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Giorgetti

I rischi (anche per Mattarella) di un Festival politicizzato

Un bilancio politico del Festival di Sanremo. I Graffi di Damato

 

Bene. Si è conclusa, a giornali ancora aperti prenotando così anche qualche prima pagina di domani, anche questa specialissima edizione del festival canoro di Sanremo, gratificata di un mezzo patrocinio della Presidenza della Repubblica con l’arrivo del capo dello Stato, per la prima volta, al teatro Ariston per godersene almeno le prime battute. Fra cui la Costituzione selezionata da Roberto Benigni esaltandone due articoli, in particolare: contro la guerra, per quanto me stiamo aiutando una a favore, giustamente, dell’Ucraina aggredita dai russi, e per la libera manifestazione del pensiero, dopo il pur lontano ventennio fascista che impose la sua mordacchia.

Il festival è stato vinto sul piano canoro da Marco Mengoni, seguìto da Lazza, Rain, Ultimo e Tananai: tutti invitati in Ucraina nel giorno, si spera non lontanissimo, anche della sua vittoria su Putin nel messaggio rigorosamente scritto di Zelensky letto da Amadeus in persona in giacca bianca. Un colore non molto felice ricordando la bandiera bianca sventolante sul ponte cantata dal compianto Franco Battiato.

Sul piano politico, in verità non nuovo a Sanremo, ma questa volta aumentato di visibilità e altro per la già ricordata e inedita presenza del presidente della Repubblica in apertura, non avendo potuto la giuria votare anche su questo interferendo nelle elezioni regionali di oggi e domani in Lombardia e Lazio, abbiamo assistito al solito, stucchevole tentativo di contrapporre attorno e dentro l’Ariston destra e sinistra. A destra mettendo, per esempio, quanti non hanno gradito la mezza o sostanziale sponsorizzazione del Quirinale, tutti un po’ al servizio o al seguito dello scettico leader leghista Matteo Salvini, e a sinistra di conseguenza quelli favorevoli, anche se non sono mancate voci di dissenso e persino di derisione anche da quella parte.

Tuttavia il problema posto, volente o nolente, dal buon Mattarella correndo con la figlia a Sanremo non è stato di natura soltanto o prevalentemente politica, con la solita contrapposizione -ripeto- di destra e sinistra, di governo e opposizione. E’ stato di natura prevalentemente culturale o di costume. Di natura addirittura “pedagogica”, com’è scappato di scrivere al quirinalista del Corriere della Sera Marzio Breda e ai suoi imitatori.

Il Quirinale ha riproposto un rapporto che appassionò a suo tempo un autore molto caro al nostro presidente della Repubblica. Il quale citò una volta Alessandro Manzoni, in una sortita istituzionale, per esortare a non confondere il buon senso col senso comune, cioè col conformismo. Che questa volta invece è prevalso, anche troppo. E non ha fatto salire ma scendere la politica lungo i gradini dell’Ariston, con effetti -temo- non abbastanza meditati dal capo dello Stato, senza per questo volergli mancare di rispetto come hanno fatto invece altri critici nelle cui osservazioni mi sono parzialmente e sorprendentemente ritrovato, a cominciare da Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano di venerdì.

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