Sul tavolo delle trattative per il cessate il fuoco a Gaza, il nuovo leader politico e militare di Hamas, Yahya Sinwar, ha rilanciato ancora una volta la liberazione di Marwan Barghouti come condizione imprescindibile per la liberazione degli ostaggi, con l’intenzione di porlo al comando della Cisgiordania e di Gaza.
CHI È MARWAN BARGHOUTI
Condizione che ha ottenuto l’ok dagli Stati Uniti, dai mediatori dell’Egitto e del Qatar. Barghouti, considerato da alcuni, soprattutto in Occidente, “il Mandela palestinese” o il “nuovo Arafat”, condannato a 5 ergastoli e arrestato dalle Forze di Difesa Israeliane (IDF)nel 2002 a Ramallah per aver guidato la seconda Intifada, ponendosi a capo delle Brigate dei martiri di al Aqsa e dei Tanzim e per aver compiuto almeno 10 attentati, tra cui l’attacco al Sea Food Market di Tel Aviv e a Hadera, solo per citarne qualcuno.
Una simpatia che non vuole fare i conti con i morti israeliani, sia quelli del 7 ottobre che quelli passati, considerandoli un possibile prezzo da pagare per arrivare a una tregua. Una scelta che però mi sembra contraddittoria con quanto accaduto i primi di agosto proprio negli Stati Uniti, quando è scoppiata la polemica per il patteggiamento dei tre ideatori dell’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, che provocò la morte di 2976 persone. Un funzionario del Pentagono ha permesso il patteggiamento per Walid bin Attach, Mustafa al-Hawsawi e Khalid Shaikh Mohammed, evitandogli una condanna a morte. I tre hanno accettato di dichiararsi colpevoli, ricevendo in cambio il carcere a vita.
LE REAZIONI
La reazione di alcuni politici e delle famiglie delle vittime, che si sono sentite tradite dalla decisione, ha portato alla revoca dell’accordo, aprendo la strada di un futuro processo e alla possibile condanna a morte.
Per i tre terroristi, detenuti nelle carceri americane, il terrorismo non può e non deve pagare, neanche a fronte di una sicura condanna a morte, mentre per il leader palestinese le porte delle carceri israeliane devono essere aperte.
Già il 13 novembre 1974, dopo l’attentato a Monaco durante le Olimpiadi, l’attentato a Fiumicino e la guerra del Kippur, Yasser Arafat fu invitato a parlare all’Onu, come uomo politico riconosciuto a livello internazionale o ancora il 15 settembre quando entrò al Parlamento italiano armato, accolto da un clima di forte adesione alla sua lotta, a pochi giorni dall’attentato alla Sinagoga di Roma che costò la vita a un giovane bambino ebreo.
DIFFERENZE CON L’11 SETTEMBRE?
A questo punto viene naturale domandarsi se non ci sia una corsia preferenziale per la questione palestinese, seppur mirante alla distruzione dello Stato d’Israele. Non sono bastate evidentemente le immagini dell’7 ottobre nella scala degli orrori, per arrivare alla stessa considerazione di quanto accaduto l’11 settembre. Allora come oggi, uno Stato fu chiamato in guerra per difendere la sua stessa esistenza e il principio di libertà.