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Perché Bernabè strapazza Clinton

Estratto da "In trappola. Ascesa e caduta delle democrazie occidentali (e come possiamo evitare la Terza guerra mondiale)" di Franco Bernabè e Paolo Pagliaro.

Pagliaro: Il mondo a cui appartieni, diciamo la cultura liberaldemocratica, ha Clinton nel suo Pantheon.

Bernabè: Io penso invece che chi ha smontato definitivamente il vecchio mondo che aveva come baluardo di protezione sociale la legislazione del New Deal di Roosevelt sia stato il democratico Clinton e non solo il repubblicano Reagan. Clinton nel ’92 vince le elezioni, in coincidenza proprio con l’uscita del libro di Fukuyama (La fine della storia e l’ultimo
uomo), e si insedia agli inizi del ’93. Dura fino al 2001. Nel corso dei suoi due mandati, Clinton fa la vera rivoluzione capitalistica, con quattro filoni di intervento che poi hanno segnato profondamente le politiche degli altri governi occidentali: la liberalizzazione dei mercati finanziari, la totale deregolamentazione della tecnologia, lo smantellamento dei meccanismi di protezione sociale introdotti da Roosevelt e l’ammissione della Cina al Wto.

Partiamo dalla prima: il Financial Services Modernization Act. Una riforma che mette in cantina quella nota come Glass-Steagall Act, che era stata approvata dopo la crisi del ’29 per separare l’attività di credito commerciale dall’attività di investimento finanziario e per contenere la speculazione da parte degli intermediari finanziari. Sempre in questo ambito, Clinton vara anche il Commodity Futures Modernization Act, un’altra legge di liberalizzazione dei mercati finanziari che, con la prima, è poi all’origine della crisi del 2008. È proprio il Commodity Futures Modernization Act, infatti, che apre la strada alla crisi dei subprime, la più grave crisi finanziaria subita dall’Occidente dopo il 1929.

E che altro gli imputi?

Il secondo gruppo di interventi con effetti perniciosi – per la buona salute della democrazia liberale – è quello che riguarda l’«information society».

Sotto la spinta del suo vicepresidente e amico Al Gore, Clinton crea le condizioni per l’emergere di una categoria di capitalisti svincolati da regole e leggi, con un incentivo al dominio che non ha precedenti nella storia del capitalismo, neanche in quella dei «robber barons» della fine dell’Ottocento. E anche qui con l’obiettivo di consolidare il predominio degli Stati Uniti nel mondo della tecnologia e nel mondo dell’informazione. La legittimazione dei monopoli era già avvenuta negli anni Settanta grazie a Robert Bork e alla rivoluzione neoliberale ma è Clinton a consentire che venga smantellata la legislazione varata su impulso di Roosevelt per difendere i piccoli operatori economici.

Per risolvere la crisi del ’29 Roosevelt riteneva necessario aiutare la piccola e piccolissima borghesia, proteggere il piccolo commercio, i contadini, gli operai. Per realizzare questo obiettivo molti Stati avevano varato leggi per garantire un commercio equo, che stabilivano anche un tetto alle ore di lavoro e le soglie di salario minimo. A livello federale era stata approvato il Robinson-Patman Act, che proibiva le vendite sotto costo fatte a fini predatori dalla grande distribuzione. Tutto questo cessa di avere applicazione proprio sotto la presidenza Clinton. Il passo ulteriore è stato la spinta alla liberalizzazione dei commerci internazionali.

Uno degli ultimi atti di Clinton è stato il via libera all’accesso della Cina al Wto con lo status di nazione in via di sviluppo, status che Pechino pretende ancora oggi. E che ha portato la Cina, che allora aveva un Pil di 1300 miliardi di dollari, ad aumentarlo praticamente di quindici volte, diventando la manifattura del pianeta. Oggi la Cina produce metà dell’acciaio del mondo, metà del cemento, metà dei fertilizzanti. Assieme all’India, produce i principi attivi per moltissimi medicinali salvavita. Ed è diventata un gigante tecnologico, che sfida gli Stati Uniti anche su questo terreno.

Messa così, sembra la cronaca di un auto-affondamento, di una débâcle politica. Eppure Clinton e le sue politiche sono ancora un punto di riferimento molto forte per governi e partiti progressisti. Come te lo spieghi?

