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Einstein Dio

Il Dio di Albert Einstein

Il Bloc Notes di Michele Magno

“Trovi sorprendente che io pensi alla comprensibilità del mondo come a un miracolo o a un eterno mistero?”, Albert Einstein domandava al matematico rumeno Maurice Solovine in una lettera scritta nel 1956. “A priori, tutto sommato, ci si potrebbe aspettare un mondo caotico del tutto inafferrabile da parte del pensiero. Ci si potrebbe attendere che il mondo si manifesti come soggetto alle leggi solo a condizione che noi operiamo un intervento ordinatore. Questo tipo di ordinamento sarebbe simile all’ordine alfabetico delle parole di una lingua. Al contrario, il tipo d’ordine che, per esempio, è stato creato dalla teoria della gravitazione di Newton è di carattere completamente diverso: anche se gli assiomi della teoria sono posti dall’uomo, il successo di una tale impresa presuppone un alto grado d’ordine nel mondo oggettivo, che non era affatto giustificato prevedere a priori. È qui che compare il sentimento del ‘miracoloso’ che cresce sempre più con lo sviluppo della nostra conoscenza. E qui sta il punto debole dei positivisti e degli atei di professione, che si sentono paghi per la coscienza di avere con successo non solo liberato il mondo da Dio, ma persino di averlo privato dei miracoli” (Opere scelte, a cura di Enrico Bellone, Bollati Boringhieri).

Insomma, cos’era Einstein? Un ateo, un agnostico, un deista, un panteista? Il teologo Thomas Torrance, forse il massimo studioso del pensiero religioso dello scienziato, è arrivato alla conclusione che il celebre fisico “coglieva la rivelazione di Dio nell’armonia e nella bellezza razionale dell’universo che suscitano un’intuitiva risposta non concettuale nella meraviglia, rispetto e umiltà associati alla scienza e all’arte”. Max Jammer, rettore emerito della Bar Lan University di Gerusalemme ed ex-collega di Einstein a Princeton, ha affermato invece che la sua concezione della fisica e della religione erano profondamente legate, dato che per lui la natura esibiva tracce di Dio Secondo Friedrich Duerrenmatt, invece, “Einstein parlava così spesso di Dio che quasi lo consideravo un teologo in incognita. Non credo che questi riferimenti a Dio possano essere considerati semplicemente dei modi di dire, perché Dio aveva per Einstein un profondo significato, piuttosto elusivo, di non scarsa importanza per la sua vita e la sua attività scientifica. Dio non era un modo di pensare teologico ma piuttosto l’espressione di una fede vissuta”.

Dal canto suo, Il pakistano Abdus Salam, il primo e unico musulmano premio Nobel per la fisica, era convinto che Einstein, “nato in una fede abramitica, era profondamente religioso. Ora, questo senso di meraviglia conduce molti scienziati all’Essere superiore, “der Alte” (il Vecchio), come affettuosamente egli chiamava la Divinità”. Un “credente nella trascendenza”, lo ha definito il suo amico e collega Freeman Dyson, suo successore all’Institute for Advanced Study di Princeton.  Lo scienziato ateo Christof Koch, invece, lo definisce “deista”: “Che le galassie, le automobili, le palle da biliardo e le particelle subatomiche si comportino in maniera regolare descrivibile dalla matematica, e che dunque può essere prevista, è a dir poco stupefacente. In effetti alcuni fisici  -il più celebre dei quali era Albert Einstein- credevano in un simile creatore (una sorta di Architetto Divino) proprio in virtù di questo stato di cose miracoloso”.

Ma lasciamo ancora parlare il teorico della relatività: “La parola Dio per me non è altro che l’espressione e il prodotto della debolezza umana, e la Bibbia una collezione di venerabili ma, nonostante tutto, piuttosto primitive leggende. Nessuna interpretazione, di nessun genere, può cambiare questo (per me)”. E poi: “Per me la religione ebraica è, come tutte le altre religioni, l’incarnazione di una superstizione primitiva. E il popolo ebraico, al quale sono fiero di appartenere e con il quale ho un’affinità profonda, non ha una forma di dignità diversa rispetto ad altri popoli”. Sono due passi centrali della “Lettera su Dio” che Einstein scrisse il 3 gennaio 1954 (morirà l’anno seguente) su carta intestata dell’Università di Princeton. Era indirizzata a Eric Gutkind, il filosofo ebreo tedesco autore del libro Choose Life: The Biblical Call to Revolt (“Scegli la vita: la chiamata biblica alla rivolta”). Nel 2018 la lettera è stata venduta all’asta da Christie’s a New York per quasi tre milioni di dollari, tasse comprese. Ma già nel 1940, in un articolo pubblicato sulla rivista Nature, aveva illustrato la sua celebre affermazione “Non credo in un Dio personale”, dove spiegava di non ignorare “l’impronta sublime e l’ordine mirabile che si rivelano nella natura e nel mondo del pensiero”. Aggiungeva che non rinunciava neppure all’idea di dio (con la minuscola), che tuttavia non è, e non può essere quello della Bibbia.

