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Germania Covid

In Germania lievitano gli euroscettici

Che cosa si dice in Germania sulla Commissione europea. L'approfondimento di Tino Oldani per Italia Oggi

 

«Credo che l’Europa abbia bisogno di maggiori competenze nel settore della sanità. Questo, probabilmente, richiederà anche modifiche ai trattati». Prima di uscire di scena, Angela Merkel ha indicato agli eredi ciò che dovranno fare per rafforzare l’Unione europea. Lo ha fatto mercoledì 21 aprile, con un lungo intervenuta via web alla riunione del Partito popolare europeo, indetta nell’ambito della «Conferenza sul futuro dell’Europa» promossa dall’Ue. E la sanità, a suo dire, è il primo dei capitoli sui quali occorrono profondi cambiamenti per ridare forza all’europeismo, minacciato, secondo i sondaggi, dalla crescita dell’euroscetticismo perfino in Germania.

Per anni, la Merkel non ha mai voluto saperne di cambiare i trattati Ue. Il motivo? Quasi tutti gli articoli chiave, specie in materia economica, sono un copia e incolla dei principi dell’ordoliberismo, che rifiuta la spesa pubblica in deficit. Una dottrina discutibile, che non ha retto ai colpi della pandemia, tanto che anche il governo tedesco ha presentato per il secondo anno un budget federale in deficit per sostenere le imprese e le famiglie. Non solo: per la prima volta, Merkel ha accettato di fare un debito comune in Europa con il Recovery Fund, sia pure con l’avvertenza che si tratta di un unicum irripetibile, e non l’anticamera di un unico budget europeo.

Su questi temi, tuttavia, la cancelliera ha preferito glissare, agevolata da un assist della Corte costituzionale di Karlsruhe, che il giorno prima aveva dato via libera al Recovery Fund, sia pure in modo non definitivo. Così, agli amici del Ppe, la Merkel ha potuto dire di «essere stata sempre aperta alle modifiche dei trattati, se hanno senso». E nella sanità, ha precisato, «ha certamente un senso avere anche delle competenze europee per affrontare determinate situazioni, come le pandemie». Non solo. Citando l’Organizzazione mondiale della sanità, ha aggiunto che l’Ue non dovrebbe vedersi solo come un mercato unico in termini economici, ma anche quando si tratta di politica sanitaria: «Idealmente, avremmo sempre dovuto avere un approccio europeo uniforme sui lockdown e su altre misure sanitarie. Per questo, penso che sia giusto che la presidente della Commissione Ue, Ursula Von der Leyen, possa disporre di una politica sanitaria più coordinata, specie per i rischi sovranazionali».

Già che c’era, la cancelliera ha alzato il tiro, proponendo di cambiare i trattati e la politica Ue anche su altri punti, dettando i compiti ai futuri eredi. Primo: cambiare la soglia europea dei voti all’unanimità e adottare quella di una maggioranza qualificata. Secondo: riformare la politica della concorrenza, per facilitare la creazione di campioni industriali europei, in grado di fronteggiare i concorrenti cinesi e statunitensi. Terzo: cambiare la politica fiscale. Quarto: dare un indirizzo più forte alla politica estera, con la creazione di un Consiglio di sicurezza europeo, composto a rotazione dagli Stati membri, così che possa agire più rapidamente e senza il vincolo del voto unanime.

In chiusura, la Merkel ha elogiato la Commissione Ue per la politica sul clima, ha ammesso che sui vaccini «non stiamo emanando una buona immagine», e ha bacchettato i paesi Ue che, Ungheria in testa, hanno acquistato il vaccino russo o cinese, ignorando l’Ema: «Se non parliamo con una sola voce, non saremo in grado di parlare con forza. Non è così che l’Europa raggiunge la forza».

È probabile che con un discorso simile, dotato di ampia visione, ispirato dall’esperienza e dalla volontà di forza, la Merkel avrebbe avuto buone probabilità di rivincere le elezioni in settembre. Invece ha deciso di lasciare la politica e uscire dai giochi. Al suo posto, la Cdu ha candidato Armin Laschet, bravo governatore del Nord Reno-Vestfalia, ma considerato di scarso appeal, tanto che un sondaggio in data 20 aprile per Rtl-Ntv dà i Verdi, guidati da Annalena Baerbock, come primo partito con il 28%, davanti alla Cdu-Csu crollata al 21%, seguita da Spd (13%), Fdp liberali (12%), AfD (11%), Linke (7%).

Davanti a questo scenario, il sito Eurointelligence, diretto da Wolfgang Munchau, già editorialista del Financial Times, ha sottolineato alcuni aspetti della grande incertezza che regna sull’esito delle prossime elezioni. Primo fra tutti, la crescita dell’euroscetticismo in Germania, provocato dalla cattiva gestione Ue dei vaccini. «I tedeschi hanno perso la fiducia nella Commissione europea», scrive Munchau. «Solo il 21% dei tedeschi afferma di avere molta o un certo grado di fiducia nella Commissione Ue, in calo rispetto al 30% del 2019, e in contrasto con il 50% che mostra fiducia verso il governo tedesco. Appena l’8% afferma che la Germania ha tratto beneficio dagli acquisti di vaccini dell’Ue, mentre il 40% lo nega. Ma ciò che colpisce di più è l’euroscetticismo strisciante: il 39% vuole il ritorno delle competenze dall’Ue agli Stati membri; solo il 12% desidera maggiori competenze per l’Ue; il 63% pensa che l’Ue sia eccessivamente burocratica e il 58% che la Germania dovrà pagare per i paesi indebitati della zona euro».

In questo clima, il partito di destra Afd ha lanciato come programma elettorale la Dexit, l’uscita della Germania dall’Ue. «Un partito che favorisce la Dexit non vincerà mai le elezioni», scrive Munchau. «Ma il numero dei tedeschi che vogliono che il paese lasci l’Ue è maggiore della base elettorale di Afd. Perciò credo che la campagna pro Dexit sia più pericolosa di quanto sembri: due o tre punti in più per l’Afd potrebbero avere una forte influenza sull’aritmetica della prossima coalizione di governo».

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