Dovrebbero spiegarlo loro, i fautori delle cosiddette terze vie, per i quali Clinton continua a essere un modello, anche se è quello che ha inciso più profondamente in questo cambiamento radicale del capitalismo. Il risultato della trasformazione genetica del capitalismo avviata a partire dalla presidenza di Clinton è sotto gli occhi di tutti: a più di vent’anni di distanza, osserviamo un’enorme crescita del malessere in tutto l’Occidente, con dei fenomeni che mai ci saremmo aspettati di vedere.

Negli Stati Uniti, patria della democrazia, c’è stato il tentativo di rovesciare con un attacco violento al Congresso il risultato di una elezione presidenziale, e c’è metà della popolazione che segue un personaggio che rifiuta le regole basilari della democrazia. In Inghilterra, abbiamo decisioni storiche come la Brexit, condizionate da interferenze di potenze straniere, come racconta la vicenda di Cambridge Analytica, e una successione di politici inetti che non sembrano in grado di dare risposte al disagio di una parte della popolazione. In Europa abbiamo alcuni Paesi governati da regimi illiberali che mettono in discussione principi fondamentali della democrazia come la separazione dei poteri. E in altri Paesi – come Francia, Germania, Austria, e un po’ tutto il Nord Europa – l’ultradestra ha un peso politico molto rilevante. Le recenti elezioni europee hanno confermato una radicalizzazione dello spettro politico europeo tradizionalmente di centro.

Si è diffuso un senso di insoddisfazione, incertezza, insicurezza che si traduce in un malcontento politico profondo e in un crescente rifiuto della democrazia. È significativo il fatto che oltre metà dell’elettorato non va più a votare.

Non mi hai risposto: perché nonostante il fallimento del suo globalismo, il via libera ai monopoli digitali, la finanza selvaggia, Clinton resta un faro per i democratici di tutto il mondo?

Perché gli anni della presidenza Clinton sono stati caratterizzati da una crescita economica ininterrotta che ha consentito la creazione di ventidue milioni di nuovi posti di lavoro, il mantenimento di tassi di disoccupazione inferiori al 4 per cento, un’inflazione media intorno al 2 per cento nel decennio, e il triplicamento della capitalizzazione della Borsa americana. Il meccanismo che ha alimentato una vera e propria età dell’oro per l’economia americana è stato la combinazione tra una politica fiscale moderatamente restrittiva e una politica monetaria sostanzialmente espansiva.

Ma si tende a dimenticare che la principale ragione alla base della stabilità dei prezzi è stata la stabilità dei salari su bassi livelli per tutto il decennio clintoniano, nonostante il crollo che i salari avevano subito negli anni Ottanta a causa della politica monetaria restrittiva voluta da Volcker e dei provvedimenti contro il lavoro della presidenza Reagan. Questa situazione ha provocato un forte indebolimento delle organizzazioni sindacali, che non si sono più riprese nonostante la crescita dell’occupazione anche per i mutamenti che nel frattempo erano intervenuti nell’organizzazione del lavoro. Il timore di perdere il posto ha agito da freno delle rivendicazioni salariali nel corso di tutto il decennio.

Secondo Alan Greenspan, a favore della moderazione salariale ha giocato un ruolo importante il senso di insicurezza occupazionale maturato per effetto delle politiche del decennio precedente. A tenere bassa l’inflazione ha contribuito anche l’importazione di beni di consumo a basso costo dai Paesi asiatici. Bisogna ricordare che nel contesto di una crescente spinta alla liberalizzazione e all’apertura dei mercati guidata negli Stati Uniti da Reagan e in Europa da Margaret Thatcher era stato avviato nel 1986 a Punta del Este un nuovo ciclo di rilancio del commercio internazionale chiamato Uruguay Round.

L’obiettivo era quello di allargare il quadro della liberalizzazione a settori che erano stati protetti, in particolare l’agricoltura e il tessile-abbigliamento. Questi negoziati si conclusero però sotto la presidenza Clinton quando il 15 aprile 1994 venne siglato l’accordo di Marrakech che portava al superamento del Gatt e alla creazione del Wto.

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