Queste affermazioni provocarono una pioggia di reazioni sdegnate, citate nel saggio del 1999 di Max Jammer Einstein and Religion. Physics and Theology (in italiano se ne può trovare un’ampia sintesi nel volume di Francesco Agnoli Filosofia, religione e politica in Albert Einstein, Edizioni Studio Domenicano). Un avvocato cattolico statunitense, che lavorava per un’associazione ecumenica, scrisse allo scienziato: “Siamo profondamente rammaricati che abbia fatto una dichiarazione […] in cui ridicolizza l’idea di un Dio personale. Nulla di quanto si è detto negli ultimi dieci anni era mai riuscito a insinuare l’idea che Hitler avesse qualche ragione di espellere gli ebrei dalla Germania. Pur riconoscendole il diritto di parlare liberamente, le assicuro che quanto, ha affermato fa di lei una delle maggiori fonti di discordia in America”.

Non meno violenta è una lettera che gli indirizzò il fondatore della “Calvary Tabernacle Association” dell’Oklahoma: “Professor Einstein, penso che tutti i cristiani d’America le risponderanno: Noi non rinunceremo alla nostra fede in Dio e nel suo figliolo Gesù Cristo, ma se lei non crede nel Dio del popolo di questa nazione, la invitiamo a tornare nel suo paese. Ho cercato in tutti i modi di essere una benedizione per Israele, ed ecco che arriva lei e con una sola frase della sua lingua blasfema nuoce alla causa del suo popolo proprio nel momento in cui i cristiani che amano Israele si sforzano di eliminare l’antisemitismo da questa terra. Professor Einstein, tutti i cristiani d’America sono pronti a dirle: Prenda la sua folle e falsa teoria dell’evoluzione e torni in Germania, da dove è venuto, oppure la pianti di cercare di spezzare la fede di un popolo che l’ha accolta quando è stato costretto a fuggire dalla sua terra natale». Dal canto suo, un professore della “Catholic University of America”, il reverendo Fulton J. Sheen, lo attaccò chiedendosi sarcasticamente chi mai sarebbe stato disposto a sacrificare la vita per la Via Lattea, per concludere: “La sua religione cosmica ha un unico difetto: una ‘s’ in più”.

Poiché Einstein dichiarò “Credo nel Dio di Spinoza, che si rivela nell’ordine armonioso della natura, non in un Dio che si cura dei destini e delle azioni umane”, ci sono buone ragioni per sostenere che i suoi famosi aforismi, come “Dio è sottile, ma non malizioso”, “Dio non gioca a dadi” o “Dio aveva scelta quando creò l’universo?”, siano panteistici. Einstein, cioè, usava il termine Dio in un’accezione puramente poetica e metaforica, e pertanto non può essere confuso con il Dio delle Sacre Scritture. Pur avendo espresso più volte una sentita ammirazione per la figura storica del Nazareno, il suo rifiuto della tradizione religiosa ebraico-cristiana è netto. Essa non viene mai interpretata e riconosciuta come la “sede” istituzionale del Dio della rivelazione e della creazione.

Entro tale manifestazione vivente di un “ordine meraviglioso”, come ospiti, e non signori, noi ci troviamo immersi e l’impresa scientifica mette a dura prova l’umano intelletto. “La principale fonte dei conflitti odierni tra le sfere della religione e della scienza sta tutta in questa idea di un Dio personale… fonte della paura e della speranza, che nel passato ha garantito ai preti un potere così ampio”, è l’inevitabile conclusione. Il cosmo è l’ordine, la potenza dell’universo, scenario e sfondo delle nostre vite e del nostro naturale bisogno di sapere e di saperi. “La ragione umana -scrive Kant- viene afflitta da domande che non può respingere, perché le sono assegnate dalla natura della ragione stessa, e a cui però non può neanche dare risposta, perché esse superano ogni capacità della ragione umana”. E però il cosmo non appare come un ordinamento qualsiasi, bensì come la manifestazione del trionfo sul caos primordiale dell’universo.

