Giorgia Meloni non avrebbe forse bisogno di dimostrare la propria abilità, però ha avuto occasione di darne l’ennesima conferma con il Consiglio dei ministri di lunedì scorso, che ha segnato la riapertura della stagione politica a pieno regime dopo la pausa di Ferragosto. Lo ha fatto con una mossa semplice quanto efficace.
Si stava tenendo una riunione pressata da due opposte esigenze: una di carattere economico, cioè l’avvio del dibattito per varare una manovra condizionata da molti limiti di cassa e da molte esigenze di spesa; una di carattere politico, il tentativo di ciascuna forza di coalizione di fare bella figura investendo risorse nei settori prediletti. Lo scenario è quello che, parafrasando il motto dello spettacolo, potremmo definire “ministri non ci sono molti euro”, la prospettiva è invece il successo alle elezioni europee. Bisogna darsi delle priorità, è logico, Meloni ha però chiarito che devono essere politiche.
Un attributo solo apparentemente banale e meno scontato di quanto paia, per un governo succeduto a Draghi proprio nel segno del ritorno alla politica dopo una sorta di commissariamento tecnico. Il suo significato va infatti declinato tenendo conto della personalità e del curriculum del Presidente del consiglio, della sua visione del mondo, della società, della realtà, della sua ambizione a fare un pezzo della storia come colei che imprimerà alcuni cambiamenti sostanziali più che in quanto prima donna capo del governo del nostro paese. In estrema sintesi, assecondando la retorica un po’ enfatica che si usa in questi casi, una svolta di dignità, autorevolezza, fiducia, patriottismo.
Non basta quindi di una spending review, Meloni l’ha chiarito nel discorso iniziale che ha coperto come un lenzuolo le decisioni prese in Cdm, occorre un indirizzo chiaro dell’azione di governo. Non sarà facile concretizzarlo perché siamo in una maggioranza composta da anime diverse, certo, però sarà intanto utile concentrarsi sui fatti, sulle azioni e ridurre il rumore di fondo delle polemiche quotidiane (soltanto per stare alla giornata di ieri, De Angelis e Giambruno).
In questo senso – sempre con una spiccata attenzione alla retorica, all’immagine, alla comunicazione – Meloni ha tirato fuori dal cilindro il coniglio di Caivano: accettare l’invito di Don Patricelli recandosi, domani, sul luogo dell’orribile delitto perpetrato ripetutamente contro due bambine, ad opera sembra anche dei figli di alcuni esponenti della camorra. Vedremo come la visita si svolgerà, vedremo se ci saranno contestazioni, sempre possibili (altre sono attese ad Atene, per il pomeriggio di domani, quando la presidente incontrerà il suo omologo greco).
Il segnale di Caivano sarà però fortemente sociale, diciamo così. Come lo è stata l’impegnativa decisione di far tornare lo Stato alla grande, per quanto le norme consentano, in Tim, dunque nella gestione delle reti. E come lo è stata l’emblematica tassazione degli extra profitti bancari che anche oggi, nell’intervista concessa al Sole 24 Ore, Meloni rivendica come propria decisione.
Prettamente politico infine, come scrive Libero, è il conferimento delle competenze sull’immigrazione al CISR, Comitato saldamente inquadrato nei servizi. Scelta di comodo, data la molteplice competenza che converge sul problema e la volontà di non aprire l’ennesima cabina di regia, che apre a una considerazione del fenomeno non più meramente gestionale o addirittura emergenziale (termine che dopo decenni è ridicolo, ha ragione la CEI) ma come rischio di destabilizzazione. Stavolta però il termine non è affatto enfatico, visto il riversamento continuativo e incontrollato di centinaia di migliaia di persone sul nostro territorio.