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Perché per l’India non è un momento favorevole per una guerra col Pakistan. L’analisi di Missaglia (Ispi)

Venti di guerra fra India e Pakistan. Che cosa sta succedendo, le cause del conflitto e le posizioni di Stati Uniti e Cina. Conversazione con Nicola Missaglia, research fellow e capo del Desk India dell'Istituto Studi per la Politica Internazionale (Ispi).

Attentati, attacchi aerei, bombardamenti e risposte militari. Nelle ultime ore tra India e Pakistan le tensioni sono sfociate in qualcosa di più, lungo la linea di confine nel Kashmir, ma anche altrove. Sarà veramente guerra? Abbiamo chiesto quali sono gli scenari e le prospettive a Nicola Missaglia, research fellow e capo del Desk India dell’Istituto Studi per la Politica Internazionale (Ispi).

Le guerre di solito non si annunciano, ma certo c’è il rischio che attacco dopo attacco la situazione possa sfuggire di mano. Pensi sia possibile un’escalation?

Con la dovuta cautela, ritengo che ci siano alcuni elementi per pensare che la questione non sfoci proprio in una guerra. Noi ci troviamo oggi in una situazione che è ancora di escalation. Dopo l’attentato, di cui l’India ha accusato il Pakistan, c’è stato un attacco piuttosto forte dell’India su alcuni obiettivi dentro il Pakistan. Un attacco più forte rispetto alle ultime volte, perché ha colpito una serie di obiettivi, nove per loro, sei per il Pakistan. Ad ogni modo non più un unico obiettivo, come accaduto per esempio nel 2019. E gli obiettivi non si trovano solo nella regione di confine tra India e Pakistan, ma anche nell’entroterra pakistano. Quindi c’è stato un primo elemento di superamento di una soglia psicologica finora rispettata. Ma d’altronde anche l’attentato ha superato una soglia perché ha colpito dei civili, diversamente dagli attentati precedenti che invece tendenzialmente colpivano militari. Quindi l’escalation già c’è stata.

Poi c’è stata la reazione del Pakistan.

Siamo giunti a una sorta di situazione di equilibrio, nel senso che più o meno il numero di vittime da una parte e dall’altra è lo stesso. Islamabad ha dichiarato, anche se poi questo non è possibile verificarlo, di avere abbattuto alcuni degli aerei indiani usati per colpire gli obiettivi in Pakistan. Ciascuna delle due parti ha in qualche modo degli elementi per dire “abbiamo risposto adeguatamente”.

Sia i giornali indiani sia quelli pakistani ieri erano abbastanza soddisfatti, rispettivamente dell’attacco indiano e della risposta pakistana. Può essere visto come un segnale di un tacito compromesso tra le parti?

Sì, perché chiaramente entrambi i governi devono rendere conto anche alle opinioni interne che nelle ultime settimane chiedevano risposte forti. Che sono arrivate. C’è questa dimensione retorica che dà molto respiro ai nazionalismi reciproci. Però poi c’è anche un riflesso diplomatico, in cui ci sono canali aperti.

C’è però chi spinge e soffia venti di guerra.

In entrambi i paesi ci sono delle correnti fortemente nazionaliste che spingono per avere un conflitto. Pensiamo all’India: è un paese con un governo nazionalista d’ispirazione induista, con una forte componente anche anti-musulmana. Quindi ci sono degli esponenti sia nell’opinione pubblica che nel governo che guardano al Pakistan musulmano come responsabile del terrorismo in Kashmir e spingono per un’ulteriore escalation. Idem, all’opposto, per il Pakistan.

L’attuale situazione mondiale, tra guerre, tensioni, crisi del sistema multilaterale e del diritto internazionale, potrebbe rappresentare una finestra ‘favorevole’ per chi vuole il conflitto?

