Caro direttore,
uno si aspetterebbe, quasi tre secoli dopo la pubblicazione dell’Esprit des Lois, che un minimo di senso delle sfumature e della prospettiva governasse il racconto di mondi piuttosto diversi dal “nostro”. Invece: “Quell’immagine di satrapi ospiti di Xi avrebbe dovuto sollecitare qualche riflessione prima che la sollecitasse a Mattarella. Non è banalmente un nuovo blocco emergente contro quello americano-occidentale, non banalmente il delinearsi di un nuovo ordine mondiale, è la foto di gruppo di chi non tollera il dissenso e lo ha abolito, da tanto tanto tempo. Ecco che cosa hanno in comune, quello che non hanno: l’opposizione. Non c’è opposizione a Xi, non c’è a Putin e quella che resta muore nel gulag, come al solito, non c’è opposizione a Ciccio Kim, non c’è opposizione agli ayatollah iraniani o meglio c’è ma finisce appesa a una gru”. Così commenta la foto di gruppo dei leader di quelli che un tempo avremmo chiamato i “non allineati”, riuniti a Pechino qualche giorno fa, un giornalista colto, intelligente e capace di sottigliezze come Mattia Feltri (“vero, ma è pur sempre giornalista”, potresti obiettarmi tu, direttore).
Non a caso Feltri cita Mattarella. Per carità, di Mattarella si può solo parlare bene, e non penso che questo dipenda solo dagli articoli del codice penale che ne presidiano l’onore e il prestigio ma che il presidente della Repubblica goda di autentica “popolarità”, sia benvoluto dall’uomo (e anche dalla donna, certo) della strada, perché ha l’accento e l’espressione giusta, quella pacatezza che lascia intravedere un cuore pulsante. Detto quindi tutto il bene possibile di Mattarella, devo aggiungere che il tenore del messaggio che ha inviato alla 51ma edizione del Forum Ambrosetti di Cernobbio mi ha lasciato allibito. Come tutti sanno, il Forum Ambrosetti di Cernobbio è un concistoro laico simile al World Economic Forum di Davos (o viceversa), un’assise di “eletti” occidentali o graditi all’Occidente, che si radunano una volta l’anno per fare rete, contarsela su e capire dove tira il vento. Parliamo di élite o dei suoi luogotenenti, solitamente più realisti dei re.
Che cosa ha detto Mattarella, ricorrendo alla insolita retorica della “domanda oziosa”? Si è “risposto”: 1: La pace è preferibile alla guerra: 2. É possibile costruire un mondo in cui gli Stati collaborino per il benessere congiunto dei loro popoli. 3. Deve prevalere dignità, libertà, futuro delle persone. Nelle “domande” si disegnava, per esecrarlo, un mondo “di Stati contrapposti in nome di artefatti, presunti interessi nazionali” (“artefatti, presunti”? ma Sergio Mattarella non è Capo di uno Stato nazionale?-ndr) e di persone “oggetto, strumento, delle ebbrezze di potere di classi dirigenti”. Se questo è stato lo svolgimento, il titolo era non meno lapidario: “L’Europa, con la sua unità, è la possibilità offerta per essere presenti con efficacia e per poter incidere nel mondo che cambia così rapidamente”.
“Nella sua unità?”. Se le élite degli Stati fondatori non trovano rapidamente la forza di rivolgere dai fondamenti l’attuale assetto istituzionale, per trasformarsi in stato federale insieme a chi ci starà, quel che l’Europa potrà offrire al mondo sarà la propria liquefazione economica e politica, due processi di cui già si colgono alcuni accenni se solo si è disposti a tenere occhi e orecchie aperti. Data la scarsissima probabilità di un “colpo d’ala” istituzionale, uomini d’impresa come Antonio Gozzi (Duferco Group) invocano con urgenza “un chiaro segnale alle strutture di Bruxelles di fermarsi nella loro distorsione regolatoria” e aggiungono: “Ci si chiede perché non essendo la politica industriale materia comunitaria la si debba fare surrettiziamente attraverso un’iper-regolamentazione” per concludere chiedendo, papale papale, “accordi intergovernativi tra i grandi Stati industriali europei: Germania, Italia, Francia e Polonia”.
Non so se queste siano risposte giuste, e realistiche, ma la percezione dell’urgenza realistica è, e all’incombente prospettiva del disfacimento è velleitario “reagire” con il fiabesco e troppo ripetitivo racconto di quel che di buono l’Unione europea avrebbe fatto per noi in questi ultimi decenni, che Mattarella ha voluto offrire al scelto pubblico del Forum Ambrosetti con poche speranze di impressionarlo. Quanto, infine, a quel “Il mondo ha bisogno dell’Europa” che sembra suggerito dal coraggio della disperazione, se è servito per guadagnare alla causa di Mattarella la prima pagina dei giornali nazionali, non ritarderà di un minuto il processo degenerativo che si riflette tra l’altro nella perdita di un terzo del Pil europeo rispetto agli Usa negli ultimi vent’anni circa. A meno che, quando parla delle “ebbrezze di potere di classi dirigenti”, Mattarella non pensi in cuor suo a quelle in preda a “ebbrezza regolatoria” a Bruxelles.
Perché no, direttore?