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Il capo della Cia a Roma per il Russiagate, ecco fatti e bufale

Perché il capo della Cia, Gina Haspel, è stata a Roma. L'approfondimento di Gabriele Carrer di Diplomaticamente.it

 

Davvero qualcuno si beve la storia che il vertice definito «di cortesia» del 9 ottobre tra gli 007 italiani e quelli americani fosse organizzato da oltre due mesi per preparare la visita della prossima settimana negli Stati Uniti del presidente della Repubblica Sergio Mattarella? Qui, a Diplomaticamente.it, no.

Partiamo dai fatti. Il direttore della Cia, Gina Haspel, è stata ieri alla sede dell’intelligence in piazza Dante, a Roma, dove ha incontrato i direttori di Dis, Aisi e Aise, cioè Gennaro Vecchione, Mario Parente e Luciano Carta. L’Adnkronos ha scritto : «”Non si è toccato il tema del Russiagate ma altre questioni programmate da tempo”, fanno sapere fonti bene informate, compresa la prossima visita negli Stati Uniti del presidente della Repubblica».

Non si è parlato di Russiagate ma di svariati temi tra cui il viaggio di Mattarella? Uhm, noi non ci crediamo molto. Sarebbe strano, infatti, che fosse la Cia a occuparsi di quel dossier. Quella con sede a Langley, in Virginia, è infatti l’agenzia di servizi segreti per l’estero. Compiti come l’organizzazione delle visite di capi di Stato e di governo stranieri sono propri dell’Fbi, al massimo del Secret Service.

Ma diffidiamo anche per un’altra ragione. Gina Haspel, prima donna a capo della Cia, si muove nell’ombra del segretario di Stato Mike Pompeo, da poco passato per lo Stivale desideroso di far chiarezza sullo Spygate e sull’eventuale ruolo dell’Italia nel presunto complotto ai danni di Donald Trump del 2016.

Il segretario di Stato, che ha lasciato Roma piuttosto deluso e con ben poco materiale su quanto accadde durante le elezioni presidenziali di tre anni fa, è secondo The Intercept «lo zar dell’intelligence trumpiana». Il portale di Glenn Greenwald scriveva poche settimane fa: «Il direttore della Cia, Gina Haspel, sembra aver accettato il fatto che Pompeo continui a contribuire a definire l’agenda dell’intelligence nell’amministrazione Trump dal dipartimento di Stato, affermano alcuni funzionari».

Prima William Barr, poi Pompeo, infine Haspel. In un mese e mezzo sono passati da Roma il numero uno della Giustizia, quello degli Esteri e quello della Cia. Sarà un caso? Che cosa abbiano ottenuto dalla nostra intelligence non lo sappiamo ma da Washington trapela insoddisfazione e insofferenza.

Il governo italiano non dà risposte sul professore maltese Joseph Mifsud, quello che secondo George Papadopoulos era «un operativo italiano gestito dalla Cia». La Cia vuole sapere dove sia, ma nessuno lo sa. Neppure Stephan Roh, l’avvocato del professore: «Non so dove sia, l’ultima volta che ho avuto sue notizie fu la scorsa primavera, attraverso una terza persona», ha spiegato all’Adnkronos.

Ma le recenti visite in Italia di uomini di punta dell’amministrazione Trump si intrecciano con l’imminente partenza di Mattarella per gli Stati Uniti. I fronti aperti tra Roma e Washington sono quelli che conosciamo tutti: il 5G e l’apertura italiana alla Nuova via della seta, le questioni giudiziarie sullo Spygate sbarcate nella capitale la scorsa settimana assieme a Pompeo e il dossier iraniano. Il tutto si può racchiudere in una domanda: quanto è atlantista il governo giallorosso? Che lo sia di più o di meno del precedente esecutivo importa poco perché, come spiega una fonte diplomatica statunitense a Diplomaticamente.it, «negli ultimi mesi gli Stati Uniti hanno perso ogni certezza sull’Italia». L’endorsement del presidente Donald Trump a «Giuseppi» è servito solo a facilitare le comunicazioni tra il procuratore generale a stelle e strisce William Barr e i servizi segreti italiani.

La Casa Bianca, ben sapendo di esercitare un certo fascino sul premier Giuseppe Conte, aveva cercato di riportare l’Italia su binari più atlantisti dopo il difficile passaggio negli Stati Uniti dell’allora vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini. Una visita che non aveva soddisfatto il segretario Pompeo, deluso dall’Italia gialloblù soprattutto nelle questioni Iran e Cina. Ma neppure il governo di «Giuseppi» ha convinto Washington. Dopo aver avvertito il Vaticano (gran sostenitore del governo giallorosso e delle apertura alla Cina – leggasi segretario di Stato Pietro Parolin), l’ex capo della Cia ha lasciato Roma preoccupato. Le nostre fonti ce lo restituiscono scettico sulle rassicurazioni in materia di 5G e innervosito dalle sbandate del premier e della sua maggioranza sull’acquisto degli F35.

(estratto di un articolo di Diplomaticamente; qui la versione integrale)

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