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Il Pd si schianta sulla strage di Bologna

Esito e significato politico delle mozioni contrapposte presentate nell’anniversario della strage della stazione di Bologna. Il commento di Otello Catalani

 

“Con nemici così, che bisogno c’è di amici?” Chissà quanti nella maggioranza, e segnatamente in Fratelli d’Italia, lo hanno pensato vedendo il diverso esito delle mozioni contrapposte presentate nell’anniversario della strage della stazione di Bologna. Perché, al di là degli obbiettivi dei due presentatori, Federico Mollicone (Fdi) e Andrea De Maria (PD), il risultato 170-117 certifica la diversa capacità di manovra dei due schieramenti. Come già per la sfiducia alla ministra del Turismo Daniela Santanché (finita 111-67), non c’è confronto tra la compattezza della maggioranza e l’inesistente capacità di aggregazione della minoranza.

Il tema del 2 agosto è così politico che più non si può: la lettura della stagione dello stragismo, comprese le deviazioni vere o presunte di apparati, gli accordi dello Stato con i terroristi palestinesi e gli ostacoli prima alle indagini e poi alla ricerca storica. Che De Maria vuole affidare alle sentenze che incolpano i fascisti e Mollicone ai nuovi documenti che potrebbero scagionarli.

«Nella mozione – ha detto De Maria annunciandola il 1° agosto – chiediamo al governo […] di adottare tutte le iniziative volte a garantire lo svolgimento sereno e senza interferenze dei processi, ancora non conclusi». Il riferimento è al processo d’appello a Gilberto Cavallini, ormai alle battute finali a Bologna, che ha visto il tribunale rifiutare ogni richiesta della difesa, al punto da spingerla a rimettere il mandato asserendo di non essere messa in grado di svolgerlo. Non è un caso che fuori dal Parlamento si moltiplichino gli attacchi preventivi per l’inserimento nel Comitato Consultivo per la declassifica dei documenti di storici o associazioni non ortodossi.

Le 3.265 parole in sette pagine dei 27 di FdI chiedono di digitalizzare i documenti, di aggiungere quelli raccolti dalle commissioni d’inchiesta parlamentari, di concentrarli presso l’Archivio Centrale dello Stato e in generale di renderli più facilmente accessibili. Basti pensare che, a differenza di quanto accade per tutti gli altri, per quelli delle stragi presso l’ACS bisogna prendere appuntamento ed è vietata la riproduzione, tanto che c’è chi se li trascrive a mano come nel XIX secolo. Per le copie, a pagamento, bisogna attendere settimane e in alcuni casi addirittura chiedere l’approvazione del Ministero dell’Interno. Nella visione di FdI, i documenti si dovrebbero poter vedere dalla propria casa a Reggio Emilia o da una spiaggia in Puglia, senza dover venire a Roma, senza dover aspettare settimane o mesi per il PDF di un paio di fogli. Magari senza l’ossessione del pagamento dei diritti d’immagine (sì, c’è anche quello) quando, per stroncare una polemica, si vuole pubblicare l’originale invece della trascrizione.

C’è anche una differenza di metodo. Se De Maria si fa paladino di una visione a partiti contrapposti (“la nostra verità contro la loro”), Mollicone propone di recepire la «rivoluzione copernicana» proposta nella XVIII legislatura dal senatore PD Gianni Marilotti: rendere tutto automaticamente consultabile dopo 30-40 anni. In altre parole, De Maria “esclude” chiunque non sia di stretto DNA PCI-PDS-DS-PD (possibilmente bolognese), mentre Mollicone apre a chiunque voglia andare a leggere. Il perché è chiaro. C’è chi teme che dai documenti escano fuori elementi che smentiscono l’attribuzione della strage di Bologna ai fascisti (cosa che peraltro ieri, alle 10.45, ha ammesso persino il presidente del Senato Ignazio Benito La Russa) e chi invece spera esattamente nel contrario, confortato dalle sia pur frammentarie evidenze che emergono dai pochi e mal consultabili documenti già disponibili.

In democrazia la differenza d’opinioni è senz’altro legittima. Ma in termini di strategia politica è un suicidio. Se le opposizioni hanno il diritto-dovere di cercare di trasformarsi in maggioranza (per esempio alle europee del giugno 2024, ne consegue la necessità di conseguire risultati che indichino la bontà della via proposta. Se il risultato è 170-117, si certifica solo l’incapacità di tessere alleanze di scopo che si trasformino in trabocchetti per il governo. In questo modo la minoranza fa la figura del bambino che si crede tragressivo perché fa la linguaccia all’insegnante.

Il 2 agosto a Montecitorio è stata una mezza Caporetto. Al momento del voto, la maggioranza ha recepito parte della mozione De Maria, ma ha respinto la richiesta di tutela politica dei giudici che il governo per quieto vivere era disposto ad accettare. Le sentenze dovranno stare in piedi per la propria capacità di convincere, senza alcun timbro governativo di “verità di Stato”. Se non è l’italico gesto dell’ombrello, poco ci manca.

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