Sabato prossimo alle 10 del mattino il dolore italiano diventerà il dolore del mondo. I capi di Stato e di governo d’ogni nazione e continente si riuniranno in Piazza San Pietro, a Roma, dove tutte le strade dell’universo ancora portano, per l’addio a Francesco. Sembra l’ultimo e quasi miracoloso messaggio del Papa: essere riuscito a riunirli tutti all’insegna della principale richiesta semplice, eppur finora inascoltata che lui a tutti faceva. La richiesta di far valere ovunque il diritto alla pace e il dovere di preservarla, dove regna, o di raggiungerla, dov’è messa in discussione dall’orrore della guerra e della violenza.
Paradossalmente, il pontefice venuto “quasi dalla fine del mondo” e che negli ultimi tre anni, in particolare, s’era sgolato implorando i potenti e belligeranti a porre fine alla “terza guerra mondiale a pezzi” -come già la vedeva e considerava con lucida preoccupazione-, forse potrebbe avere da morto ciò che gli è stato negato da vivo. La constatazione, cioè, che qualcosa si muova nella direzione a lungo invocata e ignorata.
In nome di Francesco potrebbe mettersi in moto il concreto tentativo dei Grandi che saranno presenti al funerale -a cominciare dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, finora del tutto sordo al grido di dolore degli ucraini-, di incontrarsi per cercare una via d’uscita o almeno di tregua all’incessante e sanguinario lancio di missili e bombe.
A omaggiare Francesco verrà anche Volodymyr Zelensky, il presidente del Paese invaso da Vladimir Putin, unico grande assente alla cerimonia. Rischierebbe l’arresto per i crimini di guerra di cui l’ha accusato la Corte penale internazionale.
In compenso non mancheranno, tra le 200 delegazioni d’ogni dove, i rappresentanti dell’Occidente. Quale miglior occasione, allora, anche simbolicamente, per concordare il da farsi per la “martoriata Ucraina”, come il pontefice l’evocava?
Era uno dei suoi più grandi crucci: non riuscire a far ragionare tutti sul male della guerra, iniziando da chi l’ha iniziata, Putin, che neppure si degnava di rispondergli, quando il pontefice si diceva pronto a volare al Cremlino pur di fermare il conflitto.
L’altro cruccio del Papa era il Medio Oriente e la sua disperazione per le sofferenze a Gaza. Quasi ogni giorno chiamava il suo parroco, padre Gabriel Romanelli, per chiedere della drammatica situazione e per appellarsi alla “cessazione della guerra”. Una guerra cominciata il 7 ottobre 2023 con il massacro di israeliani in Israele da parte dei terroristi di Hamas. Ma da allora sangue chiama sangue ed è questa catena di odio infinito che Francesco ha cercato di interrompere con dure parole di denuncia e arrivando a parlare di genocidio in atto da parte di Israele.
Tale espressione il governo di Benjamin Netanyahu ha a sua volta duramente deplorato, e ora la clamorosa cancellazione dei post di cordoglio delle ambasciate israeliane nel mondo e l’assordante silenzio del primo ministro d’Israele. A differenza del suo presidente Isaac Herzog, che ha rivolto il suo pensiero alla memoria di Francesco.
(Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova)