“Anche i nostri Servizi segreti contro The Donald”, si legge nella titolazione di un’analisi pubblicata sull’ultimo numero della rivista Limes diretta da Lucio Caracciolo.
L’analisi è stata scritta da Dario Fabbri, consigliere scientifico e coordinatore America di Limes.
“E’ impossibile stabilire se l’intelligence di Roma abbia realmente collaborato con gli emissari americani, oppure abbia scelto di bluffare come previsto dalla grammatica e suggerito dai colleghi d’Oltreoceano. Di certo, il campo trumpiano non ha ottenuto nella penisola informazioni utili a ribaltare la situazione, a stroncare le accuse avanzate dalla corrente contraria. Si è limitato a rispondere all’assalto”, si legge nelle conclusioni del saggio di Fabbri, esperto di Stati Uniti e Medio Oriente.
Fabbri ha approfondito “la guerra civile tra trumpiani e washingtoniani nelle province dell’Impero”, come da titolo di Limes.
Nel saggio c’è un ampio capitolo che riguarda gli aspetti italiani del cosiddetto Russiagate, o Spygate come da altri ribattezzato.
Respinto in Europa orientale, l’entourage trumpiano ha cercato di imporsi sul fronte italiano, conducendo il Belpaese al centro degli eventi, scrive Fabbri: “Già nel 2016 era emersa la preminenza della penisola nel cosiddetto Russia Probe (Russiagate nella dizione giornalistica nostrana). All’epoca era stato Joseph Mifsud, docente maltese presso l’Università Link di Roma, ad avvertire Papadopoulos che i russi disponevano di migliaia di mail sul conto di Hillary Clinton, conservate nel server del Democratic National Committee, misteriosamente finite in possesso di Wikileaks. Da questa soffiata era cominciata l’inchiesta dell’Fbi, con il seguente arresto dello stesso Papadopoulos e le dimissioni di Michael Flynn, primo consigliere per la Sicurezza nazionale della nuova èra”. Secondo i trumpiani una trappola ai loro danni, un’operazione di false flag, “con Mifsud nel ruolo di agente provocatore, gestito dai servizi italiani assieme alla Cia.
“Mifsud lavorava certamente per un’intelligence occidentale schierata contro di noi, se non per l’agenzia di Langley”, ha dichiarato più volte Giuliani. “Per indagare sui fatti e ottenere la collaborazione del governo italiano – ricorda Limes – tra metà agosto e metà settembre sono volati a Roma William Barr e il magistrato, John Durham, titolare della controinchiesta sullo Stato profondo. Incontrando la massima disponibilità di Giuseppe Conte, che avrebbe concesso agli ospiti americani di conferire con i vertici dei nostri servizi, nonché di ascoltare alcuni nastri registrati con cui Mifsud chiedeva la protezione di Roma”.
“L’Italia ha le chiavi per il regno, questo è il governo giusto al momento giusto”, twittava in quei giorni Papadopoulos, premendo sulle istituzioni italiane affinché si schierasse con la Casa Bianca. “Mentre in un altro tweet Trump forniva il proprio formale sostegno all’attuale esecutivo privo di Matteo Salvini, infischiandone di ogni (presunta) corrispondenza ideologica con il capo della Lega, per ringraziare Conte dell’aiuto. Specie dopo la caduta in disgrazia dell’ex ministro dell’Interno in seguito all’affaire Metropol, quando emissari leghisti si pensarono avanguardia di un’apertura americana a Mosca che non c’è stata. Scambiando la volontà del presidente newyorkese per la realtà”, scrive Fabbri.
Conclusione dell’analisi di Limes: “La classe politica italiana diventava l’unica, assieme a quella ucraina, ad aver scelto The Donald. Ma è impossibile stabilire se l’intelligence di Roma abbia realmente collaborato con gli emissari americani, oppure abbia scelto di bluffare come previsto dalla grammatica e suggerito dai colleghi d’Oltreoceano. Di certo, il campo trumpiano non ha ottenuto nella penisola informazioni utili a ribaltare la situazione, a stroncare le accuse avanzate dalla corrente contraria. Si è limitato a rispondere all’assalto”.