Questo è il conclamato “Dio” di Einstein, le cui espressioni restano sempre sufficientemente distanti da qualsiasi attestazione di “fede” istituzionale -la chiesa è un’istituzione civile, che talora, a parer suo, non ha demeritato- anche quando lo scienziato non nega la sua religiosità. Dio è il “nome’ dell’essere nella luce”. “Sottile è il Signore, ma non malizioso”. Queste parole, ora incise sopra un caminetto nella sala di ritrovo del Dipartimento di Matematica di Princeton, significano che la mente di Dio è sottile, non già che egli è furbo o astuto, che è profondo ma non falso e ingannatore. Che “Dio non mette in piazza le sue cose” significa soltanto che “i segreti della natura” non sono penetrabili  e dominabili in modo superficiale. E, nonostante l’instabilità di alcuni principi della fisica e dell’astrofisica, la “costanza” della luce fornisce la ragionevole certezza che il “divino” ordine cosmico immanente non solo non ci inganna, ma bensì suggerisce e rende possibile l’investigazione della ragione. Altrimenti, la nostra condizione di “enti naturali finiti”, situati entro le coordinate spazio-temporali, non ci permetterebbe l’esercizio delle funzioni razionali. Senza la luce, insomma, non si darebbe neanche l’impresa scientifica, lungo la medesima linea di pensiero inaugurata ad Atene alcuni secoli prima dell’era cristiana. “Dio” come “ordine” rappresenta una tale essenziale garanzia. Tale la risposta di Einstein agli agguerriti assertori della teoria quantistica, e al loro convincimento concernente i valori di causalità e discontinuità nel dominio subatomico. La risposta, nel consueto spirito di umiltà, di chi riteneva di essersi guadagnato il “diritto di commettere degli errori” eventuali.

In perfetta armonia con una complessa e ricca famiglia lessicale indoeuropea -“deiwos”, “div”, “dev”- Dio è “per l’appunto, ciò che risplende, lo “splendore” del giorno e del cielo,   […] la luce dell’essere disponibile al nostro sguardo, alla nostra sconfinata ammirazione, nonché, non da ultimo, all’intelletto che interroga. Ma poiché “Dio non mette in piazza le sue cose”, non ci è possibile vedere la luce stessa, ma solo ciò che è illuminato dalla luce.

“I am not an Atheist”, non sono ateo, afferma Einstein. Non sono, intende, “sordo alla musica delle sfere”, cieco davanti allo splendore del cosmo. Emozioni profonde, che l’uomo nutre e manifesta da sempre, precisamente quelle di cui è parola lirica nell’Inno ai Patriarchi (1822) di Giacomo Leopardi. Che cosa accadde quando l’uomo vide la prima alba? Semplicemente inizia, secondo il poeta, la “maledizione della conoscenza”, come la chiamerà in modo lapidario Thomas Mann.

E tuttavia, questa speciale capacità di meraviglia, già esaltata da Aristotele come il principio stesso dei più alti saperi dell’uomo, per Einstein è propria della scienza e dell’arte, e la “fede” altro non è se non fiducia e fedeltà, leale impegno intellettuale e morale. È la fede di chi si sente “completamente vocato alla libertà e alla comprensione”, e crede nella possibilità “che le regole valide per il mondo dell’esistenza siano razionali, cioè comprensibili per la ragione”, come affermò nel suo discorso a un seminario teologico di Princeton. Acquisire conoscenza è come “intercettare i pensieri di Dio”, sebbene non sia poi possibile sapere “se il buon Dio non rida di esse”, affermò una volta. La conoscenza, allora, “emancipa dai ceppi delle speranze e dei desideri personali, e con ciò perviene a quell’atteggiamento di umiltà mentale verso la grandezza della ragione incarnata nell’esistenza e che, nei suoi più abissali recessi, è inaccessibile all’uomo”. Consideravo tale atteggiamento, prosegue, “religioso nel senso più alto del termine. E così ho l’impressione che la scienza non solo purifichi l’impulso religioso dalle scorie del suo antropomorfismo, ma contribuisca altresì ad una spiritualizzazione religiosa della nostra comprensione della vita”. La “religione, umile ammirazione dell’illimitato e superiore Spirito che rivela sé stesso negli esili dettagli che noi siamo capaci di percepire con il nostro fragile e flebile pensiero. La profonda emotiva convinzione di “a superior reasoning Power”, di una Ragione superiore, come si rivela in un universo incomprensibile, questo forma la mia idea di Dio. In linguaggio corrente si può chiamarla panteismo”.

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