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Tunisia

I pizzini dell’ambasciata russa e i pistolotti putiniani di Berlusconi

L’analisi di Gianfranco Polillo   Sarà stato certamente un caso. Una semplice coincidenza. L’ambasciata russa a Roma pubblica una serie di fotografia in cui principali leader italiani sono immortalati in compagnia di Vladimir Putin. Nulla da eccepire, trattandosi, nella maggior parte dei casi, di foto istituzionali. L’incontro con Sergio Mattarella o con Giorgio Napolitano. Ma…

 

Sarà stato certamente un caso. Una semplice coincidenza. L’ambasciata russa a Roma pubblica una serie di fotografia in cui principali leader italiani sono immortalati in compagnia di Vladimir Putin. Nulla da eccepire, trattandosi, nella maggior parte dei casi, di foto istituzionali. L’incontro con Sergio Mattarella o con Giorgio Napolitano. Ma quando si passa al centro destra, l’immagine mostra un quadro ben più amicale. Ed ecco allora la fotografia di gruppo. Tutti insieme appassionatamente: Matteo Salvini, Giuseppe Conte e Luigi Di Maio, con al centro la figura sorniona del grande Zar.

Ma lo scatto più inquietante è proprio quello con Silvio Berlusconi. Un primo piano delle due facce che si sfiorano. Quasi a dimostrare quella confidenza di cui si sono cibate, per molti anni, le cronache più o meno rosa della grande stampa internazionale. Sollevando le preoccupazioni dell’intelligence non solo americana. Comunque sia, è difficile svelare l’enigma. Capire come mai quelle foto siano state pubblicate a poco più di quarantotto ore dalla fine della campagna elettorale in Italia. Con l’aggiunta di un commento sibillino: “Dalla recente storia delle relazioni tra la Russia e l’Italia. Ne abbiamo da ricordare”.

Che volevano dire? Non fate le verginelle perché vi conosciamo? Attenti a non esagerare perché abbiamo le carte in grado di sbugiardarvi? Unica cosa relativamente certa: non era certo un commento amichevole. Che volesse cioè celebrare un’antica amicizia. Il sapore era invece quello di un avvertimento, rivolto non all’Italia ma ai principali leader che sembrano in procinto – queste almeno le maggiori probabilità – di formare il nuovo governo. Un governo in cui il suo leader in pectore, Giorgia Meloni, ha dimostrato di essere saldamente ancorata ai valori ed agli impegni dell’Occidente e determinata nel procedere in loro difesa.

Di fronte a tanti interrogativi, la risposta doveva essere il silenzio. Tanto più che la stampa italiana non aveva dato spazio più di tanto all’iniziativa di Sergey Razov. Ben altre erano le preoccupazioni inerenti la politica russa, ormai avviata lungo una pericolosa escalation militare. Ed, invece, che fa Silvio Berlusconi? Si reca da Bruno Vespa e candidamente si lancia nella difesa di Vladimir Putin. Lo dipinge come un poveretto strattonato dal partito e da un’opzione pubblica vogliosa di farla pagare a quegli sporchi neonazisti. Costretto alla fine a cedere ed “inventarsi quest’operazione speciale … per cui le truppe russe nel giro di una settimana dovevano raggiungere Kiev sostituire con un governo di persone perbene il governo di Zelensky e poi tornare indietro”.

Semplice follia. Va bene il sentimento di amicizia. Ma un vero amico è quello che critica quando si sbaglia, nella speranza di favorire il ravvedimento. Le coordinate di Silvio Berlusconi sono evidentemente diverse. Grave l’accenno ad “un governo di persone per bene” quasi a lasciare intendere che quello attualmente in carica non lo è. Incomprensibile il suo pistolotto finale contro la guerra. Una guerra indistinta in cui non ci sono aggrediti ed aggressori, ma solo persone che muoiono.

Un retroterra che non solo lascia basiti. Nel Risorgimento italiano i liberali furono alla testa della guerra contro lo straniero che calpestava il sacro suolo d’Italia. Ma contribuisce a spiegare quella crescente, seppur sotterranea, ostilità contro Mario Draghi. Troppo schierato in difesa dell’Ucraina, contro gli invasori russi. Troppo deciso nel sostenere le buone ragioni dell’Occidente. Troppo presente nell’esercizio di una leadership rivolta a colmare un vuoto europeo. E quindi destinato a cadere alla prima occasione propizia, facendo leva sugli errori di Giuseppe Conte, ottenebrato dal suo odio rancoroso.

Questa almeno una possibile spiegazione. Che ha il vantaggio di rimanere ancorata al terreno politico. Poi ci sono le cose sotto il tavolo, di cui è difficile dire. Ma di cui si parla con circospezione. Gossip, pettegolezzi, allusioni che avrebbero, tuttavia, una loro ragion d’essere. Al punto da dare plausibilità alla stessa azione dell’ambasciata russa. Non una botta di testa, ma un segnale preciso, anche se nel linguaggio mafioso. Attenti a come vi comporterete, una volta vinte le elezioni. Dovete calmare i bollenti spiriti di Giorgia Meloni ed il suo amerikanismo. Sono infatti tante le cose da ricordare della “recente” storia delle relazioni tra la Russia e l’Italia di cui l’FSB, il servizio segreto russo, ha buona memoria.

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