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Difesa

Tutti gli effetti voluti e non voluti dell’incursione ucraina in Russia. L’analisi di Jean

L’attacco ucraino ha reso impossibile la finalizzazione di segreti negoziati in cui la Russia avrebbe dovuto cessare gli attacchi contro il sistema elettrico ucraino, in cambio della fine di quelli ucraini contro le raffinerie petrolifere russe? Per ora, la ricaduta dell’attacco ucraino è stata solo politica. Ecco come e perché. Fatti, indiscrezioni e approfondimenti nell'analisi del generale Carlo Jean

Sino al 6 agosto – data dell’inizio dell’attacco di sorpresa ucraino nella regione di Kursk – Putin era convinto – e aveva convinto il mondo – che il crollo della resistenza ucraina fosse solo questione di tempo. L’avrebbe reso inevitabile la superiorità dei russi in uomini e mezzi, determinante in una guerra divenuta d’attrito dopo il fallimento della controffensiva ucraina del 2023. Lo provava la continua, seppur lenta e sanguinosa avanzata russa, specie nel fronte del Donbas, volta a completare la conquista dei quattro Oblast illegalmente annessi alla Russia.

Il successo della sorpresa ucraini a Kursk, la sua travolgente avanzata, la confusione e i ritardi nella risposta del Cremlino e la dimostrazione dell’inefficienza della sua intelligence e dei suoi comandi militari non segneranno – come taluni sono invece persuasi – una fase completamente nuova nel conflitto. Non renderanno possibile una nuova controffensiva ucraina per la riconquista dei territori perduti, né la rinuncia russa a pretendere per l’inizio di negoziati con Kiev le condizioni capestro poste nel cosiddetto “piano di pace” di Putin (in pratica la cessione di un quinto del suo territorio anche delle aree dei quattro Oblast in cui gli Ucraini continuano a resistere), nonché la rinuncia a ogni seria garanzia di sicurezza. Non renderanno neppure possibile una maggiore flessibilità di Putin per iniziare negoziati di pace, come secondo gli ucraini sarebbe l’obiettivo della loro iniziativa. Putin non può permetterselo. Sarebbe un’ammissione di sconfitta e, forse, la fine del suo regime. L’attacco ucraino ha reso impossibile la finalizzazione di negoziati segreti che si sarebbero dovuti tenere in Qatar entro agosto, in cui la Russia avrebbe dovuto cessare gli attacchi contro il sistema elettrico ucraino, in cambio della fine di quelli ucraini contro le raffinerie petrolifere russe. E’ a essi che verosimilmente il ministro della Difesa, Guido Crosetto, si riferiva nella sua risposta al critico articolo di Paolo Mieli. Esistono comunque al riguardo solo indiscrezioni.

Per ora, la ricaduta dell’attacco ucraino è stata solo politica. E’ consistita in un’umiliazione di Putin e nell’aumento del prestigio di Zelensky. Per il primo è stata solo internazionale, con ricadute che vanno ben oltre l’Ucraina. Ad esempio, l’Iran potrà fare minor affidamento sull’alleato russo nel confronto con gli USA in Medio Oriente e la Cina non potrà più contare su una vittoria russa in Ucraina, che distragga l’attenzione USA dall’Indo-Pacifico. Il blocco occidentale a sostegno dell’Ucraina si è invece consolidato. Altrettanto dicasi per il morale delle truppe e della popolazione ucraine.

Imprevedibili sono invece le conseguenze che l’attacco a Kursk avrà in campo strategico-militare. L’entità dell’attacco e l’impossibilità che tagli le vie di comunicazione e di rifornimento fra la Russia continentale e il Donbas fanno pensare che l’attacco non muterà i caratteri della guerra in Ucraina. L’impossibilità per Kiev di trasformare in strategico il successo tattico a Kursk, dipende anche dalla riluttanza dell’Occidente – eccessivamente a parer mio timoroso di un’escalation – di fornire a Kiev le necessarie armi a lunga gittata e l’autorizzazione di impiegarle sul territorio russo. Sotto il profilo della logica strategica si tratta di una follia che prolunga il conflitto. Esso può cessare solo se i costi e i rischi per il Cremlino aumentano fino al punto di persuaderlo che “il gioco non vale la candela” e di indurlo a seri negoziati per una “pace giusta”. La retorica occidentale di sostenere l’Ucraina fino alla fine dell’aggressione si è trasformata in un “bluff” analogo a quello delle minacce di Mosca di ricorrere alle armi nucleari. La massa dei sostenitori di Kiev, pur retoricamente fautori di una “pace giusta” anche per Kiev, non intende modificare la politica finora seguita, fornendogli solo i mezzi per sopravvivere ma non quelli per obbligare il Cremlino a negoziare, in particolare armi a lunga gittata e l’autorizzazione ad impiegarle anche sul territorio russo. Nessuno beninteso dice all’opinione pubblica che con tale politica si perpetua la guerra.

