Tre anni e quasi nove mesi dopo, siamo arrivati all’ora della verità: morire per Kiev? La drammatica domanda in realtà riguarda unicamente il sofferente popolo dell’Ucraina, che per la libertà della sua Patria sta dando la vita con eroismo. Ma riecheggia la metafora del tristemente celebre “morire per Danzica?” che nel 1939 interrogava le coscienze degli europei.
Adesso gli aggrediti dai militari e dai missili della Federazione Russa stanno vivendo la loro ora più buia.
Nella proporzione di soldati da uno a dieci a favore degli invasori e senza poter contare appieno sull’arma decisiva dei droni a causa della nebbia e del cattivo tempo, gli ucraini stanno combattendo una disperata resistenza anche casa per casa, ripiegando o ritirandosi da cinque località non più difendibili nell’importante Zaporizhzhia (sud-est del Paese).
A rischio sono le truppe scelte inviate proprio per resistere alla pressione russa e gli armamenti e la tecnologia forniti dall’Occidente. Se truppe e armi cadessero nelle mani del nemico -spiegano gli esperti-, la difesa diventerebbe più ardua. Anche perché, a differenza della Russia e della sua produzione bellica in costante aggiornamento – oltre che per come il regime russo considera e tratta i suoi soldati, mandati a migliaia a uccidere e a morire al fronte -, le armi consegnate da parte europea a Kiev non godono della stessa catena industriale di ricambio.
E’, dunque, un conflitto del tutto impari, ma questo già si sapeva fin dal 24 febbraio 2022, il giorno dell’invasione. Paradossalmente, tale consapevolezza consente ancora il realismo sull’esito di una guerra che gli ultimi eventi potrebbero invece indurre al pessimismo.
Se dopo tanto tempo e con un’invincibile armata Putin controlla “soltanto” il 19% del territorio ucraino (Crimea e avanzate nel Donbas incluse), vuol dire che il destino non è segnato. L’aver conquistato appena lo 0,73% del territorio negli ultimi undici mesi lo conferma: la vittoria di Putin appare ancora lontana.
Ma la statistica e le previsioni geopolitiche non bastano e non consolano gli aggrediti, se non arriva una svolta. Specie da parte del presidente statunitense, Donald Trump, l’unico in grado di trattare con Putin. Una svolta politico-diplomatica anche degli europei, che dovrebbero non più limitarsi a cercare di convincere, bensì a costringere Trump a intervenire con lo Zar, non mancandogli argomenti da superpotenza economica e militare da far valere. Questo è il momento.
Tale strategia dovrebbe essere accompagnata – chiede da sempre il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky – dall’aiuto tecnologico e di armamenti euro-americani per non soccombere.Dal G7 dei ministri degli Esteri in Canada arriva non per caso il “sostegno incrollabile” per Kiev.
Ora Zelensky è alle prese pure con un brutto scandalo per corruzione che ha investito parte del suo governo.
Non è possibile -dicono gli ucraini- che, mentre tanti e semplici cittadini danno la vita per tutti, nelle alte sfere qualcuno pensi a farsi gli affari suoi. Due ministri sott’accusa si sono dimessi. Sullo sfondo la guerra continua.
(Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova)






