La Legge 2 dicembre 2025, n. 181 – approvata all’unanimità – ha finalmente normato misure serie per fronteggiare la dolorosa piaga del femminicidio, un delitto vergognoso e per troppo tempo sottostimato, al fine di contrastare la dilagante violenza di genere. Ci si chiede come tolleranza, ricerca di attenuanti, omissioni, denunce inascoltate, silenzi complici e impunità abbiano così a lungo ritardato questo provvedimento che non risolverà il problema perché (come dice Vittorino Andreoli) la volontà di distruzione aggrava odio e senso di possesso fino a connotare il gesto omicida, ma potrà costituire un deterrente se ci sarà certezza e severità della pena. A condizione che non si ripetano atteggiamenti di indulgenza, procrastinamento e rinvio dei casi o cervellotici provvedimenti giudiziari di clemenza che hanno finito spesso per uccidere due volte le donne vittime. La prevenzione è sempre la strategia efficace ma in caso di reato la punizione dovrà essere inflessibile e senza sconti. Troppe vittime hanno già pagato con la vita, troppe famiglie sono state lacerate da un dolore insostenibile, sovente senza ottenere piena giustizia. Il passo in avanti è significativo e postula una precoce e diffusa pedagogia del rispetto verso le donne, a cominciare dall’educazione scolastica e dalla sensibilizzazione dell’opinione pubblica, espungendo senza remore coperture e connivenze. La partita quindi non è chiusa, i sentimenti negativi e distruttivi albergano sempre nell’animo umano e ci sarà ancora chi sfiderà il cupio dissolvi pur di ottenere vendetta, ostentazione di possesso, scarico di pulsioni efferate e criminali: ma se ne apre un’altra, nelle famiglie, nelle scuole, nella società per fare appello alla coscienza e alla scelta del bene e della vita, unico argine alla violenza di genere.
Contemporaneamente – come in una sorta di furore legislativo che voglia emendare errori e colpevoli trascuratezze – il parlamento sta esaminando un progetto di legge volto a tutelare il consenso in entrambi i partner nel compimento di un rapporto sessuale. (art 609/bis C.P. approvato alla Camera e fermo al Senato). Anche questo problema esiste da sempre e dipende in larga parte dalla cultura tramandata e praticata nei contesti sociali, dai condizionamenti religiosi e – ancora una volta – dal rispetto altrui che passa anch’esso dalla coscienza di ogni singola persona. Riguarda l’intimità matrimoniale e di coppie di fatto, eterosessuali o omosessuali: l’intendimento è quello di prevenire abusi e sottomissioni, atti di violenza, rapporti carpiti contro l’altrui volontà, coercizioni estorte in stato di minorata difesa o di incapacità di intendere e volere, o peggio in danno criminale di minori. La prima stesura del testo di legge prevedeva che il consenso fosse reciproco, libero e attuale e questi postulati appaiono decisamente incontestabili.
Tuttavia – approfondendo – ci si accorge che eventuali comportamenti scorretti (rapporti non consenzienti, imposti con la forza o negati) devono essere dimostrati come fraudolenti.
In assenza di testimoni (la giurista A.M. Bernardini De Pace suggerisce ironicamente la presenza di una terza persona che osservi la liceità dei comportamenti di coppia) occorre dimostrare il vero. Ma i requisiti di libera adesione, consenso e attualità appaiono fragili, poiché in punto di diritto ci si ispira al principio della preventiva innocenza mentre accogliere per vera un’accusa (magari infondata e da dimostrare) comporta l’inversione dell’onere della prova. ‘Non sono io che devo dimostrare la mia innocenza ma tu che devi portare prove della mia colpevolezza’. Un principio che risale alla Magna Carta del 1215, art.39 e che si ritrova in tutte le Costituzioni dei Paesi liberi e civili: “Nessun uomo libero sarà arrestato, imprigionato, spossessato della sua dipendenza, della sua libertà o libere usanze, messo fuori dalla legge, esiliato, molestato in nessuna maniera, o mai si procederà contro di lui o si manderà qualcuno a farlo se non in virtù di un giudizio legittimo dei suoi pari e secondo la legge del paese”. Ciò richiama il principio di origine anglosassone del cd. “habeas corpus”: originariamente consisteva nel condurre una persona davanti a un giudice, per dimostrare la fondatezza o meno delle accuse. Il suo scopo principale era di proteggere i cittadini da accuse inventate o peggio arresti arbitrari e illegittimi, fornendo uno strumento per difendersi e garantendo che la privazione della libertà personale avvenisse solo nei casi e modi previsti dalla legge. Principio poi inglobato nei codici penali dei Paesi civili del mondo. Sulla libertà di adesione ad un atto consenziente non ci sono dubbi, se non è un sopruso estorto si immagina un rapporto spontaneo (addirittura nel matrimonio un dovere coniugale), persino istintivo, voluto, cercato, condiviso appunto. Sul concetto di attualità il ripensamento riguarda il venir meno del consenso, l’interruzione di un atto iniziato: perché sia ‘attuale’ deve rispettare la volontà di entrambi in tutta la sua durata. Ma è possibile immaginare la parcellizzazione temporale e cronologica di un rapporto fisico di intimità solo se viene a mancare il consenso iniziale a fronte di degenerazioni comportamentali riprovevoli o al venir meno di condizioni emotive favorevoli: difficile dimostrarlo se non a fronte di evidenze palesi. Si pensa che questi requisiti di libertà e attualità siano puntualizzati a tutela della donna e a vincolo e controllo per l’uomo: anche qui siamo di fronte ad un ribaltamento concettuale e fisico della prova, spesso sono le donne che prendono l’iniziativa e non si può “pregiudizialmente” pensare al maschio come attaccante-persecutore, attizzatore di incendi passionali che si trasformano in atti di coercizione nel “fare” e nell’insistere.
