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Miracolo

Il miracolo tra fede e scienza

Il Bloc Notes di Michele Magno

“Come la nozione di mistero, anche quella di miracolo (dal latino miror, meravigliarsi) ha per ambito naturale ed originario quello religioso, sebbene ambedue si prestino ad una varietà di comprensioni e di impieghi lessicali che ne hanno fatto inevitabilmente migrare il significato anche verso altri contesti. Miracolo indica qualcosa fuori dell’ordinario, che rimanda ad una sfera di possibilità e di attività che oltrepassano quanto l’uomo è abituato a conoscere ed esperire nella sua vita quotidiana. Di qui il suo naturale collegamento con un ambito di forze e di possibilità che appartengano a qualcosa o a qualcuno che sia “altro-dall’uomo”, e dunque la comprensione del miracolo come un intervento degli dèi o di Dio nel mondo degli uomini.

Sotto questo profilo, il miracolo accompagna da vicino la fenomenologia della religione e ne condivide in qualche modo gli esiti. Può essere cioè espressione di genuina apertura alla trascendenza e alla possibilità di una rivelazione divina, confortata in ciò da un corrispondente giudizio di ragionevolezza filosofica; oppure degenerare in una credulità separata dall’esercizio della razionalità, ansiosa di trovare il divino in ciò che non è tale, o peggio cercando di assoggettarlo ai propri scopi, imitandone le opere nella contraffazione e nella pratica della magia.

La nozione di miracolo rimanda principalmente all’idea di “prodigio” o di “opere portentose”, appunto a motivo del suo riconoscimento quale intervento del divino che irrompe negli spazi e nei tempi dell’ordinario; ma non trascura un certo collegamento anche con l’idea di meraviglia e di stupore di fronte alla natura, al reale, alle cose, volendo con ciò indicare quella semplice esperienza con cui l’uomo accede a strati più profondi di intellezione e di contemplazione dell’essere, mostrandosi così capace di riconoscere il divino anche in ciò che è ordinario. È in questo senso che parliamo, ad esempio, del “miracolo della vita” o del “miracolo della tecnica”, rimandando in quest’ultimo caso, indirettamente, alla nostra sorpresa di fronte all’intelligenza umana che ha reso quella tecnica possibile” (Giuseppe Tanzella-Nitti, Scienza&Fede, 2002).

Nella tradizione cristiana il miracolo non è mai stato identificato soltanto con un fatto prodigioso o inspiegabile. Tale caratteristica, da sola, non è sufficiente né pertinente a qualificarne la natura teologica e religiosa. Lo rammentava già molto tempo addietro, con vivaci esempi tratti dal contesto scientifico dell’epoca, Tommaso d’Aquino: “La parola miracolo deriva da meraviglia. E la meraviglia sorge dinanzi a effetti evidenti le cui cause rimangono occulte: così capita di meravigliarsi a chi vede un’eclisse di sole e ne ignora la causa, come fa osservare Aristotele [Metafisica].

“Può darsi però che la causa di un fatto sia nota a qualcuno pur rimanendo occulta ad altri. Allora il fatto può riuscire meraviglioso per alcuni, ma non per tutti: come di un’eclisse di sole resta meravigliato l’ignorante, ma non l’astronomo. Il miracolo, invece, è un fatto totalmente meraviglioso, poiché ha una causa veramente occulta per tutti. E tale causa è Dio. Quindi le opere compiute da Dio fuori dell’ordine delle cause da noi conosciute vengono dette miracoli” [Summa theologiae].  Nel De Potentia Dei, in luogo dell’eclisse Tommaso pone come esempio la calamita che attira il ferro, cosa che all’inesperto potrebbe sembrare un miracolo, perché azione apparentemente contro natura, ma in realtà non ha nulla di miracoloso, perché conforme alla natura della calamita.

Spinoza (1632-1677) dedica ai miracoli un intero capitolo del Trattato teologico-politico.  La sua visione panteista di un’unica sostanza, nella quale Dio e natura coincidono, lo porta a negare il carattere “eccezionale” o “contro natura” dei miracoli, e questo semplicemente perché l’attività della natura coincide con l’attività di Dio: in natura non può esservi nulla di straordinario, in quanto tutto ciò che accade, accade necessariamente. L’immutabilità delle leggi naturali è tale che anche quando esse contravvenissero al loro corso, non si tratterebbe di una violazione, ma della manifestazione di un comportamento necessario: di conseguenza, il miracolo è per Spinoza un’assurdità.

David Hume (1711-1776) dirige la sua critica al miracolo sul terreno storico-religioso, principalmente dalle pagine delle sue Ricerche sull’intelletto umano. Se il miracolo viene definito come una “violazione” delle leggi di natura, la nostra esperienza diretta della loro stabilità ed immutabilità ci porta a concludere -egli argomenta- che una persona di buon senso non può ragionevolmente prestargli credito. Inoltre, le testimonianze tramandateci sui miracoli non sarebbero attendibili, trattandosi di narrazioni originatesi e poi trasmesse all’interno di contesti religiosi e mitici, i cui fondamenti sono progressivamente venuti meno col progresso delle conoscenze razionali.

