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Coronavirus Veneto

I veri rischi per il sistema sanitario con il Coronavirus

La matematica del Coronavirus: contagi troppo rapidi rischiano di mandare in tilt le terapie intensive negli ospedali. Fatti, numeri e approfondimenti

E’ una questione matematica, oltre che sanitaria. Se si parte da un dato ormai accertato – almeno il 5% dei positivi al Coronavirus necessita di ricovero in terapia intensiva – si comprende subito il perché gli ospedali stiano già lanciando l’allarme: con oltre 800 contagi (dato aggiornato al 28 febbraio) concentrati soprattutto in Lombardia e Veneto i posti letto nei reparti non bastano più.

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“Se il contagio si estende gli ospedali andranno in crisi non solo per i ricoveri da coronavirus ma per tutti i pazienti – spiega la Regione Lombardia in una nota -. Nelle zone ad alta incidenza gli ospedali hanno dovuto affrontare situazioni emergenziali sia per l’elevato numero di casi sia perché l’11% delle positività riguarda operatori sanitari”. Una situazione confermata dal presidente della Lombardia Attilio Fontana: “Purtroppo questa notte è scoppiata un’altra emergenza a Lodi – ha detto -. Improvvisamente nel pomeriggio di ieri c’è stato un affollamento di ricoveri: 51 ricoveri gravi di cui 17 in terapia intensiva. Purtroppo Lodi non ha un numero sufficiente di camere di terapia intensiva per cui sono stati trasferiti in altre terapie intensive della Regione”.

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Il vero problema è che questo virus in una piccola percentuale rischia di diventare qualcosa di complicato: “I letti di terapia non sono infiniti – ha osservato Fontana – e hanno anche una funziona diversa, per gli infartuati, i colpiti da ictus: non possiamo dedicare tutta la terapia intensiva esclusivamente al coronavirus”.

I CASI

Anche l’ospedale di Cremona, a 27 chilometri dall’epicentro del contagio da dove proviene oltre il 60% dei casi, è il simbolo di che cosa può succedere al sistema sanitario se la conta dei contagi non viene fermata. E’ successo ad esempio mercoledì quando i venti letti di Terapia intensiva erano tutti occupati dai ricoverati infettati.

I DATI

Altri 8 pazienti rischiavano di aggravarsi da un momento all’altro e i medici, non sapendo come fare, hanno dovuto predisporre trasferimenti verso altri ospedali. E poi a Bergamo, dove sono saturi i 19 posti di terapia intensiva dell’ospedale Papa Giovanni di Bergamo e anche gli altri 100 posti per i casi meno gravi non bastano più. Il punto resta che per ora i contagi stanno aumentando di circa il 40% in più al giorno, per questo c’è cautela nell’allentare le misure di contenimento adottate una settimana fa.

LE PAROLE DI SPERANZA

Così si comprendono meglio le parole del ministro della Salute, Roberto Speranza, che aveva accennato al problema già il 27 febbraio nell’informativa urgente alla Camera. “Il virus ci preoccupa perché ad un tasso basso di letalità corrisponde un tasso alto di contagio che potrebbe colpire la popolazione più debole e anziani e sovraccaricare i presidi sanitari, quindi bisogna limitare la diffusione del contagi e l’isolamento dei contagiati è l’unica strada che garantisce la riduzione della diffusione virus”.

I NUMERI DI BERSANI

E ancora più chiaro è stato Pierluigi Bersani (leader politico del partito di Speranza, Leu) che a Piazza Pulita, su La7, ha detto: “È un virus poco letale ma molto contagioso, su 100 contagiati almeno 5 vanno in una situazione critica, se invece di 100 fossero 500.000 noi ci troveremmo con 10 mila persone che avrebbero bisogno della terapia intensiva e il sistema non ce la farebbe a reggere. Quindi se il Governo si preoccupa di chiudere le zone rosse è per evitare che prenda piede un contagio”.

I COMMENTI DI CAPUA E BURIONI

Ecco spiegato il perché la progressione dei numeri preoccupa tanto. Il rispetto delle regole diventa essenziale. “Dobbiamo fare il più grosso sforzo di responsabilità collettiva della nostra storia. Il problema vero di questa malattia è infatti che si infettino tantissime persone contemporaneamente. Cosa che bloccherebbe i servizi, intaserebbe gli ospedali e darebbe un grosso colpo alla produttività del Paese”, spiega dal giorno in cui i contagi erano appena 16 l’infettivologa Ilaria Capua. E lo ribadisce Roberto Burioni: “La mortalità di questa malattia è l’1%. Quello che la rende pericolosa per la nostra sanità è il numero di persone che vanno in terapia intensiva. Questo potrebbe aumentare la mortalità per altri casi, come gli infarti”. E Paolo Giordano sul Corriere della Sera ha sottolineato pure un problema di risorse, che non sono infinite. “Se tutti o buona parte dei suscettibili diventassero infetti troppo velocemente, a ricevere un urto pericoloso sarebbe il nostro sistema sanitario. Non è scontato che avremmo le risorse necessarie per fronteggiare un’eventualità simile”.

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