentale e, come tutti i paesi che ne fanno parte, ha difficoltà a fronteggiare compiutamente la competizione, sviluppata su più fronti, con Cina, Russia ed altri competitor internazionali.

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