Istanbul/Costantinopoli/Carigrad è la più grande metropoli d’Europa, quindici milioni di abitanti. Non è solo la città delle grandi moschee, di moschee che un tempo furono templi bizantini, dei grandi palazzi, dei musei. E neppure solo la città godereccia del ben mangiare (a tutte le ore del giorno). E neppure quello stereotipo che la vorrebbe città-cerniera fra Europa e Asia (anche se su questo la geografia si pronuncia senza scampo, e nella stessa direzione si pronuncia la visione di ragazze in minigonne vertiginose accanto a signore mature con il fazzoletto portato sul capo alla maniera anatolica e le gonne plissettate e lunghe; quelle velate sono invece in massima parte turiste di Paesi arabi).
UNA VENEZIA SUL BOSFORO
Per me è una città affascinante, un po’ come Venezia. Al posto del Canal Grande c’è il Bosforo, ma sul Bosforo, così come lungo il Canal Grande, le rive sono occupate da una sfilata di palazzi patrizi e da ville di costruzione più recente, con le loro piscine e imbarcaderi di famiglia.
È anche tante altre cose Istanbul: le case di Pera e Galata, disegnate da architetti francesi e italiani nel diciannovesimo secolo, l’arcipelago a un tiro di schioppo con i suoi pini e le sue taverne di pesce, le carrozze d’antan. Istanbul è piena di cafè-design e di lounge-bar, di elegantissime boutiques, ha il fascino di Arnavutköy ma anche i grattacieli del Levent.
Cari miei lettori, la prossima volta che andrete a Istanbul seguite questo mio sommesso e modesto consiglio: procuratevi una canna da pesca e sedetevi con pazienza in una delle piazzole sulle rive del Bosforo dal lato di Üsküdar. È il modo più bello di guardare le stupende dimore patrizie che stanno sulle rive europee prospicienti, e anche un modo sicuro per fare amicizia con la gente. Vi troverete tanti anzianotti come me, di tutte le classi sociali, che vi daranno tanti utili consigli su come pescare. I turchi sono molto amichevoli con gli stranieri, senza essere invadenti.
L’ESTEROFILIA DEGLI ABITANTI
Tra i compagni di pesca potrete trovarne tanti che hanno fatto gli studi superiori all’estero o in scuole straniere a Istanbul, parlano perfettamente tre-quattro lingue e non vedono l’ora di esercitarle. Uno di questi era un tale Mehmet, che m’inquadrò come francese. Con un sorriso illuminato mi invitò a casa sua, facendo sfoggio del francese appreso al leggendario Lycée Galatasaray e riempiendomi di attenzioni. Pensavo fosse solo un signore agiato, e invece era un ricco commerciante e la sua casa era fra le più grandi e belle che abbia mai visitato in vita mia.
La casa si sviluppava su tre superfici: un piano rialzato e due piani superiori. Un edificio storico certamente, ma ristrutturato e arredato all’italiana, e tutto domotizzato. Entrando in una stanza, per esempio, il mio ospite batteva le mani e le luci si accendevano. Le batteva una seconda volta e si spegnevano.
Avevo già cenato, ma non avevo nessuna speranza di scampare a una seconda cena. Dopo un po’ di raki, cominciavo a avere sonno. “C’è un po’ di bicarbonato in questa casa?”, chiesi. “Ma se non hai mangiato niente!”, fu la cortese risposta. E il “niente”, naturalmente, consisteva in un paio di migliaia di calorie ingoiate in un colpo solo. Cose da turchi, anzi da istambulioti.