skip to Main Content

Conte Draghi

I pregi di Draghi, i difetti di Conte

Draghi e Conte a confronto. L’intervento di Marco Mayer, docente al Master in Cybersecurity della Luiss ed ex-consigliere del ministro dell’Interno Marco Minniti per la Cybersicurezza (2017-2018)

 

Nel suo editoriale su Domani Nadia Urbinati ripropone oggi la consueta distinzione di Draghi bravissimo tecnico, ma non tanto adatto alla politica.

Nadia Urbinati — citando Luigi Einaudi — ricorda giustamente che anche la politica ha bisogno di competenza. L’immagine che la stimata docente italiana alla Columbia University di New York offre ai sui lettori è grosso modo la seguente. “Supermario” ha eccellenti capacità tecniche in economia e finanza, ma lo stesso discorso non varrebbe in politica. Urbinati aggiunge — citando un collega — che Draghi non avrebbe capito Machiavelli.

Non è vero. Nel pensiero politico di Machiavelli c’e una argomentazione che dimostra che Draghi (comunque lo si intenda catalogare) ha una sensibilità politica istintiva, una caratteristica di cui sono, invece, carenti personalità di spessore che spesso sono equiparato a lui come Dini, Ciampi e Monti.

È noto che Machiavelli suggerisce al Principe di fondare la sua azione politica tenendo in conto degli “umori del populo” per non appoggiarsi troppo ai “grandi” perché dei grandi è bene diffidare.

Mario Draghi non ha mai partecipato a competizioni elettorali, ma nei momenti più difficili (quando la mediazione con i suoi potenti interlocutori non lo convinceva) non ha esitato a rivolgersi direttamente all’opinione pubblica (go public si direbbe in America).

Gli umori dei mercati non sono quelli degli elettori, ma costituiscono un’ottima palestra politica per evitare compromessi al ribasso.

Durante e soprattutto dopo il G20 di Londra del 2009 (dopo la grande crisi) Draghi ha fatto sentire pubblicamente la sua voce — come Presidente del Financial Stability Board — e ha ottenuto le misure restrittive  per regolare le grandi banche (fedele alla sua nota impostazione keynesiana spesso volutamente ignorata dai media).

Con “What Ever It Takes” ha usato ancor più le sue doti di comunicazione politica. Ha voluto tagliarsi i ponti alle spalle quando ha capito che non bastava intrattenere un serrato confronto con Angela Merkel e gli altri leader della Ue (per altro divisi) sul ruolo che la Bce doveva assumere.

Giuliano Amato ha scritto che la politica non è (o non era?) nelle corde di Draghi. Non lo metto in dubbio, ma sto parlando di una capacità istintiva, quasi caratteriale.

Draghi si è dimesso quando ha capito che Giuseppe Conte (per inciso dopo che nelle retrovie Salvini aveva bisogno di andare a Mosca ad ogni costo) continuava a congiurare contro il suo governo non partecipando alla fiducia al Senato già concessa dai grillini alla Camera.

Il professore Giuseppe Conte é sul piano tecnico un celebre esperto di mediazione civile e di arbitrati. Per la professione esercitata da Conte per tanti anni non scoprire le carte sino al 90′ minuto è un must. Non è l’unico nell’agone politico che lancia il sasso e toglie la  mano, ma nella sua esperienza professionale questo comportamento é una virtù per alzare la posta in ogni processo negoziale.

In politica tuttavia qualche volta bisogna metterci la faccia.

C’è un caso di scuola in cui Giuseppe Conte ha sbagliato. Non sarebbe stato facile per nessuno dire no a Trump quando gli ha chiesto di aiutarlo a capire (tramite i servizi)  se a Roma funzionari dell’Ambasciata americana, della CIA, del FBI e del Dipartimento di Giustizia avessero tramato contro la Casa Bianca in materia di RussiaGate.

Con una cooperazione giudiziaria bilaterale ben funzionante dai tempi di Falcone e della Pizza Connection la richiesta di Trump era quanto meno singolare.

Ma il punto è un altro. Quando per ben due volte il Ministro della Giustizia americano William Barr viene a Roma perché non lo ricevi (con o senza Bonafede e/o Giovanni Salvi). Se Conte avesse incontrato Barr sarebbe stata una scelta politica limpida. Invece Conte non si è fatto trovare e ha delegato un dossier così politicamente delicato al Prefetto Domenico Vecchione a capo del DIS.

Non credo che ci siano precedenti di un politico straniero (per giunta di grande peso) che ha come interlocutore unico a Roma un tecnico.

Non sono dettagli protocollari o di cerimoniale, ma segni di un eccesso di prudenza che si trasformano in un grave limite di leadership politica. Un limite che il capo politico del M5stelle sta dimostrando anche in queste ore.

Draghi ha compiuto certamente errori e non può essere santificato. Tuttavia dopo due anni di pandemia dalla Cina, dopo la guerra in Ucraina della Russia i cittadini si chiedono perché deve esserci in un momenti difficile la crisi di governo quando a marzo si vota comunque.

Giuseppe Conte non può continuare a dire e non dire o meglio a fare il gioco del cerino. Così come Draghi se ha una maggioranza chiara su cui contare non può che ritirare le dimissioni esercitando l’ etica della responsabilità di Max Weber ovvero la dimensione etico politica di cui Nadia Urbinati parla nel suo editoriale.

Back To Top