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India, grande potenza regionale o super potenza mondiale?

Le “scelte di campo” dell’India saranno determinanti per gli equilibri di potenza fra gli Usa e la Cina, quindi per il nuovo ordine globale. L'analisi del generale Carlo Jean

Le “scelte di campo” dell’India saranno determinanti per gli equilibri di potenza fra gli Usa e la Cina, quindi per il nuovo ordine globale. Il suo allineamento con Washington e i suoi alleati potrebbe formalizzarsi nel “Summit delle Democrazie”, che Joe Biden organizzerà in primavera. Esso segnerebbe la prevalenza del capitalismo democratico e liberale su quello autoritario e illiberale di tipo cinese. Quanto auspicato dal nuovo presidente Usa non è di sicura realizzazione. È stato già parzialmente compromesso dai nuovi accordi sugli investimenti fra l’Ue e la Cina. L’impatto positivo dell’India sarà poi possibile solo se essa riuscirà a consolidare le sue istituzioni democratiche, messe in pericolo dal nazionalismo indù di Narendra Modi, superando nel contempo la tradizionale frammentazione e litigiosità politica. Solo radicali riforme politiche, economiche e anche culturali potranno consentire all’India di far sentire appieno il proprio peso nel mondo.

Sono finiti i tempi in cui il paese poteva limitarsi ad essere un “tranquillo gigante” sulla scena mondiale, limitando la sua influenza e proiezione di potenza a livello regionale. Deve acquisire la capacità di proiettare la sua potenza. Essa implica la stabilità interna e una vera e propria rivoluzione anche culturale e istituzionale, che non può essere data per scontata. Per valorizzare appieno le sue potenzialità, l’India dovrà anche abbandonare il protezionismo e la sua chiusura all’economia mondiale. Solo così potrà sfruttare i benefici della globalizzazione e attirare gli indispensabili investimenti stranieri. In altre parole, dovrà adottare una politica economica simile a quella imposta alla Cina da Deng Xiaoping. Non è detto che lo faccia. Non ha aderito al Rcep (Regional Comprehensive Economic Partnership), di cui fanno parte sia la Cina che il Giappone, ufficialmente per il timore di vedere la propria industria schiacciata dalle importazioni dalla Cina.

Dal punto di vista puramente quantitativo, l’India è già una grande potenza. È il secondo paese più popoloso del mondo. Ha la quinta economia mondiale (la terza in termini di potere d’acquisto). Dispone di potenti forze armate, in corso di profonda ristrutturazione. La componente terrestre, finalizzata al mantenimento dell’ordine pubblico e a un conflitto contro il Pakistan e, nella frontiera himalayana, contro la Cina, passerà in secondo piano rispetto alla marina e alla componente aeronavale, destinate al dominio dell’Oceano Indiano. L’India dispone di sistemi nucleari in grado di colpire l’intera Cina. Ha notevoli capacità sia spaziali che nel cyberspazio.

Finora i suoi interessi di politica estera e di sicurezza sono stati soprattutto regionali. I suoi due pilastri sono la Saarc (South Asia Association on Regional Cooperation) e la c.d. Look East Policy, di crescente importanza per i legami economici con l’Asean e anche con il Giappone. Nella politica estera indiana ha sinora dominato la contrapposizione con il Pakistan, con cui l’India la disputato l’influenza non solo nel Kashmir, ma anche in Afghanistan.

L’India, sin dalla sua indipendenza nel 1947, ha cercato di evitare impegni diretti sulla scena mondiale, limitandosi a esercitare un’influenza morale, derivante dalla sua storia millenaria e dalla sua cultura, oltre che dalla sua relativa debolezza economica e militare. Durante la guerra fredda fra gli Usa e l’Urss, si è posta a capo del Movimento dei Paesi Non Allineati. Di fatto, dopo il conflitto con la Cina nel 1962 e con il Pakistan nel 1971, si è sempre più legata a Mosca. Dopo il collasso dell’Urss ha sostenuto l’avvento di un mondo multipolare, anche nel breve “momento unipolare” Usa. Tale politica, che evitava l’assunzione di impegni diretti, era del tutto coerente con le sue ridotte risorse, con le difficoltà interne e con l’esigenza di fronteggiare il Pakistan e la penetrazione cinese oltre che in tale paese, nell’Oceano Indiano e in Nepal, Sri Lanka e Seychelles.

