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Armi e difesa, tutte le mosse anti-russe degli Usa con l’India

Gli Stati Uniti vorrebbero firmare un rivoluzionario patto sulla difesa con l'India che metterebbe in secondo piano il ruolo della Russia nella fornitura di armi. Modi a Washington

Quando Narendra Modi arriverà a Washington – dove avrà l’onore, riservato solo a statisti del calibro di Churchill, di pronunciare per la seconda volta nella sua vita un discorso alle Camere riunite – troverà sul tavolo, pronto per la firma, un rivoluzionario patto per la difesa. Ne ha scritto l’Economist in un recente approfondimento che fa il punto sulle ambizioni militari dell’India che negli Usa potrebbe trovare un’ottima alternativa a un fornitore sempre più inaffidabile come la Russia.

L’offerta degli Usa

Presentato all’attenzione del governo indiano lo scorso 5 giugno durante la visita del Segretario alla Difesa Lloyd Austin, l’accordo riguarda la cooperazione nell’industria militare e copre lo scambio tecnologico in aree come il combattimento aereo, i veicoli corazzati, le munizioni e l’ISR (Intelligence, Surveillance and Reconnaissance).

Verso un’industria della difesa autoctona?

Per un Paese che è il più grande importatore di armi al mondo, la profferta americana potrebbe rivelarsi vincente. Da tempo infatti Dehli cerca di sviluppare la propria industria della difesa con politiche quali quella denominata “Make in India” e lanciata otto anni fa o quella etichettata “India autosufficiente” con cui si è innalzata dal 49 al 74% la quota massima che un’impresa straniera può detenere nelle joint ventures sulla difesa.

Ma i programmi del governo Modi stentano a decollare. Lo dimostrano tra le altre cose gli appena 380 milioni di dollari di investimenti esteri diretti nell’industria della difesa raccolti l’anno scorso, che vanno raffrontati con l’ambizioso target di dieci miliardi di dollari fissati dall’esecutivo per il 2025.

I legami dell’India con la Russia

Secondo Rahul Roy-Chaudhury, ricercatore dell’International Institute for Strategic Studies (IISS), con sede in Inghilterra, questo magro risultato si spiega con un ben preciso fattore: gli stretti legami ancora esistenti tra India e Russia, che pongono ad eventuali investitori – nel nome della paura che i propri manufatti finiscano in mani sbagliate – il problema del rischio del trasferimento tecnologico.

Eppure negli ultimi tempi, e specialmente dopo l’invasione dell’Ucraina, Dehli ha cominciato a mettere in discussione il ruolo di Mosca quale fornitore elettivo di armamenti. Secondo i dati del Sipri citati dall’Economist, la quota delle importazioni di armamenti dalla Russia sul totale è scesa negli ultimi quattro anni dal 64 al 45% (la Francia è seconda con il 29% mentre l’America ha solo l’11%).

Eppure certi retaggi hanno un’impronta duratura: secondo l’IISS, a tutt’oggi il 90% dei veicoli corazzati dell’India, il 69% dei suoi caccia e il 44% delle sue navi da guerra e dei suoi sottomarini sono di fabbricazione russa o prodotti su licenza russa

Per l’India, fare affari con Mosca in questo settore ha tradizionalmente recato il duplice vantaggio dei prezzi contenuti e dei minori scrupoli sul trasferimento tecnologico. Tuttavia, da quando è in corso la guerra in Ucraina e l’industria russa degli armamenti si è concentrata sugli obiettivi nazionali, questo vincolo del passato si è trasformato in un handicap.

Basti pensare al fatto che l’India attende ancora la consegna di due delle cinque batterie del sistema antimissile S-400 acquistate nel 2018 dietro pagamento di ben 5,4 miliardi di dollari. O al fatto, denunciato lo scorso marzo in Commissione difesa, che “un numero molto ampio” dei 272 Su-30 in dotazione all’aviazione non sono operativi a causa dell’assenza di parti di ricambio.

Obiettivo autosufficienza

La crescente inaffidabilità della Russia è uno dei motivi per cui ora l’India punta all’autosufficienza. Secondo le nuove linee del governo, il 75% del budget della Difesa dovrà essere destinato ad acquisti da produttori nazionali.

Recentemente inoltre l’esecutivo ha stanziato ben 8,5 miliardi di dollari per accelerare la produzione di carri armati leggeri, sistemi di artiglieria, missili ed elicotteri made in India, con l’obiettivo di farli entrare in servizio entro la fine di questo decennio.

Sono state stilate anche quattro “liste di indigenizzazione” che di fatto impediscono l’importazione di 411 tipologie di armamenti e di migliaia di loro componenti, con l’obiettivo di sostituirli con manufatti equivalenti prodotti in India.

L’alternativa americana

Non è chiaro, sottolinea l’Economist, quanto siano realistici i piani di Dehli. Può anzi apparire velleitario proporsi di sostituire rapidamente e quasi in toto le importazioni con produzioni autoctone ancora non testate né sicure. C’è inoltre l’incognita dei generali indiani, che potrebbero non condividere l’idea di trovarsi in terra incognita con armi di efficacia non provata.

Ecco perché l’alternativa americana può apparire attraente. L’accordo prospettato il 5 giugno da Austin prevede di affidare all’India la licenza per produrre i motori General Electrics GE-F414 per i caccia F-18 Super Hornet della Boeing e per i Gripen della Saab. I motori sarebbero assemblati nel nuovo stabilimento della compagnia statale Industan Aeronautics che li potrà destinare anche ai caccia di quinta generazione HAL Tejan Mk2 che sono attualmente allo stato di prototipo e che dovrebbero rappresentare, nelle intenzioni del governo, il gioiellino dell’industria nazionale.

È in questo modo che, dalla prospettiva di Washington, si potrebbe rafforzare la cooperazione militare con un partner che fa già parte del raggruppamento del QUAD e sta adottando nel delicato quadrante dell’Indo-Pacifico una postura sempre più attiva in funzione anticinese.

Ma sulla strada dell’intesa, osserva l’Economist, c’è un ostacolo: l’esenzione che il Congresso dovrà necessariamente concedere per una licenza così sensibile, Ma questo può apparire un dettaglio di una relazione tra due Paesi sempre più allineati che, secondo i piani Usa, dovranno fare da muro all’ascesa cinese.

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