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In Italia c’è o non c’è un problema di libertà? Il pensiero di Ocone

"Ocone's corner”, la rubrica settimanale di Corrado Ocone, filosofo e saggista.

Che in Italia ci sia oggi un problema di libertà, a me sembra indubitabile. Che il Covid lo abbia aggravato, è pure incontestabile. Che la più parte delle persone sembra non accorgersene, o viverlo con tranquillità, è l’aspetto più inquietante, per certi aspetti, e preoccupante, della faccenda.

Ci sono diversi angoli prospettici da cui la questione può essere affrontata. Prima di tutto la crisi, non solo italiana, della democrazia rappresentativa, delle forme istituzionali classiche in cui le esigenze di libertà e democrazia sono state soddisfatte in Occidente. È evidente che, da questo punto di vista, la libertà sta cercando nuove vie di espressione, risultando sempre più insufficienti le vecchie che comunque vanno preservate nella misura del possibile non esistendo ancora un’alternativa plausibile ad esse.

A questo contesto, generale e storico, va aggiunto quello concernente la specificità del caso italiano: una democrazia da sempre incompiuta e zoppa, uno Stato sempre per lo più estraneo ai suoi cittadini, un Paese diviso e con istituzioni che abbisognerebbero di una riforma radicale a cui però le forze politiche non hanno né la forza né la capacità né la volontà di porre mano.

Corporativismo, burocrazia, impossibilità di assumersi responsabilità politiche, presenza di una magistratura e di poteri forti fuori controllo, sono tutti pezzi di un unico mosaico che fanno l’anomalia italiana e che rappresentano un concreto ostacolo alla svolgimento della libertà nella vita civile e sociale del nostro Paese.

Poi, a un certo punto, è sopraggiunta l’emergenza coronavirus, che l’Italia ha affrontato nel peggiore dei modi possibili: con un governo debole, non rappresentativo del Paese, diviso e incapace di decidere:. Fra l’altro, il più “rosso” della sua storia repubblicana: un mix non amalgamato di giustizialismo, mentalità assistenzialistica e antiindustriale, ideologismo liberal. Il tutto sotto la regia di un presidente del Consiglio che, tenendo a bada le anime in conflitto della sua maggioranza con prebende e minacce varie (in primis di voto), avoca a sé in un’ottica sempre più monocratica e tendenzialmente illiberale i poteri più importanti. Lo fa estromettendo e quasi umiliando le opposizioni, il parlamento, la stessa forma costituzionale secondo molti giuristi anche di sinistra.

Il tutto sotto la tutela di una Unione Europea retta da una maggioranza che, dopo le elezioni dell’anno scorso, ha innalzato un vero e proprio “cordone sanitario” verso le forze “sovraniste”, o semplicemente critiche di come l’Unione va, che però hanno il predominio elettorale in Italia e rispondono a bisogni e esigenze concrete del corpo sociale altrimenti non rappresentate.

Detto fra parentesi, risulta in tale contesto alquanto paradossale l’attuale dibattito sulle “condizionalità” presenti nel Mes, quasi non fossimo ormai come Italia già in toto condizionati dagli altri Stati europei e dagli stessi mercati.

Ritornando alla gestione dell’emergenza, a parte l’opportunità o meno del lockdown generalizzato e totale che ci è stato imposto, ciò che secondo me ha fatto impressione, nella cosiddetta fase 1, è stata la totale assenza di dibattito e mancanza di senso tragico che ha accompagnato le decisioni di limitare, fra l’altro con strumenti legislativi di dubbia costituzionalità, alcune libertà fondamentali, da una parte: l’accettazione supina delle suddette limitazioni, secondo la formula “sicurezza in cambio di libertà”, dall’altra. Quasi a riprova della mancanza stessa, dalle nostre parti, del gusto della libertà e della tempra adatta a difenderla e a preservarla.

Se a ciò si aggiunge la recente proroga dello stato di emergenza, un unicum in Europa e nel mondo libero; la secretazione dei documenti su cui si decise a suo tempo il lockdown al di fuori di ogni principio di “trasparenza” e accountability (Norberto Bobbio diceva che la democrazia è “il governo del pubblico in pubblico”); l’uso politico della magistratura per mettere fuori gioco il leader dell’opposizione (così come accade nei peggiori regimi dittatoriali in giro per il mondo); il quadro credo che sia abbastanza chiaro.

Il fatto poi che i protagonisti della nostra politica, a cominciare dal presidente del Consiglio, agiscano con consapevolezza o meno di questo stato di “dittatura strisciante” (come lo ha definito Marcello Veneziani l’altro giorno su La Verità) a cui hanno portato il Paese, è del tutto inessenziale. In certe situazioni ci si finisce per trovare per la forza stessa delle cose se non si nutre il rispetto dovuto per la libertà umana.

PS Recentemente, nel registrare una trasmissione di “Radio Radicale” in ricordo di Luciano Pellicani che va in onda stamane alle 12,15, ho discusso con due amici e noti studiosi su come definire il liberalismo, che per loro non esiste che come difesa dell’individuo. Per me, in verità, il liberalismo non esiste altrimenti che, come qui si è fatto, ponendosi i problemi di libertà del proprio tempo. Grossi come un macigno, quelli odierni.

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