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I francesi manderanno in pensione Macron?

Dopo mesi di agitazioni e scioperi, ieri la Francia ha approvato la riforma delle pensioni che porta l’età pensionabile da 62 a 64 anni. Per farlo, però, Macron ha scavalcato una parte del parlamento e una crisi di governo è dietro l’angolo. Fatti e commenti della stampa francese e internazionale

 

“Una folle giornata parlamentare”. Così Libération definisce la giornata di ieri della Francia, in cui il presidente Emmanuel Macron ha “scavalcato” un ramo del parlamento per approvare la contestata riforma delle pensioni facendo ricorso al comma 3 dell’articolo 49 della Costituzione.

Una decisione che ha messo subito in agitazione le opposizioni, le quali hanno già annunciato mozioni di sfiducia contro il governo.

COSA PREVEDE LA RIFORMA DELLE PENSIONI IN FRANCIA

Ha mobilitato milioni di persone dall’inizio dell’anno ed è stata ritenuta “estremamente impopolare” da molti quotidiani francesi, tra cui Les Échos.

Come spiega il giornale economico-finanziario, la riforma delle pensioni prevede di spostare l’età legale di pensionamento a 64 anni nel 2030 – e non da 62 a 65 anni nel 2031, come aveva annunciato Macron in campagna presidenziale – e di accelerare il prolungamento dell’anzianità contributiva a 43 anni a partire dal 2027.

CRONOSTORIA DI UNA RIFORMA CHE HA INFIAMMATO LA FRANCIA

Dopo lo sciopero di mercoledì scorso che ha mobilitato in tutta la Francia 480mila persone, secondo il ministero dell’Interno (1,7 milioni, stando ai dati della confederazione sindacale CGT) Macron, scrive Libération, va a letto auspicandosi per il giorno seguente un voto sulla riforma delle pensioni da parte dell’Assemblea nazionale (uno dei rami del parlamento).

Al risveglio, dopo una colazione con i leader “di una maggioranza che non è più tale”, si procede con il conteggio dei voti e il capo dei senatori di Les Républicains, Bruno Retailleau, parla di “un voto molto, molto, molto rischioso”. I numeri mostrano un vantaggio di meno di dieci voti a favore del testo. La linea rimane quella di “andare al voto”.

Prima tappa: il Senato, come previsto, dà il suo ok. Ma poco prima delle 14 si inizia a diffondere la notizia che, incerti di ottenere la maggioranza all’Assemblea nazionale, il primo ministro Élisabeth Borne è dell’idea di propendere per il ricorso al comma 3 dell’articolo 49 della Costituzione, che permette di evitare il dibattito parlamentare.

Dopo un secondo incontro con Macron e i capi della maggioranza la decisione è presa: la riforma s’ha da fare, coûte que coûte.

I deputati dell’opposizione condannano la “negazione della democrazia”. È la bagarre.

Non appena Borne fa il suo ingresso nell’emiciclo i deputati de La France insoumise si alzano in piedi tenendo tutti in mano un foglio con la scritta “64 anni è no” e intonano la Marsigliese. La seduta è sospesa. Dopo aver portato a termine il suo intervento, Borne dichiara: “C’è incertezza […] Non possiamo correre il rischio che 175 ore di dibattito parlamentare vadano in fumo”.

Viene così ufficializzato il 100esimo ricorso al comma 3 dell’articolo 49 nella storia della V Repubblica francese, sapendo, secondo quanto detto dalla premier stessa, che ci saranno “una o più mozioni di sfiducia” per far cadere il governo. Così, ha concluso, sarà “la democrazia parlamentare ad avere l’ultima parola”.

Le forze di opposizione hanno già depositato le mozioni che saranno votate lunedì.

COME HA GIUSTIFICATO MACRON L’IMPOPOLARE RIFORMA

La scelta di ricorrere a questa misura straordinaria pur di far approvare la riforma delle pensioni è stata giustificata da Macron indicando “rischi finanziari”.

Senza la riforma, secondo l’inquilino dell’Eliseo, il contesto inflazionistico, l’aumento dei tassi di interesse e la febbre dei mercati finanziari metterebbero a rischio il futuro della Francia.

“Il mio interesse politico sarebbe stato quello di andare al voto. Tra tutti voi, non sono io a rischiare il posto o la poltrona”, avrebbe detto il presidente ai suoi ministri, “ma ritengo che, allo stato attuale, i rischi finanziari ed economici siano troppo elevati […] Non possiamo giocare con il futuro del Paese”.

Tuttavia, secondo molti esperti, la Francia non sta attraversando una crisi finanziaria della portata descritta da Macron e, dunque, non giustificherebbe l’utilizzo di poteri speciali, che rischiano solo di danneggiare la sua immagine.

CHE SUCCEDE ORA A MACRON?

La riforma delle pensioni, come osserva Les Échos, è “altamente simbolica” e “un importante test sociale” per il presidente che si ritrova davanti un fronte sindacale unito e sondaggi molto sfavorevoli.

Al momento l’aggettivo più usato dalla stampa francese e internazionale per descrivere Macron è “indebolito”. I quotidiani d’Oltralpe parlano di “ammissione di debolezza”, “fallimento”, “pantalonata” e prevedono “un’enorme crisi politica”.

Il tedesco Die Zeit titola “La Repubblica bloccata” e afferma che “ci sono riforme da cui un governo non si riprende mai”. Per El Pais il ricorso al comma 3 dell’articolo 49 simboleggia “il fallimento della politica e una profonda crisi istituzionale”.

Dall’altra parte dell’oceano le cose non vanno meglio. Il New York Times scrive che “il conflitto sulle pensioni rivela un Macron indebolito e più isolato” e Politico parla di “un leader intransigente e indebolito, che ora deve affrontare un duro contraccolpo da parte dei legislatori dell’opposizione e dei manifestanti”.

Il popolo, dunque, chiederà la sua testa? Per una coincidenza beffarda, l’Assemblea nazionale scavalcata dal presidente si trova proprio di fronte a quella che fu la piazza della Rivoluzione, oggi Place de la Concorde, dove nel 1793 Luigi XVI fu mandato alla ghigliottina.

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