Con la crescita economica e militare della Cina, tale politica non è più sufficiente. Pertanto, l’India si è avvicinata agli Usa, ai loro alleati asiatici e all’Europa. Il processo è stato accelerato dalle crescenti tensioni fra Washington e Islamabad e dal periodico rinnovarsi di scontri con la Cina. Il più recente è avvenuto a metà giugno: centinaia di militari cinesi e indiani si sono scontrati in un furioso e sanguinoso corpo a corpo nelle montagne della vallata del Galway, sulla frontiera himalayana.

La semi-protezione di Mosca durante la guerra fredda non è scomparsa. Il Patto di Amicizia e di Partenariato, firmato dall’India con l’Urss nel 1971 è stato rinnovato da Putin nel 2000. Esso era consolidato dal fatto che Washington sosteneva il Pakistan, sua essenziale base logistica, prima per rinforzare la rivolta afgana contro l’invasione sovietica; poi per i rifornimenti delle loro forze impegnate dopo il 2001 contro i Talebani e al-Qaeda. Inoltre, sui rapporti con gli Usa, influiva negativamente anche la crescente collaborazione economica americana con la Cina, che aveva fatto ipotizzare a Robert Zoellick un accordo organico fra i due paesi (Chimerica) per regolare il nuovo ordine mondiale, che marginalizzava l’India.

Oggi, le cose sono profondamente cambiate. L’India ha migliorato notevolmente i rapporti con gli Usa, con i loro alleati europei, specie con la Francia, e con Israele anche in campo militare e tecnologico. Cerca di rimanere legata alla Russia, pur nella crescente consapevolezza di non poter contare più su Mosca, ormai indebolita e troppo dipendente dalla Cina. Ne rimane comunque il maggiore importatore d’armamenti. Collabora con Mosca in campo elettronucleare e spaziale. Anche per questo continua ad essere membro attivo della SCO (Shanghai Cooperation Organization). Tale partecipazione corrisponde ai suoi interessi di lotta contro i movimenti terroristici interni e di matrice islamica, sebbene la Cina sostenga la rivolta “naxalita”, attiva nella fascia orientale della penisola indiana, e si guardi bene dal condannare gli attacchi dei terroristi pakistani in India. La SCO, infatti, consente a New Delhi di mantenere l’accesso all’Eurasia e di disporre di una sede istituzionale per quanto rimane della presenza russa in Asia meridionale. La partecipazione alla SCO impedisce però all’India di trasformare in alleanza i rapporti di collaborazione anche militare con gli Usa e le democrazie asiatiche.

La possibilità dell’India di continuare in tale equilibrismo, che taluni chiamano “Non Allineamento 2.0”, si sta erodendo sia per l’aumento delle tensioni fra gli Usa e la Cina, sia per la politica cinese divenuta con Xi Jinping più aggressiva nell’intera Eurasia, inclusa l’Asia Meridionale e l’Oceano Indiano, considerati dall’India zone di sua esclusiva influenza.

La riluttanza a trasformare la collaborazione militare con gli Usa e il Giappone in alleanza delle democrazie dell’’indo-pacifico” in funzione anticinese permane, pur essendo stata di recente erosa anche dalla prospettiva di consistenti accordi economici fra Pechino e Teheran, che escludono l’India dal paese di obbligato passaggio per accedere all’Asia Centrale, tramite il porto di Chabahar e l’Afghanistan, e alla Russia Europea con il Corridoio Nord-Sud, che da Bandar Abbas e l’Azerbaijan raggiunge San Pietroburgo. Entrambi tali vie di comunicazione costituiscono una specie di risposta indiana alla Via della Seta continentale cinese, con la quale Xi Jinping tende ad unificare l’Eurasia sotto l’influenza economica – quindi geopolitica – cinese.

L’India non può limitarsi a guardare. La sua posizione, come già accennato, potrà precisarsi nel “Summit delle Democrazie”. Prima o poi dovrà scegliere. A differenza della guerra fredda, la sua libertà d’azione è limitata. Allora non era a contatto dei due blocchi contrapposti. Oggi si trova invece a contatto della Cina sia sulla frontiera himalayana sia nell’Oceano Indiano. Con quello Pacifico è divenuto il centro della nuova guerra fredda fra Washington e Pechino.

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