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Tunisia

I reduci di Botteghe Oscure strattonano Letta del Pd

Come si muovono Bettini & Co. nel Pd. L'analisi di Gianfranco Polillo

 

Se è vero che il lupo perde il pelo ma non il vizio, Goffredo Bettini non fa eccezione. Il parlamentino del Pd ha votato all’unanimità le proposte del segretario Enrico Letta. Sennonché, guardando in controluce alle diverse posizioni emerse, non sembrerebbe che a questa unità d’intenti corrisponda un’effettiva ed univoca volontà di pensiero. Soprattutto di azione. Al contrario: Letta sembra esprimere, con la necessaria passione, una vocazione riformista, altri invece hanno più in testa la difesa del vecchio PCI. Quella cultura post-comunista che rimane un patrimonio da tutelare, soprattutto, da conservare.

Del resto Goffredo Bettini, l’inventore della strategia del cosiddetto “campo largo” non ne aveva fatto mistero. “Negli anni Settanta – aveva teorizzato solo qualche mese fa (novembre 2021) – la sinistra italiana era un modello in tutto il mondo. Oggi quella sinistra non c’è più. Il sentimento, la cultura, gli ideali, si sono confusi. Ne abbiamo una un pochino frammentata dentro il Pd, ma forse troppo silente. C’è un centro, certo, ma la sinistra deve farsi sentire.“ Come? Non facendo del tutto morire quel “campo largo” profetizzato fin dall’ottobre del 2019, qualche giorno dopo la costituzione del Conte II.

Intervistato da Maria Teresa Meli aveva chiarito: “sono d’accordo con Zingaretti. Secondo me non abbiamo altra scelta che cercare un rapporto strategico con i 5 Stelle, candidandoci a governare l’Italia anche per i prossimi anni. Sennò che abbiamo fatto a fare questo governo? Solo per consegnare l’Italia a Salvini senza l’aumento dell’Iva?” Dove la parte veramente profetica era quella contenuta nella seconda parte del ragionamento. Ma, allora, chi poteva sapere?

Già Nicola Zingaretti: altro piccolo mistero. Si è messo a disposizione del partito, per eventuali candidature. Ma se così fosse scatterebbero i meccanismi dell’incompatibilità e quindi il Presidente della Regione Lazio dovrebbe optare tra lo scranno di parlamentare e quello di Presidente della Regione Lazio. Il che porterebbe alla fine anticipata della consiliatura, la cui scadenza naturale è marzo 2023. Poca cosa, indubbiamente. Ma comunque significativa, considerate le manovre a più ampio raggio che increspano la superficie di Via del Nazareno.

La vedovanza per la caduta del Conte II non è ancora terminata. Difficile difendere l’avvocato del popolo, specie per i romani. Accusati di voler a tutti i costi edificare quel termovalorizzatore, o meglio quell’inceneritore, che è stata la scusa apparente per trascinare i 5S nel vortice della crisi. Ma la stessa figura di Mario Draghi, nonostante i costanti richiami del segretario del Pd, non va mitizzata.

“Sappiamo – dice sempre Bettini – che il governo Draghi si è svolto nel nome dell’emergenza, come fatto eccezionale e irripetibile, con una necessaria riduzione della sovranità dei partiti. Non dobbiamo affrontare, come da più parti ho sentito dire, la campagna elettorale come meccanico proseguimento di quella esperienza, agenda Draghi e basta, Draghi premier. Dobbiamo, invece, mettere in campo una nostra proposta al Paese per il suo futuro». Teoria che ha una ricaduta anche organizzativa immediata.

Occorrerà, infatti, “verificare bene il rapporto con il patto repubblicano di Calenda. Ci sono differenze molto grandi di impostazione programmatica tra il Pd e Calenda, di fondo. Il problema emerge maggiormente se si parla di spirito costruttivo e di veti, Calenda si è posto come giudice di ogni singola forza o personalità politica italiana». La sua presenza, del resto, «impedisce l’alleanza con la sinistra di Fratoianni, che nei sondaggi sta poco sotto Calenda».

Ovviamente Bettini non è solo. A sostenerlo la vecchia galassia del PCI, PDS, DS, PD. Le altre anime sparse sono quelle di Andrea Orlando, l’attuale ministro del lavoro; del vice segretario Peppe Provenzano, di Matteo Orsini. Personaggi ben conosciuti nel loro cursus honorum. Una vecchia guardia che non si arrende. Anche se rischia di riportare indietro le lancette dell’orologio. Una volta c’erano i “miglioristi” che cercavano di contrastare una deriva di semplice arroccamento dogmatico.

Furono malamente sconfitti e costretti ad emigrare verso altri lidi. Oggi il dilemma, con i nuovi personaggi dello schieramento centrista, si rinnova. Ma in un contesto nazionale profondamente diverso, visto lo squilibrio che si intravede tra centro destra e centro sinistra. Dato che dovrebbe far riflettere. Senza dimenticare che Enrico Letta, fu richiamato in servizio dal suo eremo parigino, proprio per evitare una dissoluzione dell’intero partito. Tra la vecchia corrente della sinistra DC ed i reduci di Botteghe Oscure. Che non demordono.

Dall’esterno, il monito di Pierluigi Bersani per “comporre un campo progressista con Pd, ambientalisti, sinistra e M5S”. Per continuare a sentirsi “alternativo a chi propone flat tax e aliquota unica irpef.” Oppure le angoscia di Loredana De Petris: “la scelta del Pd è semplicemente un suicidio politico, come i sondaggi attestano”. Per concludere con la nera profezia di Stefano Fassina: “così andiamo al naufragio.” Preannuncio di quello che potrebbe essere il futuro congresso del Pd in caso di sconfitta.

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