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Giorgia Meloni

I 100 giorni di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi

Giorgia Meloni a Palazzo Chigi: fatti, parole ed endorsement a sorpresa. Il punto di Michelangelo Colombo

 

Giorgia Meloni non fa certo politica con la motivazione o l’obiettivo di risultare simpatica, anzi, ha sempre dichiarato con molta sincerità — basta leggere la sua autobiografia “Io sono Giorgia” — che la molla essenziale del suo impegno politico è stata la rivalsa rispetto alle bullizzazioni e alle sofferenze subite da bambina e da giovanissima. Sa di assumere spesso un piglio truce quando aggrotta le sopracciglia (anche in conferenza stampa da presidente del Consiglio per una domanda commentosissima di un giornalista del Foglio) ed è ben consapevole che in politica l’ostilità paga molto più della convenzione. È anche grazie al suo ruolo di unica oppositrice che ha consentito a Fratelli d’Italia di avere una progressione di consenso che resta nella storia politica italiana come un caso straordinario.

Detto tutto questo nei suoi 100 giorni di governo è riuscita a raccogliere una serie di approvazioni, promozioni ed endorsement che hanno stupito molti ma soprattutto lei, convinta di arrivare a Palazzo Chigi per cominciare una corsa a ostacoli.

Non che i problemi siano mancati, per carità, ma le sono derivati in realtà quasi più dalle difficoltà di coordinamento e comunicazione con gli alleati che non dagli avversari, i quali sono ancora troppo impegnati a dividersi tra loro e a loro interno. Non hanno nuociuto più di tanto neppure gli scontri più duri come quello con i benzinai, o quello con Macron, anche questo una sorta di combinato disposto tra problemi di comunicazione diplomatica e problemi interni alla politica francese dove il presidente è perennemente schiacciato tra sinistra e lepenisti.

C’è da giurare che anche la montatura sul caso Nordio e intercettazioni prima o poi sfumerà, come è sfumata la polemica sulla finanziaria, che fa parte del copione recitato dal teatrino politico come una scena fissa. E come è sfumata quella dell’ostilità di alcuni giornalisti rispetto alle modalità assunte in conferenza stampa. Su quest’ultimo punto la risposta di Meloni è stata spiazzante: ha lanciato una rubrica social — gli appunti di Giorgia — per far capire ai media ma soprattutto al club dei cosiddetti chigisti che lei può anche permettersi di non passare per il loro tramite e rivolgersi direttamente ai cittadini, cosa che sa fare benissimo.

Si arriva così al primo e più importante degli endorsement, cioè quello di un consenso – personale soprattutto ma anche politico e di governo – che in questi primi 100 giorni ha retto benissimo. Tutti la chiamano la luna di miele e prevedono che termini a breve ma, considerando che questo è il primo governo che ha dovuto affrontare una finanziaria appena insediato a Palazzo Chigi, il matrimonio poteva partire molto peggio.

A questo consenso bottom up si aggiungono poi quelli top down che erano ancora molto meno scontati, addirittura qualcuno dava previsioni di catastrofi immediate. I segnali positivi sono arrivati prima di tutto dai mercati finanziari (niente spread alle stelle e zero turbolenze sui titoli del debito pubblico, contrariamente ai profeti di sventura post elettorali) poi dalle istituzioni che contano, in particolare il rapporto con Ursula von der Leyen, sembra di sincera simpatia reciproca.

A fare il simpatico ci si è poi messo Zelensky dal momento che Giorgia Meloni ha assunto una posizione atlantista decisissima, che non era facile da prendere, considerato che nel suo mondo di provenienza ci sono molti critici rispetto al coinvolgimento nella guerra in Ucraina. Non va poi dimenticato il Papa: prima le ha lanciato mazzi di fiori verbali invitando l’opposizione ad appoggiare il governo, poi ha sgombrato il campo da qualunque equivoco sul tema più controverso per i rapporti tra l’attuale governo e il Vaticano, ovvero le migrazioni, spiegando che devono essere gli altri paesi Ue a sostenere lo sforzo comune anziché lasciare l’Italia da sola. Infine, Bergoglio ha ricevuto Meloni in Vaticano con grande cordialità.

Mettiamoci poi qualche mossa piazzata benissimo – come il rientro di due italiani trattenuti all’estero in condizioni molto difficili, e cioè Alessia Piperno e l‘imprenditore Andrea Costantino – ma soprattutto la cattura di Matteo Messina Denaro. Va detto anzi che, proprio in ossequio al non voler apparire simpatica a tutti i costi, il presidente del Consiglio non ha cavalcato queste tre avventure quanto avrebbe potuto. Si è limitata a incontrare i due cittadini rientrati e si è recata a Palermo, per un doveroso atto di ringraziamento a tutti coloro che hanno consentito di interrompere la più lunga e clamorosa latitanza mafiosa dei nostri tempi.

Infine, solo per fare un altro esempio, gli ottimi rapporti intrattenuti con la comunità ebraica: sia con l’omaggio ai giornalisti ebrei, sia con un incontro con la comunità ebraica romana, dove Giorgia Meloni non ha nascosto la propria commozione, e infine con il Giorno della memoria, che è solo a oggi l’ultima occasione per ribadire una condanna delle leggi razziste fasciste e dell’antisemitismo senza se e senza ma. Qualcuno le dice che lo fa solo per opportunismo ma a dire la verità un calcolo di convenienza la dovrebbe portare su questo tema a essere molto più moderata, poiché l’insistenza infastidisce una parte sempre più piccola ma ancora considerevole del suo mondo che intrattiene simpatie e nostalgie veterofasciste. Quelle che lei molto semplicemente non ha, lo ha sempre detto: nel suo immaginario Tolkien conta enormemente più di Mussolini. Ora lo sta anche dimostrando.

Sempre a proposito di rapporti con il suo mondo, non si può non segnalare la crisi romana di Fratelli d’Italia e la rottura con Fabio Rampelli, che però è persona talmente accorta e politico talmente intelligente da capire bene che qualunque scontro e qualunque offesa vanno subordinati all’obiettivo comune, cioè consolidare la destra con due nette vittorie in Lazio e Lombardia. Rampelli sa bene che conviene litigare da vincitori che non andare d’accordo da perdenti, sembrano averlo capito anche Forza Italia e Lega: la prima soprattutto con Antonio Tajani, che si sta rivelando più che valido ministro degli Esteri, nell’ambito di una geopolitica che per questo governo è un punto di forza; la seconda con Matteo Salvini, che pare aver fatto pace con il proprio non determinante peso politico. Gaffe come quella clamorosa sul numero delle vittime a Ischia, commessa solo per dire qualcosa alle agenzie di stampa, ormai il ministro delle Infrastrutture non ne commette più.

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