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Haiti

Haiti come la Somalia?

Che cosa succederà ad Haiti dopo l’assassinio del presidente della Repubblica Jovenel Moïse. Il punto di Francesco Tabarrini per Affari Internazionali   Il presidente della Repubblica di Haiti Jovenel Moïse è stato assassinato nella notte tra il 6 e il 7 luglio nella sua residenza a Port-au-Prince. Un commando armato avrebbe fatto irruzione nell’abitazione aprendo il fuoco e colpendo a morte il…

 

Il presidente della Repubblica di Haiti Jovenel Moïse è stato assassinato nella notte tra il 6 e il 7 luglio nella sua residenza a Port-au-Prince. Un commando armato avrebbe fatto irruzione nell’abitazione aprendo il fuoco e colpendo a morte il capo dello Stato insieme alla moglie Martine Moïse, rimasta gravemente ferita.

A dare notizia dell’accaduto è il primo ministro ad interim Claude Joseph, che, parlando del commando, ha fatto riferimento ad un gruppo di persone in quel momento ancora non identificate e presumibilmente straniere (alcuni testimoni riportano di aver sentito gli individui parlare inglese e spagnolo). Lo stesso Joseph ha provveduto a dichiarare lo stato d’assedio e ha cercato poi di rassicurare la popolazione circa le garanzie alla continuità dello Stato.

Secondo le ricostruzioni, i membri del commando che hanno ucciso Moïse avrebbero fatto irruzione nella villa del presidente durante la notte con indosso uniformi della Dea americana. I killer, dei mercenari, sono stati in seguito intercettati dalla polizia di Haiti e, in uno scontro a fuoco, sette di questi sono rimasti uccisi mentre altri quattro sono stati arrestati. Altri due sono stati fermati, legati con una corda al collo e portati alla centrale di polizia dalla folla che li ha intercettati.

Le informazioni trapelate indicano poi che almeno due dei fermati sono haitiani-americani, con residenza in Florida, e che tre dei morti erano stranieri. In ogni caso le autorità non hanno spiegato come le forze dell’ordine sapessero dove fermare il commando e come la folla abbia capito che i due stranieri ne facessero parte.

Anche se tragico, tuttavia l’attentato alla vita del capo dello Stato haitiano non può essere considerato totalmente imprevisto o imprevedibile: il Paese, infatti, da molto prima della pandemia risulta in preda ad una crisi sociale, economica, politica ed umanitaria largamente fuori controllo.

Una democrazia fragile

Per comprendere il contesto all’interno del quale si è consumato l’omicidio del presidente haitiano è necessario fare un passo indietro e tornare al 2015: Moïse si era presentato alle presidenziali alla guida del partito di centrodestra- tuttora al governo- Tèt Kale (Phtk) arrivando al ballottaggio e aggiudicandosi la presidenza con solo il 21% delle preferenze (600 mila voti su una popolazione di 11 milioni). Un grado così basso di legittimazione popolare, unito ai sospetti brogli elettorali a suo favore durante la prima tornata, ha presto dato vita ad un clima di grandi tensioni sfociate in proteste violente nel 2016. Moïse potè insediarsi solamente al termine di una delicata transizione politica conclusasi nel febbraio 2017, ad un anno dalla sua vittoria elettorale.

Nell’ultimo anno, la crisi sociale acuitasi con la pandemia ha fatto tremare anche le già fragilissime istituzioni democratiche dello Stato tanto da comportare una svolta autoritaria da parte di Moïse. Ad accendere lo scontro politico tra il presidente e lo schieramento d’opposizione sarebbe stata l’accusa lanciata al capo dello Stato di non voler lasciare la carica al suo termine naturale. Il defunto presidente, infatti, avrebbe voluto “recuperare” l’anno di governo perso nel 2016, individuando la fine del suo mandato nel febbraio 2022 e non a settembre 2021.

