Mentre prosegue la controffensiva ucraina che recupera numerosi villaggi, si riprende Lyman e sfonda il fronte di Kherson, le cancellerie delle capitali europee convocano gli ambasciatori russi per formalizzare il mancato riconoscimento delle annessioni delle autoproclamate Repubbliche popolari di Luhans’k e Donetsk e le regioni di Zaporizhzhya e – appunto- Kherson, a seguito della farsa dei referendum a cui sono state chiamate le popolazioni di quei territori sotto la minaccia delle armi. “Il popolo ha fatto la sua scelta, una scelta netta. Non c’è niente di più forte della volontà di milioni di persone”, ha detto Putin, aprendo al Cremlino la cerimonia per la firma dei trattati. Poi ha chiesto un minuto di silenzio per quelli che ha definito gli “eroi” che combattono in Ucraina e per le “vittime delle azioni terroristiche di Kyiv”: “gli abitanti del Donbass vittime di attacchi da parte del regime di Kyiv” e tutti i filorussi d’Ucraina che hanno combattuto “per la loro nazione”.
“Voglio che mi sentano a Kyiv e in Occidente: le persone che vivono nel Luhans’k, nel Donetsk, a Kherson e Zaporizhzhya sono nostri cittadini per sempre“.
Lo Zar prosegue la sua scellerata ‘mobilitazione parziale’, in realtà sempre più una guerra feroce che mette in conto atrocità e devastazioni, veri e propri eccidi di civili senza riguardo per donne, anziani e bambini (secondo l’agenzia Ukrinform dall’inizio del conflitto sono stati uccisi 416 minori e ne sono stati feriti 784 mentre 240 mila sono stati deportati in Russia e di loro si è persa ogni traccia), sempre più infarcita di menzogne e minacce, con la chiamata alle armi dei riservisti e una movimentazione che adombra lo spettro del ricorso all’uso del nucleare. Intanto fa scivolare nei mari artici il sottomarino a propulsione nucleare K-329 Belgorod lungo 184 metri, largo 15 e con una potenziale autonomia sott’acqua di 120 gg, capace di scendere fino a mille metri e per questo di fatto praticamente inintercettabile.
Secondo la NATO esiste il sospetto che la sua vera missione sia di testare il missile-siluro Poseidon, capace di lanciare testate nucleari a diecimila km di distanza.
Intanto sul sabotaggio del gasdotto Nord Stream (inizialmente attribuito al sommergibile ma finora senza prove) la Svezia e la Norvegia lanciano un allarme: “La fuga di gas non si è fermata, ma è aumentata”, come le immagini televisive peraltro riportano in tutto il mondo.
Esce nel frattempo alla ribalta il leader ceceno e luogotenente di Putin, Ramzan Kadyrov, accusato da anni di atrocità e violazione dei diritti umani, sanzionato da USA e UE. Noto per la sua ferocia e per l’odio verso l’Occidente ma per questo benedetto dal Patriarca Kirill (secondo cui “morire in guerra equivale a togliere tutti i peccati commessi: chi muore per la patria va in paradiso”): lui, ben oltre Putin, Medvedev, Lavrov, Peskov e Lukashenko, rappresenta il frontman dell’ala più intransigente, ortodossa e dottrinale, ancora più feroce e ultimativa della linea ufficiale del Cremlino, tanto da diventare un alleato scomodo e oltranzista per Mosca.
Kadyrov critica i generali russi finora movimentati sul campo e ne chiede la rimozione per inerzia e scarsa determinazione: come prova della sua posizione intransigente e totalitaria, per una guerra senza remore umanitarie, manda al fronte i suoi tre figli minori Akhmat, Eli e Adam rispettivamente di 16, 15 e 14 anni.
In realtà Kadyrov muove un attacco senza precedenti nei confronti dell’esercito regolare e quindi miratamente al ministro della Difesa Sergei Shoigu e al capo di stato maggiore Valerij Gerasimov, rappresentando il grosso delle milizie irregolari insieme ai mercenari prezzolati della brigata Wagner al comando di Evgenij Prigozhin. Ed è con lui che Kadyrov sta tessendo una tela ostile a Shojgu avendo come obiettivo di convincere Putin a desautorarlo per mettere al suo posto Aleksej Djumin, governatore di Tula ed ex guardia del corpo dello Zar. Mandando a combattere i suoi tre figli minori Kadyrov mette in campo la sua credibilità personale, disposto a rischiare un sacrificio familiare per onorare l’alleanza con Mosca e aderire ai sermoni visionari e sanguinari dell’onnipotente patriarca Kirill.
Ma sono le sue manovre di infiltrazione e convincimento rivolte al Cremlino per adottare una linea dura, intransigente e spietata che preveda l’uso tattico dell’atomica che stanno spingendo Putin a scelte estreme, per non essere sorpassato in quanto a efferata e sorda determinazione.
Kadyrov gioca anche la carta dell’ironia per accreditarsi come esponente della linea più oltranzista: “A proposito, forse vogliono fare un film sul terribile Ramzan Kadyrov a Hollywood? Sono pronto per interpretare il ruolo principale”, ha detto Kadyrov secondo la Tass. Forte di migliaia e migliaia di follower, sedicente perseguitato dalle sanzioni dell’Occidente, il leader ceceno diventa il riferimento di tutti coloro che – negando qualsiasi tentativo di giungere ad un accordo diplomatico- vedono nell’uso della forza e segnatamente nel ricorso alle armi nucleari l’unica scelta obbligata per proseguire il conflitto bellico fino alle conseguenze più estreme, giocando il tutto per tutto (mentre da Mosca il portavoce di Putin – Dmitry Peskov – si affretta a smentire l’immediatezza di tale passo: “La Russia non intende prender parte alla retorica nucleare alimentata dai media occidentali”, come dire che la tattica russa del temporeggiare contempla il colpo alla botte e quello al cerchio). Nel frattempo – lo ha annunciato lo stesso Kadyrov sul suo canale Telegram – il leader ceceno è stato insignito da Putin del grado di colonnello generale: “Voglio condividere con voi una buona notizia. Il Presidente della Russia mi ha conferito il grado di colonnello generale, con decreto n.°709 e si è congratulato con me”.
Intanto il terrore resta sullo sfondo e corre sul filo delle minacce e delle incognite: mentre gli USA dipingono Putin come un pugile suonato all’angolo del ring, il consiglio comunale di Kyiv riferisce che sta fornendo ai centri di evacuazione le pillole a base di ioduro di potassio, nel timore di un eventuale attacco nucleare alla capitale ucraina. E di pastiglie di iodio si comincia a parlare – sommessamente – anche fuori dai confini del Paese.