Se per Spinoza il miracolo era assurdo, per Hume il miracolo è semplicemente “incredibile”. Va notato che la sua ferma convinzione della ferrea immutabilità delle leggi di natura coesiste con la sua nota negazione del principio di causalità, per cui l’enfasi viene posta non sulla necessità filosofica (come in Spinoza) ma sulla più assoluta assenza di esperienza contraria, e dunque in un’ottica tipicamente empirista. La sua critica non si presta pertanto ad essere semplicisticamente aggirata insistendo sulla natura eccezionale del miracolo -cioè come qualcosa che viene riconosciuto proprio in quanto contraddice la comune esperienza ordinaria- perché ciò che egli sostiene è la non ragionevolezza del prestar fede a questo tipo di accadimenti.

Nell’omonima voce del suo Dizionario filosofico, Voltaire (1694-1778) parla del miracolo come di una contradictio in terminis, una sorta di “insulto a Dio”, perché gli si ascriverebbe l’operazione di correggere, attraverso i suoi interventi miracolosi, quanto egli stesso ha creato e posto in essere. Già prima di Voltaire, Pierre Bayle (1647-1706) aveva svolto argomenti analoghi nei quali la negazione del miracolo non è indice di una negazione di Dio, ma di una certa immagine che di Lui vorrebbero dare la credulità popolare e le religioni che la alimentano.

In questi autori prende voce l’aspra critica rivolta dal deismo alle religioni rivelate; si riconosce in Dio solo l’architetto dell’universo ed il garante delle leggi di natura (così come dell’ordine morale), la cui mal compresa trascendenza sulla storia e sull’esistenza impedisce di riconoscerlo presente nelle vicende degli uomini o attento ad ascoltarne le invocazioni. Nell’Ottocento, quando la critica al miracolo confluisce nella negazione di Dio ad opera dell’ateismo positivo e del materialismo moderno, i miracoli sono visti come il segno di una credulità direttamente proporzionale all’influenza della religione sulla mentalità popolare ed inversamente proporzionale al progresso della scienza. Nei pensatori della sinistra hegeliana la religione, ormai intesa come mito, viene rimpiazzata dalla razionalità, ma anche dalle potenzialità creative dello Spirito idealista, fino a teorizzare un’opera purificatrice della scienza nei confronti delle credenze irrazionali.

“La cosa più incredibile dei miracoli è che avvengono”, diceva Gilbert Keith Chesterton. È così? La domanda non è retorica. Diverse fonti storiografiche raccolgono, almeno a partire dal XVII secolo, numerose testimonianze di episodi ritenuti inspiegabili, in massima parte guarigioni, avvenuti in un contesto di preghiera e di fede religiosa, sui quali anche l’osservazione scientifica ha potuto offrire una certa documentazione. Un ruolo speciale lo rivestono in proposito (anche per il loro impatto sull’opinione pubblica) le guarigioni miracolose segnalate a Lourdes (Francia), sul luogo delle apparizioni mariane del 1858.

Ora, è indubbio che la questione del miracolo continui ad appartenere alla vita di fede della Chiesa e, non di rado, il miracolo sia invocato dalla preghiera dei credenti. Tuttavia, non di rado tale invocazione si distanzia sensibilmente dall’autentica vita religiosa cristiana, quando perde il suo riferimento cristologico-salvifico e diviene scomposta espressione di richiesta di “fatti prodigiosi” ricercati per fini utilitaristici.

Per quanto riguarda le guarigioni mediche, che rappresentano la gran maggioranza di ciò che la Chiesa ancor oggi qualifica col termine “miracolo”, quelle avvenute a Lourdes, per quasi 150 anni dall’inizio della devozione mariana in quel luogo, sono state molteplici (oltre un migliaio quelle reclamate), ma esistono riconoscimenti canonici per solo una sessantina di esse. Fra le più note, va menzionata quella di Marie Ferrand, una malata di peritonite tubercolare seguita in prima persona dal medico agnostico Alexis Carrel (1873-1944), premio Nobel per la medicina nel 1912, testimone oculare nel 1902 dell’evento che doveva poi rivelarsi determinante per la sua conversione al cristianesimo.

Fra gli eventi di maggiore risonanza pubblica va infine menzionato il cosiddetto “miracolo del sole”, avvenuto Fatima il 13 ottobre 1917, interpretato dalla maggioranza dei presenti come conferma delle apparizioni mariane a Cova da Iria. Il fenomeno (moti anomali del sole sulla sfera celeste), non venne però registrato da alcuna fonte scientifica e fu oggetto di descrizioni spesso contrastanti, che sembrano risentire della presenza di fattori di tipo psicologico, che spinsero ad avanzare più di una riserva sulla sua natura di evento fisico oggettivo.

Il 14 febbraio 1969 Paolo VI approvò con la Mysterii Paschalis il nuovo calendario liturgico universale. La riforma rendeva la memoria del 19 settembre, tradizionalmente dedicata a san Gennaro, obbligatoria e solenne a Napoli, ma facoltativa nel resto del mondo cattolico. Il “declassamento” del santo lasciò di stucco la città. Tuttavia, chi non crede di solito non cambia opinione di fronte alle prove. E chi crede non ne ha bisogno. In ogni caso, i napoletani fanno sempre quadrato attorno al santo. Infatti, alla notizia della retrocessione del miracolo del patrono a “prodigio”, sui muri di Napoli apparve un invito, vergato da una mano ignota, espressione della antica saggezza partenopea: “San Genna’, fottatenne”.

 

 

 

 

 

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