Nonostante abbia più volte negato la volontà di ricandidarsi, Moise stava elaborando un’importante riforma costituzionale per dare più poteri all’esecutivo, eliminando la figura del primo ministro, e permettere il doppio mandato consecutivo per i presidenti uscenti (passaggio che gli avrebbe permesso di restare al potere legalmente). Nell’ultimo anno, inoltre, il presidente aveva di fatto governato per decreto, con le camere sciolte e in attesa di elezioni mai fissate.

Nel febbraio di quest’anno Moïse aveva denunciato un golpe ordito ai suoi danni dall’opposizione. Seguirono gli arresti di 23 persone, tra cui un giudice della Corte Suprema considerato il principale attore del colpo di Stato.

“La Somalia delle Americhe”

L’omicidio del presidente della Repubblica rappresenta, dunque, solamente l’ultimo atto di una crisi istituzionale e sociale, alimentata anche dalla presenza di numerosissime tra bande armate e gang che di fatto controllano e dettano legge su gran parte del territorio del Paese. Sparatorie, rapimenti e violenze sono all’ordine del giorno ad Haiti. Nel 2020 i sequestri a scopo di estorsione sono aumentati vertiginosamente così come il tasso generale di criminalità che neanche la diffusione del Covid è riuscito a scalfire, complice l’impunità garantita da un corpo di polizia impotente. Cresciuta enormemente, a tal proposito, la quantità di armi presente nel poverissimo Paese caraibico.

Le precarie condizioni politiche rispecchiano però una generale situazione di instabilità del Paese tale da portare alcuni analisti ad associare la condizione di Haiti a quella della Somalia: uno Stato prossimo al fallimento.

Da anni Haiti vive una situazione di costante emergenza umanitaria che ha visto il Paese sconvolto da ricorrenti catastrofi naturali. Nel 2010 un terremoto– il secondo più catastrofico della storia- causò la morte di 200 mila persone e rese sfollate più di tre milioni persone. L’uragano Matthew, che colpì il Paese nel 2016, causò perdite e danni stimati al 32% del Pil del 2015. Si prevede che i cambiamenti climatici aumenteranno la frequenza, l’intensità e gli impatti degli eventi meteorologici estremi di questo tipo a cui rimane esposto il 96% della popolazione. Haiti risulta il Paese più povero delle Americhe e tra i più poveri al mondo, con un tasso di povertà superiore al 60%, un Pil pro capite di poco superiore ai mille dollari e un Indice di Sviluppo Umano che lo posiziona al 170° posto su 189 Paesi.

A questa già grave situazione vanno aggiunte poi le conseguenze della pandemia. Ad oggi risultano poco meno di 20 mila i casi totali registrati e meno di 500 i morti ma molte Ong, a partire da Medici senza Frontiere, contestano fortemente questi dati. Il sistema sanitario del Paese è di fatto inesistente: non esiste un sistema di tracciamento e nemmeno le infrastrutture adeguate per curare chi ne ha bisogno. Haiti risulta, inoltre, tra i 26 Paesi al mondo a non aver ancora iniziato la campagna vaccinale anti Covid-19, esclusa anche dal meccanismo Covax per ritardi nell’invio della domanda.

Un futuro imprevedibile

La gravità della situazione ha spinto nel tempo la comunità internazionale ad assistere il Paese sotto l’impulso di missioni e aiuti da parte di Onu e Osa (l’Organizzazione degli Stati Americani) ma niente sembra di grado di fermare la spirale di instabilità e distruzione che da anni sta devastando Haiti.

L’uccisione di Jovenel Moïse rappresenta un duro colpo per il fragile Stato caraibico che non riesce a trovare pace. Le circostanze dell’assassinio dovranno essere chiarite- con particolare riguardo all’ipotesi di un golpe guidato dall’estero– mentre è necessario colmare al più presto il vuoto istituzionale, anche se non sarà facile: le leggi haitiane stabiliscono che in caso di sede vacante debba essere il presidente della Corte Suprema a ricoprire la carica di capo dello Stato; il giudice in questione però è deceduto recentemente per Covid e sembrerebbe toccare dunque al primo ministro (che unirebbe pericolosamente le cariche) ma serve l’approvazione del Parlamento, tuttora sciolto in attesa di elezioni legislative.

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