È vero che il diritto internazionale non è più considerato e le regole sembrano disgregarsi. Ma non penso sia un momento favorevole. L’India di oggi non è la stessa di 5 o 10 anni fa. Oggi, in un conflitto, che tra l’altro potrebbe diventare facilmente nucleare, avrebbe molto da perdere. Perché l’India è fortemente esposta geopoliticamente, il governo sta cercando in tutti i modi di stringere nuovi accordi commerciali. È notizia di ieri l’accordo commerciale con il Regno Unito, di recente è stato preannunciato anche quello con gli Usa ed entro l’anno dovrebbe arrivare quello con l’Unione Europea. L’India ora si trova sulla cresta dell’onda, ma comunque in una situazione in cui deve consolidare la propria crescita economica e il proprio ruolo geopolitico. Una guerra con il Pakistan rischia di compromettere il suo obiettivo, concentrando troppe energie e attenzioni sul conflitto e non sulle cose più importanti, come creare nuovi posti di lavoro, o fare dell’India un paese industrializzato e la nuova potenza asiatica. Va anche detto una cosa che non è emersa molto nella stampa in questi in questi giorni. L’India è nel mezzo di una riforma e di un ammodernamento del proprio esercito, dei propri armamenti per le forze militari. Si trova in una fase di transizione. Una guerra chiaramente scompaginerebbe i suoi piani. Quindi, specie per l’India non è il momento più ideale. Ma anche il Pakistan è sotto pressioni enormi, anche dall’esterno, per non fare una guerra. Quindi non credo che le condizioni siano favorevoli a una guerra.

Qual è l’atteggiamento degli Usa e della Cina in tutto ciò?

Trump ha detto che è pronto a fare da mediatore. Ma gli Stati Uniti hanno un interesse molto forte, cioè avere un alleato indiano stabile e affidabile in funzione anti-cinese. La Cina è comunque la seconda potenza mondiale, quindi ha chiaramente una certa autorevolezza. Sicuramente le leve che ha nei confronti del Pakistan sono molte. La Cina ormai da diversi anni è il principale investitore del paese, è quasi un rapporto di dipendenza quello del Pakistan verso la Cina. Con l’India è un po’ più complicato, sono due competitor asiatici tra retorica e forti nazionalismi, ci sono tensioni al confine, ma le relazioni sono comunque forti, specie quelle commerciali. Pechino non sembra avere alcun interesse a una escalation, anzi ha chiesto a tutte le parti di fermarsi. D’altronde una guerra finirebbe facilmente per coinvolgere anche la Cina, vista la sua presenza nella parte orientale del Kashmir. Le priorità della Cina oggi sono altre, tra la guerra commerciale, l’instabilità generale e la risposta da dare agli Usa.

Entrambi i paesi hanno capacità nucleari. Può essere un test, questo tra India e Pakistan, per capire se la deterrenza nucleare funzioni veramente?

In questo periodo si sta trattando molto questo tema, se le potenze nucleari possono condurre delle guerre convenzionali importanti senza l’uso delle atomiche. Sì, può essere visto come un primo test perché effettivamente mette direttamente a confronto due potenze che sono sia nucleari che convenzionali. Cosa che non vediamo, per esempio, nella guerra tra Russia e Ucraina.

La minaccia indiana della sospensione del trattato delle acque dell’Indo è un segnale critico? Quali sono i possibili scenari?

Di questa sospensione si è parlato molto, soprattutto nelle ultime settimane, dopo l’attentato ma prima dell’attacco, ed è stata una forma di escalation anche quella. Sospendere quel trattato di fatto metterebbe in ginocchio il Pakistan. L’80% dell’agricoltura pakistana dipende proprio dalle acque dell’Indo e il Pakistan è un paese fondamentalmente agricolo. Bloccare quelle acque, che hanno origine in India e finiscono in Pakistan, sarebbe catastrofico per il Pakistan. Tanto che quest’ultimo ha detto che lo considererebbe un vero atto di guerra. Va anche detto però che è molto difficile che l’India poi effettivamente riesca a implementare una misura del genere, nel senso che parliamo di miliardi di metri cubi di acqua che l’India non ha le infrastrutture per fermare. Quindi è stata un po’ una minaccia retorica, accentuata molto nei giorni dopo l’attentato. Adesso mi sembra se ne parli meno, anche perché si è passati sul piano militare. Sarebbe sicuramente un atto contrario alle regole internazionali, ma quelle mi sembra che ormai in molti scenari sono saltate. Però dobbiamo anche dire che l’India alla fine dei conti, pur essendo un paese revisionista, ha sempre sostenuto l’importanza del multilateralismo e comunque di mantenere una certa solidità delle regole d’ingaggio.

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