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Energia

Il Recovery Fund ballerà per un solo giro?

Perché sono elevati i rischi che le rate successive del Recovery Fund siano bloccate dalle condizioni poste dalla Commissione europea. L'analisi di Giuseppe Liturri

 

Sabato 1 maggio, il Presidente Ursula Von der Leyen ha confermato il ricevimento del Piano per la ripresa e la resilienza (PNRR), approvato dal Consiglio dei Ministri venerdì 30 e subito inviato a Bruxelles. Ora è il momento di avanzare qualche ipotesi, anche maliziosa, sul futuro di questo piano che si presenta già in partenza povero nelle cifre e ricco nelle condizioni.

La corsa contro il tempo per la sua presentazione entro il 30 aprile – nonostante fosse un termine non perentorio e molti Paesi si prenderanno almeno altre due settimane di maggio per presentarlo – è stata motivata direttamente dal Presidente Mario Draghi con la necessità di poter ricevere l’anticipo del 13% addirittura prima dell’estate. Tutto ciò perché, come dichiarato direttamente dal Commissario al bilancio Johannes Hahn, vigerà il principio “chi prima arriva, prima viene servito”. Nell’ipotesi, tutta da confermare e fortemente aleatoria, che la decisione sulle risorse proprie sia ratificata da tutti gli Stati entro fine giugno, la Commissione ha già pronto il piano per partire con emissioni di circa 15/20 miliardi al mese a luglio, e ripartire a settembre dopo la pausa di agosto, allo stesso ritmo, fino a raccogliere 45 miliardi. Se si pensa che il 13% di anticipo spettante all’Italia è pari a circa 25 miliardi, si capisce bene la fretta di Draghi. Ma anche della Spagna che, con i suoi 140 miliardi (70 di sussidi e 70 di prestiti), è il secondo percettore di fondi in cifra assoluta.

Tutto qua? No. Ci sentiamo di ipotizzare che la corsa a presentare i piani nasconda qualche altro obiettivo. Almeno per l’Italia. I Sussidi ed i prestiti, regolamento 2021/241 alla mano, viaggiano su due canali diversi, pur essendo destinati a finanziare investimenti compresi nello stesso piano. I prestiti non possono superare il 6,8% del reddito nazionale lordo 2019 dello Stato membro richiedente. Ecco da cosa derivano i circa 120 miliardi che ha richiesto l’Italia. Ma finora solo la Grecia ha inserito nel proprio piano investimenti che necessiteranno dell’intero plafond di prestito disponibile. Portogallo e Spagna non lo hanno fatto (da Madrid ne hanno richiesti 70, potendone richiedere 85). Germania e Francia chiederanno solo la quota sussidi.

La richiesta di prestiti deve essere motivata, così come recita il considerando 48 del regolamento:

La richiesta di sostegno sotto forma di prestito dovrebbe essere giustificata dai fabbisogni finanziari più elevati connessi alle riforme e agli investimenti supplementari previsti nel piano per la ripresa e la resilienza, pertinenti in particolare per le transizioni verde e digitale, e da un costo più elevato del piano per la ripresa e la resilienza rispetto al contributo finanziario massimo stanziato mediante il contributo non rimborsabile”

Allo stesso modo l’articolo 14 richiede che la richiesta del prestito riporti “i motivi della richiesta di sostegno sotto forma di prestito, giustificati dai fabbisogni finanziari più elevati connessi a riforme e investimenti supplementari”.

Insomma, i prestiti non sono affatto scontati. Allora lo scenario che potrebbe avverarsi è il seguente: l’Italia, per mettere fieno in cascina, ha puntato ad ottenere il massimo di prefinanziamento, calcolato sia sui sussidi che sui prestiti, ben consapevole delle difficoltà che le si pareranno davanti quando sarà il momento di rendicontare gli investimenti ed ottenere le altre rate semestrali.

Difficoltà di due tipi:

  1. Riuscire a far avanzare speditamente l’esecuzione degli investimenti e quindi rendicontarli a Bruxelles. Cosa niente affatto scontata, data la complessità delle opere in programma ed il freno costituito dal groviglio di norme che li regoleranno.
  2. Convincere la Commissione, ed eventualmente il Consiglio Europeo in caso di disaccordo, dell’avvenuto conseguimento degli obiettivi intermedi che condizionano il rilascio delle somme.

Proprio oggi il Commissario Paolo Gentiloni, in un’intervista al Messaggero, ha confermato tali dubbi: “…se non vengono realizzati in modo sostanziale e se i tempi vengono disattesi, le tranche non arrivano…”-

Sarà già un gran risultato se l’Italia riuscisse a rendicontare entro il 2023 almeno gli investimenti sufficienti a coprire i 70 miliardi di sussidi. Ma ci sentiamo di avanzare seri dubbi su questo.

Come disposto dal regolamento, l’utilizzo della quota prestiti avverrebbe solo una volta utilizzata per intero la quota sussidi, proprio per giustificare investimenti “aggiuntivi”.

Ma se non ci fossero investimenti da rendicontare, frenati proprio dalle difficoltà di cui sopra, non avremmo titolo per chiedere alcun prestito. In ogni caso, tale decisione sarà probabilmente presa da un governo uscito dalle elezioni politiche del 2023.

E le valutazioni di convenienza di quel governo potrebbero essere ben diverse da quelle attuali. Chissà quale tasso avrà il BTP, chissà cosa avrà deciso la BCE, chissà cosa ne sarà della riforma del Patto di Stabilità. Troppa acqua deve ancora passare sotto i ponti per dare per certo l’utilizzo di quei prestiti.

Ecco allora la vera motivazione di un piano di investimenti così rilevante, inclusivo di tutta la quota prestiti: portare a casa oggi l’anticipo più elevato possibile (tenendoli in acconto sulle opere da rendicontare) perché “del doman non v’è certezza”.

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