Nelle separazioni di coppia si evidenziano tradimenti, doppiezze, inganni ed erotismo estremizzato tanto in capo agli uomini quanto alle donne. Dobbiamo sgombrare il campo da ‘pregiudizi di genere’ se si vuole ottenere il ‘rispetto di genere’. Bisogna peraltro evitare che una relazione amorosa – in tutti i suoi impliciti anche fisici – diventi motivo di rivalse, ripicche, speculazioni da ambo le parti. Colpevolizzare in modo preconcetto il genere maschile addebitandogli senza prova comportamenti non conformi a questo nuovo “codice etico dei rapporti sessuali” significa condizionarlo a priori, privarlo di motivazione dove anche il desiderio gioca la sua parte, renderlo un soggetto paradossalmente debole, defedato, incline ad una sorta di ‘impotentia coeundi’. Dovremmo perlustrare sotto le lenzuola per avere conferma che il consenso libero e attuale sia rispettato? Se ci sono abusi vanno denunciati: sarà il giudice di fronte a cui l’imputato o l’imputata si presenteranno a decidere, all’evidenza delle prove. Ci sono casi di macroscopica violenza e coercizione ma ci sono anche situazioni di intimità che vanno rispettate e liberate da fobie e censure di colpe inesistenti. Culle vuote e calo demografico non vanno imputati solo al debito pubblico che frena i concepimenti e le nascite: la criminalizzazione preconcetta dell’atto sessuale è un deterrente che inibisce persino un contatto fisico, come una carezza o un bacio. Ricevendolo a colloquio anni fa, un illustre accademico del Cairo mi espose una teoria che riferisco nella sua neutrale e asettica narrazione. “L’Islam si espanderà nel mondo perché genera figli, voi occidentali praticate una concezione peccaminosa e morbosa del sesso, siete pieni di remore, sensi di colpe, paure. A lungo andare il genotipo occidentale ne sarà indebolito per le troppe precauzioni e i timori di procreare”. Mi venne subito in mente quel film di Marco Ferreri dove un uomo correva sulla spiaggia gridando “Ho generato, ho generato! Il seme dell’uomo ha germogliato”. Come si fosse trattato di un miracolo biologico. Il 59° Rapporto CENSIS appena presentato riferisce al contrario di un Paese dove la gente e i giovani cercano il sesso come fonte di appagamento e soddisfazione, riferendo una deriva di “edonismo liberato dalle antiche censure”. Nello scandaglio dei dati e delle percezioni raccolte forse questa rappresentazione emerge più come desiderio che come fattualità. Credo che vada restituita alla coppia la sua intimità senza che il legislatore susciti pruriti morbosi di analisi logiche e illogiche di pertinenza e liceità. E all’avvocatessa Bernardini de Pace che – con ragione – in una trasmissione TV paventava il de profundis del testosterone potremmo rispondere con la battuta di un film. Nella scena di un probabile rapporto consumato, al compiacimento della compagna – “Sei il più grande amatore che abbia avuto” – Woody Allen rispondeva: “forse dipende dal fatto che mi alleno molto da solo”. Trovo più aderente all’ordine delle cose, se il consenso esiste per entrambi e passa dalla mente e dal cuore, dalla passione e dal sentimento, il dialogo finale del capolavoro di Stanley Kubrick, Eyes Wide Shut. In un mondo dove tutto diventa patologico e oggetto di screening non sempre pertinenti, dove i social sono i pedagogisti del bon ton cerchiamo invece di educare ad un concetto basilare: l’atto sessuale deve esser parte, componente di una relazione amorosa, espressione fisica di un sentimento. Sesso e amore vanno riscoperti come “dono” reciproco, consensuale e libero, come aspetto di una relazione umana. Lasciando fuori dalla stanza pregiudizi e colpe che nella maggior parte dei casi non ci sono. Per sopportare la fatica di vivere dobbiamo liberarci della paura di amare.




