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Social

I social e la fine dell’umanità (oltre che della società)

Tra sfide estreme, violenza e tragedie, i social stanno diventando la fogna virtuale che trasforma la vita reale in una gigantesca e confusa finzione. Ecco perché urge recuperare il culto della bellezza, la gioia di stare insieme, l’immersione nel gusto di imparare, la reciproca educazione sentimentale. L'articolo di Francesco Provinciali

 

Se Ulisse fosse rimasto accanto al telaio di Penelope anziché partire alla ricerca di itinerari mitologici l’Odissea non sarebbe mai stata scritta e Omero si sarebbe soffermato a descrivere l’intimità della quiete domestica anziché il fascino dell’avventura e l’angoscia dell’attesa.

Le Odissee della post-modernità si caricano di pulsioni narcisistiche e di brividi dell’azzardo, immersi come siamo in una confusione indecifrabile tra virtuale e reale, le dimensioni umane nascoste soccombono di fronte al trionfalismo degli effetti speciali. Stockton Rush, AD di OceanGate il gestore di Titan aveva minimizzato i rischi dell’immersione: “La sicurezza è un puro spreco. Se vuoi rimanere al sicuro non ti devi alzare da letto, non devi andare in auto, non devi fare niente”. Abbiamo visto in questi giorni come è andata a finire negli abissi dell’Atlantico l’esplorazione dei resti del Titanic. Da quando tecnologia e dotazione di mezzi informatici ci consentono di fare azioni un tempo impensabili siamo usciti dalle categorie fisiche spazio-temporali e da quelle razionali del controllo di sé e del dominio del mondo.

Non si può fermare il vento con le mani, così come non si può arrestare la corsa verso l’ignoto imperscrutabile dell’intelligenza artificiale (IA), del metaverso, del web e di tutto ciò che crea situazioni imponderabili, incontrollabili, imprevedibili e irrazionali che superano la gestibile sostenibilità dell’insieme.

La cartina di tornasole per leggere i fatti e le loro conseguenze è la crescita esponenziale della violenza che – secondo Vittorino Andreoli – finisce spesso per diventare sfuggente e inarrestabile distruzione. Influencer e creator sarebbero le nuove professioni che risolvono il problema dei giovani NEET: vendono il nulla e raccolgono milioni di follower coinvolgendoli con un effetto domino non solo come spettatori ma come attori dell’azzardo, la vita e la morte si giocano sul rimbalzo di una moneta, testa o croce. Sono i profeti, coloro che invitano a compiere determinate azioni. Ma chi li chiama in TV a spiegare le loro idiozie si rende complice della loro popolarità e dell’effetto emulazione che si diffonde: sono questi i nuovi eroi, gli Ulisse del terzo millennio? Direi decisamente il contrario: in genere si tratta di ragazzi viziati da genitori più immaturi di loro, che non hanno mai avuto il coraggio di dire un secco “no”, di educarli al senso della misura.

In genere soggetti privi di cultura ma depositari di luoghi comuni e suggestioni emotive irrazionali.

Si sale su un tetto e si salta giù, ci si sdraia sui binari mentre passa un treno, ci si ubriaca o ci si droga fino allo sfinimento spesso in modo irreversibile perché si ingoia di tutto, per due gusci di noccioline o una macchia caduta su una scarpa si ammazza di botte un uomo, senza contare la caccia grossa ai clochard massacrati a calci e pugni, si spara in classe all’insegnante e ci si merita un bel nove in condotta, se invece la si pugnala e si è sospesi e bocciati monta l’indignazione parentale, con il challenge automobilistico si pone fine alla vita di un bambino – ma si tratta solo di una bravata, tutto poi si risolve – mentre su TikTok prende quota tra le ragazze il “sex roulette” che consiste nell’avere rapporti non protetti dal rischio dell’HIV/Aids: perde chi resta incinta.

Ma sarebbe ingiusto farne solo una questione generazionale: i delitti più efferati li compiono gli adulti, in genere si tratta di femminicidi, vere e proprie esecuzioni crudeli e premeditate, una vicenda rimuove mentalmente l’altra mentre si ripete il rituale di una magistratura spesso incerta sulle misure cautelari e la gente comune tacita la coscienza con le fiaccolate e le marce della pace. Come nel caso atroce di mamma Giulia e del piccolo Thiago che portava in grembo.

Negli USA nel giro di due giorni rispettivamente un bambino di due anni nell’Ohio ha sparato uccidendo la mamma incinta mentre nel Kentucky un bimbo di 7 anni ha fatto altrettanto con il fratellino di 5. Si tratta dell’ennesimo episodio: piccole creature innocenti che maneggiano armi incustodite e lasciate cariche in giro per la casa da genitori incoscienti. D’altra parte ricordo che da quelle parti a Natale i minori, in media a 7/10 anni, ricevono in dono “il primo fucile”. La diffusione delle armi è ormai inarrestabile ovunque, per latitudine e target di età e una domanda sorge spontanea: in via preventiva cosa deve fare la politica? La gente confonde il MES con il MEF, non ha molta fiducia nel PNRR ma è strabiliata, stordita, annichilita dal montare dell’odio sociale e del rancore.

I social stanno diventando la fogna virtuale che trasforma la vita reale in una gigantesca e confusa finzione. Con un anno come questo a ottobre il CENSIS avrà il suo bel daffare per tracciare un quadro sociale che comprenda la molteplicità dei fenomeni delittuosi, nella macroanalisi di cui è maestro sarà difficile ricomporre e spiegare le iperboliche allucinazioni a larga diffusione. Intanto, non c’è solo la ritrazione silenziosa dei cittadini dimenticati dalla Repubblica: c’è gente disperata per la povertà, la solitudine, l’indifferenza, l’ignavia di chi ci sta accanto. Tutto si decide in un attimo: farla finita risolve tutto, basta un ponte, un cavalcavia, una manciata di pastiglie. Nel mondo dei miraggi e degli effetti speciali, dominato dal dio-denaro e dal successo, si diffonde la psicosi del fallimento esistenziale. Eppure gira l’icona della famiglia felice intorno al desco o nei momenti di svago, sull’auto nuova, rigorosamente elettrica. Siamo ecologisti ma infelici, ci tagliano il cuneo fiscale ma non ce ne accorgiamo, il dissesto idrogeologico distrugge il lavoro di generazioni ma noi puntiamo sulla digitalizzazione senza accorgerci che abbiamo perso l’antico abc del vivere insieme.

Anche a scuola si commette il grave errore di pensare di educare i giovani all’uso degli algoritmi, ai test che non valutano, ai tablet che sostituiscono i libri, ai neologismi criptici che prendono il posto delle parole. Gli alunni di oggi sono candidati a diventare creator e influencer per alimentare nuove challenge. Ma a nessuno viene in mente che bisogna ripartire dai fondamentali?

Urge recuperare il culto della bellezza, la gioia di stare insieme, l’immersione nel gusto di imparare, la reciproca educazione sentimentale.

Per adesso siamo ancora persone, non avatar.

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