Al di là, molto al di là della rappresentazione sarcastica che ne fanno i nostalgici di Giuseppe Conte sulla prima pagina del giornale diretto da Marco Travaglio, in cui Mario Draghi e Matteo Salvini ridono di tutto e di tutti, persino di loro stessi, nella “pantomima”del percorso parlamentare del decreto legge sul green pass, la situazione politica evolve secondo lo schema anomalo adottato dal presidente della Repubblica alla chiusura dell’ultima crisi di governo. E condiviso a stragrande maggioranza -non dimentichiamolo- dalle Camere accordando la fiducia al governo Draghi.
E’ proprio grazie a questo schema, imposto dalle emergenze di vario tipo scrupolosamente elencate dal capo dello Stato nell’annunciare personalmente la decisione di non sciogliere i nodi politici con un ricorso anticipato alle urne sconsigliato dal pericolo che il voto si trasformasse in un’occasione ulteriore di contagio in piena pandemia; è proprio grazie a questo schema, dicevo, che Salvini può dissentire sulle modalità del green pass, lasciare presentare dai suoi parlamentari un bel po’ di emendamenti ad un provvedimento pur approvato dai suoi ministri a Palazzo Chigi, farli altrettanto disinvoltamente ritirare per non obbligare Draghi a imporlo col ricorso alla cosiddetta questione di fiducia e infine lasciare i suoi deputati liberi di astenersi o di votare a titolo dimostrativo, cioè innocuo, su alcuni emendamenti dell’opposizione di destra di Giorgia Meloni, sua concorrente nell’alleanza elettorale di centrodestra. Tali emendamenti sono stati infatti tutti respinti, per cui è prevalsa la posizione del governo risultante dalle scelte e dalle disposizioni del presidente del Consiglio.
Trovo francamente inutile scandalizzarsi più di tanto di fronte a questa “pantomima”, come la chiamano -ripeto- al Fatto Quotidiano, quando non ci si scandalizza, o ci si scandalizza di meno, di fronte a un segretario del Pd che reclama un giorno sì e l’altro pure una disciplina d’acciaio della maggioranza -come l’omonimo patto di Mussolini e Hitler- e non ha nulla, o quasi, da dire al collega di partito Goffredo Bettini, trattato al Nazareno come una specie di oracolo con licenza illimitata, che il governo Draghi non è “nostro”, ma evidentemente di altri, pur disponendo di ministri, sottosegretari, consiglieri, consulenti eccetera eccetera, giù giù lungo tutti i rami del cosiddetto sottogoverno. Non parliamo poi del sunnominato Conte rimpianto da Travaglio e compagni o amici, che ha appena condizionato la “lealtà” nei rapporti col presidente del Consiglio, cioè col suo successore, al rispetto dei veti e degli umori pentastellati.
La verità, nell’anomala situazione in cui si trova la politica per il peso sproporzionato avuto dai grillini proprio con Conte, è quella descritta oggi sul Corriere della Sera dal professore Ernesto Galli della Loggia scrivendo di Draghi come di una edizione tutta italiana del fenomeno De Gaulle della quinta Repubblica francese, “giunto al potere per una combinazione imprevedibile di eventi”. Draghi – ha spiegato Galli della Loggia – “non governa senza o contro la maggioranza” che lo ha fiduciato in Parlamento. Governa grazie ad una maggioranza “implicitamente presupposta”, nel senso che “gli stessi partiti che la compongono”, al di là dei loro tatticismi, “accettano volontariamente l’ininfluenza del loro eventuale dissenso”. Ben detto, professore.