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Ecco perché la sinistra sbaglia su Israele e Hamas. Parla Raciti (ex deputato Pd)

Conversazione di Paola Sacchi con Fausto Raciti, ex deputato del Pd

“Hamas vuole la distruzione di Israele, cerca di parlare agli arabi per mettere in difficoltà i Paesi impegnati negli accordi di Abramo. Pelosi i comportamenti che solo per Israele, gli israeliani condizionano la solidarietà ai se e ai ma”. Parla con Startmag Fausto Raciti, 39 anni, ex deputato (dal 2013 al 2022) riformista del Pd, di cui è stato segretario regionale in Sicilia. Prima ancora è stato segretario nazionale dei giovani del Pd e ultimo segretario della sinistra giovanile dei Ds. Raciti è giovane, ma già con un significativo curriculum politico. È duro su alcune affermazioni di Patrick Zaki: “Ha detto assolutamente cose fuori luogo, come fuori luogo sono stati tanti suoi comportamenti dopo la liberazione”. Già componente della Commissione Esteri, è appassionato conoscitore del conflitto del Medio Oriente.

Raciti, lei in questi giorni in un thread di tre post consecutivi su X ha spiegato in modo sintetico ed efficace natura, scopi di Hamas e perché intende impedire il riconoscimento da parte dei sauditi, ovvero gli Stati di riferimento, di Israele nell’ambito degli accordi di Abramo. Del resto lo stesso statuto di Hamas parla tragicamente chiaro. È così?

Hamas vuole dichiaratamente la distruzione di Israele perché lo considera un impurità che inquina il il suolo sacro dell’Islam. Da questo punto di vista è, almeno formalmente, diversa dai movimenti nazionalisti laici palestinesi. Se ti consideri investito di una missione sacra non puoi mediare su nulla perché sei investito di un mandato divino.

Questo non significa che i dirigenti di Hamas non abbiano astuzie politiche, che rifiutino il sostegno economico e militare degli sciiti o che vivano come dei monaci-guerrieri: tutt’altro. Lo tendiamo a dimenticare ma Hamas era apertamente contraria al processo di pace, che boicottava a colpi di attentati suicidi. In questo caso l’aggressione cerca di parlare agli arabi per mettere in difficoltà i Paesi impegnati negli accordi di Abramo.

Da ex deputato del Pd, dell’area riformista, sconfitta alle primarie, come si spiega certi tentennamenti e prese di posizione a sinistra, seppur tutti si esprimano, anche nelle risoluzioni approvate in parlamento, ovviamente contro il terrorismo e a difesa di Israele? Lo studente egiziano Patrick Zaki, vicino al Pd, dall’esterno ha addirittura dato del “serial killer” per la reazione al premier Benjamin Netanyahu, seppur poi abbia tentato di attenuare l’accusa.

Ci sono tanti elementi, ed è difficile allinearli tutti. Uno che tiene insieme le incomprensioni di destra e quelle di sinistra, parliamo quindi di politica e non di pregiudizi di carattere religioso, è la mancata comprensione del fatto che le nazioni arabe sono un prodotto del Novecento esattamente come lo è lo Stato di Israele. Israele non è arrivato a turbare un equilibrio, è nato contestualmente a tutti gli altri Stati dell’area.

Zaki ha detto delle cose assolutamente fuori luogo, come fuori luogo sono stati molti suoi comportamenti dopo la liberazione. Ma quelli come noi si battono per la liberazione delle persone con cui non sono d’accordo. Perché altrimenti che libertà difenderemmo?

Paolo Mieli, che aveva subito parlato di “11 settembre per Israele”, aveva anche previsto che dopo la solidarietà iniziale sarebbe stato attaccato Netanyahu e con lui Israele. Facile profeta?

Netanyahu ha diviso Israele ma il giudizio su di lui lo lascio ai cittadini israeliani e sta in una sfera diversa e separata da quella della solidarietà che si deve a Israele. Trovo pelosi i comportamenti che solo per gli israeliani condizionano la solidarietà ai se e ai ma.

La segretaria del Pd, Elly Schlein, parla della necessità di proseguire sulla linea “Due popoli, due Stati”. È ancora possibile, dopo l’affermazione di Hamas a Gaza dal 2007?

È la posizione della diplomazia internazionale, ma le cose sono andate così avanti che è di difficilissima praticabilità. E questo è un pezzo del problema ma che non può cambiare il giudizio su Hamas, che ha guidato il fronte del rifiuto ed è la vera beneficiaria dei fallimenti degli arabo-nazionalisti.

Perché la famosa sicurezza di Israele si è fatta sorprendere così in una situazione che è stata paragonata a Pearl Harbor?

Questo va chiesto ai vertici politici e militari del Paese, leggo che gli ex capi delle agenzie di sicurezza israeliane attribuiscono al governo la responsabilità di avere concentrato la propria attenzione sul sostegno militare ai coloni in Cisgiordania dimenticando la sicurezza dei confini. Altri volano ancora più alto e attribuiscono a Netanyahu la colpa di avere trascurato l’esistenza della questione palestinese indebolendo la loro autorità nazionale a vantaggio dei fondamentalisti. Non sono un analista ma vorrei che gli Stati Uniti e l’Ue provassero a fare un po’ da regolatori degli equilibri nell’area.

Come dispiegare ora quegli sforzi diplomatici necessari sul piano Ue e internazionale su cui il governo Meloni e le forze politiche concordano per garantire il diritto di Israele a esistere? E come affrontare la questione dei palestinesi che, come scrive lei su “X “sono rimasti sullo sfondo”?

Serviva un’iniziativa prima. Ora l’iniziativa sta a Israele. Servirà poi molta politica e la ricerca di una soluzione che, partendo dagli Accordi di Abramo, individui una soluzione capace di coinvolgere anche i palestinesi. Non so quale possa essere la soluzione ma immagino che vada trovata coinvolgendo anche i palestinesi laici.

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