Solo teoricamente Putin non può accettare un accordo che non riconosca la sua completa vittoria, in quanto in essa sarebbe in gioco non la sopravvivenza della Russia ma il suo potere, che ha dimostrato di essere in grado di superare difficoltà e umiliazioni.

Non è solo l’Italia ad adottare tale strana politica, anche se la continua ripetizione del “refrain” “non siamo in guerra contro la Russia” o l’“arrampicarsi” sulla Costituzione sta trasformandosi da ridicola in fastidiosa. Ad ogni buon conto i sostenitori delle possibilità di un’Armaggeddon” si è reso conto che le probabilità di escalation nucleare sono minime. Il sistema dissuasivo della guerra fredda non ha mai cessato di funzionare, anche se qualcuno lo scopre, come recentemente avvenuto per i missili navali nucleari russi puntati sull’Europa.

L’imbarazzo di Putin determinato dalla “beffa di Kursk”, cioè la sua sconfitta politica, è stato messo in evidenza dal suo tentativo di minimizzare l’evento. Lo ha definito “atto di terrorismo” e “provocazione”. Ha affermato che sarà respinto e distrutto senza sottrarre forze al fronte del Donbas. Non ha sostituito i generali responsabili del disastro. Ha attribuito l’insuccesso russo alla NATO, senza però minacciare particolari vendette. Stranamente l’opinione pubblica russa e i media di regime non hanno drammatizzato l’invasione straniera del territorio russo, che non avveniva dal 1944. Si è sentita maggiormente la voce degli esuli anti-putiniani che si sono appellati al patriottismo non solo per rimproverare Putin della sua inefficienza nel difendere il “sacro suolo” della Madre Russia.

Non si conoscono gli obiettivi di Kiev. Forse è stato preso di sorpresa dall’entità del successo. Non credo che fosse limitato ad approfittare della vulnerabilità russa per consolidare il morale delle sue truppe, popolazione, soldati e soprattutto alleati. La situazione rimane troppo tragica per sprecare soldati per un’azione di propaganda o per stimolare il Cremlino a serie quanto improbabili trattative di pace. Forse più realisticamente era quello di obbligare i russi a spostare a Kursk truppe dal fronte del Donbas, in gravi difficoltà per l’Ucraina, e impedire a Mosca la completa conquista dell’Oblast, ripetendo la manovra per linee interne che aveva portato ai successi della controffensiva di Kharkiv e Kherson a fine 2022.

Tale obiettivo non è stato almeno per il momento raggiunto. Le forze spostate da Putin a Kursk provengono dai settori di Zaporizhzhia e di Kerson, mentre in quello del Donbas si sono intensificati gli attacchi. L’avanzata ucraina a Kursk continua, seppure a ritmo più ridotto. Dovrà fermarsi, per evitare il rischio che le forze scelte di Kiev impiegate nell’attacco vengano soverchiate dai rinforzi russi.

Il Cremlino non si è ancora ripreso dalla sorpresa, quasi dalla “beffa” subita. Le reazioni dell’apparente impassibile Putin continuano ad essere quasi isteriche, Ha sostituito il capo dell’Intelligence interna (FSB) con la sua guardia del corpo; se l’è presa con il caos con cui i governatori locali hanno organizzato l’evacuazione degli abitanti delle aree occupate dagli ucraini; ha limitato a 10.000 rubli (111 $) gli indennizzi agli oltre 250.000 evacuati, taluni affermano che l’ha fatto per punirli d’aver abbandonato la terra della madrepatria.

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